L’articolo di Gabriele Guerzoni mi spinge a scrivere queste riflessioni. Giustamente Gabriele segnala la necessità di fare i conti con la disperazione che sembra prendere il comando delle nostre reazioni esistenziali davanti a quello che stiamo attraversando a livello mondiale, rispetto a cui la Chiesa sembra davvero incapace di continuare ad offrire una speranza. E la sua soluzione sembra essere quella di tornare a Cristo, direttamente a ciò che di lui conosciamo, il suo Vangelo.
Fino qui posso anche essere d’accordo. Ma quando provo a ricucire la distanza tra me, ciò che vedo del mondo e il Vangelo, mi imbatto in una parola che Gabriele non incontra: è necessario. Ben undici volte nel NT viene usata la parola “è necessario” per parlare della passione-morte di Gesù. Ben dieci di queste sono messe in bocca a Gesù stesso, che in almeno in quattro casi mette in relazione questa necessità con l’adempimento delle scritture, cosa che fa anche Paolo in Atti, nell’unica citazione non in bocca a Cristo.
La parola greca del testo originale indica con chiarezza una necessità incondizionata di carattere assoluto, che traduce una disposizione divina con cui Dio regola la logica degli avvenimenti. Perciò parliamo di un carattere non negoziabile “delle vie di Dio”, cioè del suo modo di salvare l’uomo e il mondo. Quindi non si parla tanto di una necessità fattuale o legata a situazioni contingenti, ma di una indicazione trascendente, della volontà di Dio, che si compirà con certezza e che le scritture annunciano con altrettanta certezza.
Tradotto: perché possiamo essere salvati è necessario passare attraverso la disperazione, il dolore e la morte. Siamo ben più in là di ciò che Gabriele rilancia: continuiamo a voler bene ai piccoli e ai poveri e la speranza rinascerà. La verità del Vangelo è che Dio si muove solo quando l’uomo arriva alla disperazione. E in questa ammette, finalmente, di non aver più alcuna strada percorribile per salvarsi.
L’episodio di Marta e Maria in Gv 11 è eloquente: Gesù arriva volutamente in ritardo a Betania quando Lazzaro è già morto. Vale la pena rileggere direttamente il testo: “Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Marta intesse un dialogo teologico sulla tomba ancora calda del fratello Lazzaro, quasi senza emozioni, e Gesù resta su quel livello, rispondendo teologicamente, ma non si muove.
Ma proprio perché capisce che Gesù non si muove, Marta a questo punto fa una cosa inaspettata: “Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: Il Maestro è qui e ti chiama”. Di nascosto da chi? Forse da sé stessa, da quella parte di sé che non vuole credere che per ottenere la resurrezione del fratello lei deve disperarsi, toccare davvero il fondo, deve mettere sulla scena Maria, cioè la sincera e disperata percezione che non c’è più nulla da fare.
E Maria arriva. “Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. (…) Maria, dunque, quando giunse dov’era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l’avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto”. Qui non c’è dialogo teologico, qui c’è solo la condivisione cruda e dolorosa della disperazione. Maria dice a Gesù esattamente le stese parole di Marta, ma l’esito è totalmente diverso: Gesù decide di intervenire e risorge Lazzaro.
L’apparente silenzio e immobilismo di Dio davanti al male che dilaga non è giustizialismo: hai sbagliato, devi pagare! O qualcuno per te deve pagare! Come ci hanno detto per 10 secoli! Dio non funziona così. Ma non è neanche menefreghismo, come il laicismo continua a dire da almeno un secolo. Il cielo non è vuoto! Il suo apparente silenzio e mancato intervento è solo frutto del suo essere, cioè dell’amore. Lo so è “incredibile”, nel senso letterale del termine, ma questo è il cuore del vangelo.
In quel silenzio, in quell’immobilismo, sembra davvero che Dio dica al male: lascio che tu provi ad “afferrarmi” quanto desideri nella tua follia delirante di avermi con le tue sole forze; “rubami” pure quanto vuoi, fino anche a farmi morire realmente. E in questo accetto fino in fondo di condividere il dolore e la morte di chi non ha colpe. Però non riuscirai ad ottenermi, fosse anche ammazzandomi, perché anche dopo che tu mi avrai ucciso, nella resurrezione, io resterò ancora vivo per te, davanti a te e oltre te.
La riapertura del rapporto tra l’uomo e Dio è resa possibile dal fallimento radicale che il peccato subisce nel suo tentativo di possedere Dio, di salvarsi da solo, proprio nell’atto più estremo di averlo, uccidendolo. L’estremizzazione del male è necessaria, l’attraversamento della disperazione è necessaria, affinché fino in fondo l’uomo possa sperimentare che non può salvarsi da solo e si convinca che il peccato è la non vita, non la pienezza della vita. “Li amò sino alla fine” è anche questo.
Una conseguenza che facciamo fatica a pensare, ma che il Catechismo ci rimanda con chiarezza è questa: è necessario che la Chiesa attraversi la disperazione, che sia soggiogata dal male, che sperimenti pure lei la Pasqua. Come ogni struttura umana, la Chiesa può salvarsi alle medesime condizioni di Cristo, né più, né meno. “La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno se non attraverso quest’ultima Pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e Risurrezione. Il Regno non si compirà dunque mediante un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male” (CCC 677). E Dio vince solo nella Pasqua.
Ma Dio ha per primo sacrificato se stesso! Fin dalle origini Dimostrato amore per l’uomo da lui creato, permettendo che il Suo unico Figlio Gesù Cristo, nato uomo fosse dagli uomini ignominiosamente fatto crocifisso, una co-sofferenza patita.per che cosa? Per salvare quell’uomo che lasciato a se stesso tende a perdersi. Necessaria la testimonianza di Gesù i suoi insegnamenti, quel Vangelo la Sua Resurrezione, verità da conoscere e in cui credere per una conversione a vita nuova, Appare che sempre sia l’amore paterno di Dio che preceda in ogni tempo facendosi vicino all’uomo che riconosce essere come fu per Abramo e poi nel Figlio Gesù Cristo. E’vero che l’uomo è libero e può rifiutare tale paternità,.Con l’AI si è realizzata un modello di creatività, imitare Dio che ha creato si l’uomo di terra. ma sua immagine che è di vita per sempre. L’AI un robot, strumento, servitore, fa ciò per cui è stato costruito, non ha vita, non passato ne futuro
Io credo in Dio.
Io sento la Sua presenza nella Vita che scorre e perciò la ritengo SACRA. Perché Lui c’è.Sempre. e ne riconosco i segni.
Come quello di aver aperto un libro, dopo lo scritto di sotto.
Il Dio che non è dio.
Di Scquizzato. Con presentazione di Raimo. Che ho appena letto.
Credo che qs pagine significhino tutto quello che volevo partecipare.
Basta con l’infantilismo religioso.
Non attacca +.
Qs tema è categorico, alla Kant.
Rispondo a Gil con nella testa quella ( leggo su TV news) che si è buttata dal quarto piano x lo sfratto.
Mi spiace ma non sono affatto d’accordo con un Dio che deve portarci allo stremo x poi intervenire. Il male necessario mi fa venire in mente la Caterina che vomita x..
NO. Nella mia eterna ricerca sono approdato ad alcune certezze.
La Creazione è libera, totalmente libera dentro. Come l’Uomo. Basta col dio tappabuchi. Dio è Altro.
Io che esprimo diagnosi sull’intervento di Dio.. mi fa sorridere.😝 Come quando lo espropriamo del Suo Giudizio.
Preferisco l’incipit del Salmo citato da Gabriele.
PS. Mai trascurare che Gesù è Uomo che vuole rivelarci cos è Uomo.
Oggi spesso purtroppo non ci resta che piangere, con LUI.
Dio si muove, allora, se mi muovo io..
È forse la disperazione che in molti casi, fa muovere la mia coscienza..in questo senso è necessario, a volte, toccare il fondo, vedere il buio, per desiderare talmente la Luce da voler risalire, con tutto il cuore, non solo con la testa..
Io credo ai miracoli, ma non credo ad una magia estranea alla mia coscienza.
Gesù dice: và, la tua fede, ti ha salvato..Lui non ha fatto altro che dare visibilità ad una ferita finalmente sanata, nel corpo come nell’anima, integralmente..
E anche Gesù conosce su di sé l’abisso del male: era necessario tanto dolore? Ancora una volta, può Dio volere il sangue del Figlio? O forse siamo noi, che giriamo gli occhi e ci interroghiamo solo di fronte ad eventi estremi e violenti?
Per questa umanità, sì, forse il dolore disperato era, ed è ancora, necessario..
Grazie, Gilberto, per aver arricchito il mio piccolo pensiero.
Hai dato una spiegazione e completezza teologica che certamente condivido.
Io ho sottolineato più lo sforzo umano che l’intervento divino (nei termini significati che Tu hai espressi), ma non perché non ci creda anzi!
Ogni mattina inizio la mia preghiera col Salmo 126/7: « Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori…»
Ma confesso che il mio è stato, più che altro, uno sfogo da «povero cristo» che nemmeno sapevo sarebbe stato pubblicato, o, meglio, che sarebbe stato «necessario» pubblicare.
Con grande stima.
Gabriele