Il 14 settembre 2021 ricorre il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri.
Stabilitosi a Ravenna presso Guido Novello da Polenta, nipote della Francesca immortalata nel V canto dell’Inferno, tra luglio e agosto Dante accetta di far parte di un’ambasceria alla Serenissima Repubblica di Venezia, che minacciava guerra per questioni legate al contrabbando di sale. Passando per le paludi di Comacchio, Dante contrae un’infezione malarica: rientrato febbricitante, muore a 56 anni nella notte fra il 13 e il 14 settembre. Sepolto nella chiesetta di San Pier Maggiore, poi chiamata di San Francesco, le sue spoglie, a lungo rivendicate dai fiorentini, rimasero lì fino ai giorni nostri.
Dov’è ora Dante? Dove sei, Sommo Poeta?
Tu stesso ti sei riservato un posto in Cielo affermando di dover scalare la montagna del Purgatorio:
«Li occhi» diss’io «mi fieno ancor qui tolti,
ma picciol tempo, ché poca è l’offesa
fatta per esser con invidia vòlti.
Troppa è più la paura ond’è sospesa
l’anima mia del tormento di sotto,
che già lo ‘ncarco di là giù mi pesa» (Pg XIII 133-138)
Parlando a Sapia hai detto che per poco tempo i tuoi occhi saranno cuciti fra gli invidiosi, mentre hai ammesso di meritarti di rimanere più a lungo nella cornice precedente, fra i superbi, tanto che già ti pesava sulle spalle il carico del macigno.
Lo aveva riconosciuto anche Caronte, che non avrebbe voluto farti salire sulla barca per l’Inferno perché “più lieve legno convien che ti porti” (If III 93), sapeva che saresti stato trasportato da qualcun altro e non da lui.
Ti vedo lì, quella mattina del 14 settembre 1321, alla foce del Tevere, in attesa di prendere quel “vasello snelletto e leggero”: se anche Casella ha dovuto attendere tre mesi durante un Giubileo (Pg II 98-99), tu caro Dante magari avrai atteso almeno un anno o forse più. Ma quando sali con gli altri spiriti, al pensiero che non dovrai affrontare quell’Inferno che tanto ti ha messo a dura prova, ti vedo in questa tua Pasqua cantare “In exitu Isräel de Aegypto”, per poi ricevere dall’Angelo Nocchiero il segno “di santa croce” (Pg II 41-59).
Giunto sulla spiaggia del Purgatorio incontri Catone che anche stavolta t’invita a sbrigarti, a correre per spogliarti dal peso “ch’esser non lascia a voi Dio manifesto” (Pg II 123), non ti permette di giungere subito in Paradiso. E inizia la tua salita: fortunatamente non appartieni a nessuna delle schiere dell’Antipurgatorio e per questo arrivi subito alla porta presidiata dall’Angelo Custode, di fronte al quale t’inginocchi. Ora ti attendono le cornici e il tempo della tua espiazione: se prendiamo a modello quanto accaduto a Stazio, rimasto in Purgatorio 1204 anni, possiamo farci un’idea di quale sia stato il tuo cammino, a partire dal tuo esame di coscienza fatto di cornice in cornice e da quello che racconta la tua vita.
Tu stesso hai ammesso di dover espiare la superbia e per tanto tempo avrai portato quel masso sopra la tua testa; Stazio rimane fra gli avari 500 anni, magari a te ne basteranno meno? Per l’invidia parli di “picciol tempo” e forse saranno poche decine di anni: così anche per l’ira, che hai sempre distinto dal “buon zelo”, ma si sa, quando uno ha da giustificarsi… e poi fosse solo per come hai trattato Filippo Argenti!
Altri vizi invece proprio non ti toccano: ad esempio l’accidia, tu che non ti sei mai fermato portando avanti pure in esilio i tuoi tanti impegni politici, poetici, linguistici; l’avarizia, che per te è il più pericoloso ostacolo alla giustizia nel mondo, il più nefasto dei vizi, e si vede anche da come ti sei difeso dall’ingiusta accusa di baratteria; la gola, dalla quale avevi cercato addirittura di mettere in guardia il tuo amico Forese Donati, che invece hai ritrovato proprio in quella cornice; basti poi pensare che nell’intera Divina Commedia non ti sei mai fermato a mangiare, o quantomeno non ce l’hai raccontato.
Ma scalando la montagna l’ultima cornice probabilmente sarà un grosso intralcio: se in Inferno sei addirittura svenuto al racconto di Paolo e Francesca, significa che molto tempo dovrai rimanere con coloro che in amore non hanno osservato “umana legge / seguendo come bestie l’appetito” (Pg XXVI 83-84). Fa paura prendere alla lettera le parole di Virgilio che t’invita ad attraversare quel fuoco dei lussuriosi senza paura di consumarti anche “se dentro a l’alvo / di questa fiamma stessi ben mille anni” (Pg XXVII 25-27). Speriamo non fosse una profezia: il suo secondo vizio Stazio l’ha scontato in 400 anni, a te, che già in vita hai saputo elevarti da quell’amor carnale a uno più puro, evangelico, speriamo ne bastino ben meno di 1000.
Caro Dante, non so quanto rimarrai in Purgatorio prima di giungere in Eden e quindi in Paradiso, bisogna soprattutto vedere cosa ne pensa Dio. Però una cosa possiamo farla! È dovere di ogni cristiano pregare per le anime del Purgatorio, per alleviare il tormento e accorciare il tempo della purificazione: il Catechismo ci ricorda che coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio sono sottoposti a una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo, e fin dai primi tempi la Chiesa ha offerto per loro suffragi affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio (§ 1030-32).
Tu stesso con la tua opera, Dante, ci hai invitato a questa pratica, rappresentando le anime del Purgatorio che tante volte ti hanno chiesto preghiere per loro: Iacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro, lo stesso Guinizzelli che ti chiede “falli per me un dir d’un paternostro” (Pg XXVI 130); sono anche tante “quell’ombre che pregar pur ch’altri prieghi / sì che s’avacci lor divenir sante” (Pg VI 26-27), come Manfredi alla figlia Costanza e Adriano V alla nipote Alagia.
Chissà se in tanti secoli i lettori della tua opera hanno visto in te non solo il Sommo Poeta, ma anche il “buon cristiano” (Pd XXIV 52) e si sono soffermati a pregare per la tua anima, buon Dante! E tu ci chiederesti preghiere come tanti hanno fatto con te? Tanto grande è il desiderio del Paradiso che certamente ce le chiederesti: di sicuro discretamente, senza pretendere, affidandoti alla generosità altrui, magari proprio in questo 14 settembre 2021, 700° anniversario della tua morte, ci diresti, riprendendo le parole della Pia, “ricorditi di me, che son Dante”…
bellissimo questo dialogo con Dante, immagino la gioia del Poeta nel leggere le parole di un così profondo conoscitore della sua Commedia…….ma per una volta non sono d’accordo con Maurizio Signorile. E’ vero che come recita il Salmo “agli occhi di Dio mille anni sono come il giorno di ieri che è passato” e che a noi non è dato conoscere tempi e modi ma, secondo me, Dante à sicuramente in Paradiso già da moltissimo tempo, perchè ha già compiuto la sua ascesi di purificazione. In ogni caso mi ricordirò di lui!
Possiamo rendergli omaggio ma anche gratitudine per questa bellissima opera di testimonianza alla Fede cristiana, onorando il ricordo di Dante Alighieri posando La Divina Commedia su ogni cattedra, banco di scuola a sottoporre a commento con studenti la lettura di qualche pagina che sicuramente parla a noi oggi perché certi problemi vissuti nel suo tempo, sono ancora vivi nelle pagine dei quotidiani oggi, non scritti in tanta armoniosa bellezza e finezza di intelletto, ma nella più cruda esposizione di realtà cui vengono a mancare adeguate espressioni in parola.