Sabato sera è stata pubblicata (per ora nella sola lingua italiana) la relazione di sintesi della prima sessione del Sinodo sulla sinodalità. Sarà contento il nostro amico Simone Sereni perché viene espressamente previsto, tra le «proposte» [Parte II, §8, n)], quanto egli chiedeva in modo chiaro e stringente qui: «si esplori anche la possibilità di istituire un ministero da conferire a coppie sposate impegnate a sostenere la vita familiare e ad accompagnare le persone che si preparano al sacramento del matrimonio».
Vorrei poter esprimere eguale contentezza in relazione ad un ambito che mi è caro e vicino, per motivi di ordine professionale e pastorale, ossia quello dei giovani. Ma ciò non è possibile, sulla base di quanto si può leggere in questa relazione di sintesi.
È vero che già l’Instrumentum Laboris (IL) evidenziava il fatto che «i riferimenti all’urgenza di dedicare adeguata attenzione (…) ai giovani non puntano a stimolare una nuova trattazione della pastorale (…) giovanile», ma «a mettere a fuoco come l’attuazione» del Sinodo sui giovani (2018) e dell’Esortazione Apostolica Christus vivit comporti dei «cambiamenti di regole, strutture e procedure» (§15) in una Chiesa che vuole essere sinodale anche nei confronti dei giovani.
Eppure, in riferimento a tali cambiamenti, quelli che erano gli interrogativi presenti nelle schede di lavoro allegate all’IL tali sono rimasti. In quest’ultime, preso almeno atto che «non pochi giovani si sentono esclusi dal linguaggio adottato negli ambienti ecclesiali, che risulta loro incomprensibile» [B 1.5, lett. e)], si poteva leggere quanto segue:
«Come camminare insieme ai giovani? In che modo una “opzione preferenziale per i giovani” può essere al centro delle nostre strategie pastorali?» [B 1.2, spunto 4)]. «Come potrebbe prendere forma questo rinnovamento sinodale missionario della Chiesa, anche attraverso l’attuazione delle conclusioni» del Sinodo sui giovani [B 2.1, spunto 3)]? «Quale può essere il contributo (….) dei giovani» per «promuovere la partecipazione attiva di tutto il Popolo di Dio al movimento ecumenico?» [B 1.4, spunto 2)]. «Come incoraggiare il protagonismo dei giovani, corresponsabili della missione della Chiesa in questo spazio [digitale]?» [B 2.1., spunto 6)]. «In che modo può essere favorita la partecipazione di (….) giovani nei processi di discernimento e decisione» [B 3.2., spunto 4)], a partire da quelli che si svolgono negli «organismi di partecipazione» [B 3.3., spunto 3)]?
Nella relazione di sintesi ci sono alcune convergenze, due questioni da affrontare e due proposte. Riguardo le prime, si evidenzia come «la Chiesa che i giovani avevano dichiarato di desiderare già nel 2018» sia proprio quella sinodale: «una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale» [I,1,b)], che si dedica tutta con «particolare attenzione alla formazione catechetica dei bambini e dei giovani» [III,14,e)], che risponde alla loro «domanda di ascolto e accompagnamento» [III,16,e)], che affida ai «giovani, con i loro doni e le loro fragilità», la missione di farsi «apostoli del Vangelo tra i loro coetanei» [II,8,d)], soprattutto «nell’ambiente digitale», di cui «hanno una esperienza diretta profonda» e grazie alla quale possono «accompagnare il resto della comunità, compresi i pastori, a una maggiore familiarità con le sue dinamiche» [III,17,d)].
Passando, poi, alle due sole questioni da affrontare, esse riguarderebbero «il tema dell’educazione affettiva e sessuale», da «approfondire» per «accompagnare i giovani nel loro cammino di crescita» [III,14,g)], e «la ricerca di modi nuovi per coinvolgerli e offrire loro formazione e catechesi», dato che «molti giovani, che pure cercano la bellezza, hanno abbandonato gli spazi fisici della Chiesa in cui cerchiamo di invitarli a favore degli spazi online» [II,17,k)]. Infine, le uniche due proposte emerse si riferiscono alla necessità, da un lato, di «spazi che permettano ai giovani di parlare liberamente con le loro famiglie, con i loro coetanei e con i loro pastori, anche attraverso i canali digitali» [I,1,o)], dato che «in alcune regioni, per motivi culturali e sociali, (…) possono trovare più difficile esprimersi con libertà» [III,16,k)]; dall’altro lato, «di una maggiore creatività nell’istituzione di ministeri in base alle esigenze delle Chiese locali, con un particolare coinvolgimento dei giovani» [II,8,n)].
Non vorrei sembrare troppo severo o disfattista, ma questi passaggi della relazione di sintesi mi hanno lasciato un po’ d’amaro in bocca. A parte la totale mancanza di sistematicità, sia tra di essi che rispetto all’IL, ma le convergenze e le proposte risultano essere estremamente generiche e quindi quasi scontate, forse non superficiali, ma certamente il minimo sindacale per fare sì che il giovane di oggi non chiuda le orecchie o scappi appena l’adulto si rivolge a lui.
Si sovrastimano, poi, gli aspetti positivi e/o risolutivi dell’“accoppiata” giovani-digitale, mentre se ne sottostimano i gravi problemi neurologici che sempre più emergono, limitando a questo “ghetto” del digitale il campo in cui la Chiesa può imparare dai giovani (anche se bisogna riconoscere che quest’ultimo problema rientra in quello della più generale difficoltà che ha l’Ecclesia docens a pensarsi e vivere oggi anche come Ecclesia discens).
Scompare, infine, ogni riferimento al ruolo dei giovani a proposito della sensibilizzazione delle comunità ecclesiali in tema di ecumenismo (e Taize?), ma soprattutto scompare ogni riferimento ad essi in merito ad una auspicata maggiore partecipazione agli organismi di discernimento e decisione. E se proprio si vuole zumare sull’affettività e sessualità giovanile, come è stato fatto, si parli anche di emozioni, desideri, corpi, genere…
In generale, quello che lascia più perplessi è che dai passaggi in questione sembra quasi che nella Chiesa non vi fossero già buone pratiche o persone consultabili che avrebbero permesso ai vescovi e ai “non vescovi” di dire più e meglio di quanto hanno detto in tema di giovani e sinodalità. I padri e le madri sinodali non conoscevano tali buone pratiche? Non c’era nessuno tra di loro che fosse un po’ più “preparato” sulla questione giovanile? O che non potesse consultare qualche mediatore della gioventù un po’ più aggiornato?
Noi di Vinonuovo – a partire dal sottoscritto per finire con gli amici Borghi, Di Benedetto, Cossovich, Pappalardo (coi quali, peraltro, “copriamo” l’intero territorio nazionale) – sono anni che cerchiamo di ricordare alla Chiesa quanto sarebbe importante riconoscere e valorizzare il ruolo di ascolto, compagnia (vade retro accompagnamento!), proposta culturale, graduale responsabilizzazione – in una parola mediazione! – che inseganti, educatori, maestri (di sport, musica, etc.) svolgono nei confronti di quei giovani che nella loro ormai quasi totalità non appartengono più alla vita concreta delle comunità ecclesiali. E molti altri come noi, immagino, sollecitano nella stessa direzione i loro vescovi diocesani. Ma evidentemente, per ora, questi appelli cadono nel vuoto.
Spero, allora – come Simone Sereni per la mediazione delle coppie sposate – che, in questo anno di riflessioni e proposte in vista della seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità (ottobre 2024), i padri e le madri sinodali riescano a riconoscere e valorizzare questa mediazione “ministeriale” che i soggetti di cui sopra portano avanti da anni, soprattutto con persone che si sentono sulla soglia – o sono fuori – della Chiesa.
Salve
Da anni sia io che mia moglie ci chiediamo perché la chiesa abbia perduto una pedagogica di incontro verso il mondo giovanile….perché ?
Le nuove generazioni URLANO necessità aggregative che vengono disconosciute e misconosciute oramai nella prassi quotidiana……come se in una famiglia si ignorassero i bisogni ludico e relazionali dei propri figli….di ciò non c’ è contezza .