La domanda a cui Ruini non risponde

A che cosa serve avere una legge "cristiana" se poi la società, le stesse coscienze dei credenti, puntano altrove?
5 Novembre 2019

Fa molto discutere l’ultima uscita dell’ex Presidente della Cei. Una intervista “impenitente” che conferma un pensiero fortemente sostenuto in questi anni. Il cardinale ha sempre ritenuto che la Chiesa dovesse essere rilevante offrendo una visione antropologica chiara sia alla società che alla Politica.
Un pensiero, prima culturale che politico, autonomo nei criteri e negli enunciati. Un pensiero da offrire a chi lo volesse sposare, senza mediazioni, come Chiesa gerarchica e/o Chiesa di popolo. A ciò il cardinale ha accompagnato una incessante opera di discredito di quel cattolicesimo che si diceva “adulto” ed ambiva all’autonomia, molto spesso di centrosinistra.
I presupposti di questo ragionamento ruiniano sono due: da un lato la necessità di sentirsi garantiti da una società in cui i valori cristiani fossero vincenti, dall’altro la necessità di riaffermare la presenza del pensiero cristiano di fronte alla cd secolarizzazione.
Tutto ciò ha quindi progressivamente svuotato di significato ogni approccio diverso, togliendo in fin dei conti autorevolezza al laicato che poteva solo essere esecutore di questo pensiero forte, presente e rilevante. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: 1) un laicato molto timido e spesso incapace di porsi con autorevolezza nel dibattito culturale e politico. 2) una chiesa gerarchica che non riesce più ad essere coraggiosamente maieuta, come lo fu ad esempio con Montini e tanti altri vescovi della prima metà del 900.
Ho sempre espresso la mia critica a questo modo di vedere le cose. Purtroppo il lavoro di maturazione delle coscienze mal si concilia con enunciati e soluzioni belle e pronte, tutte d’un pezzo, che sfuggono ad una mediazione (incarnazione) nella vita affidata a ciascuno. A cosa serve avere una legge “cristiana” se poi la società, le stesse coscienze dei credenti, puntano altrove?
D’altronde tale lavoro presuppone anche un sapersi affidare a Dio in tutto e sempre, senza eccedere con l’ansia efficientista dei risultati. Soprattutto a mio avviso occorre riconoscere una cosa: solo Dio è il Signore nella coscienza dei credenti, solo lui può far crescere e maturare l’amore. Invece ancora oggi troppi si sentono, non dico “padroni”, ma – oserei dire- “troppo responsabili” delle coscienze dei fedeli, dimenticando una celebre massima di Sant’Ignazio: “Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio”.
Qui vedo il difetto impenitente del ragionamento del cardinale.
L’aspirazione di ogni politico che voglia seguire Gesù non deve essere quella di essere il portavoce del vescovo di turno, ma di testimoniare nella sua azione ciò che vive nella sua vita e nella fede, con autonomia, responsabilità e piena consapevolezza, in modo che sia la sua vira e la sua azione a parlare di Dio.
Preferisco allora, all’eterno ritorno delle idee ruiniane, molto di più la strada che si è aperta negli ultimi anni che forse, richiamando la metafora del Card. Martini, farà soffiare il vento della novità sulla brace sepolta sotto la cenere della Chiesa di oggi.

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