Il cuore dell’unità

Oggi comincia la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Se pregare è cantare, noi lo facciamo in compagnia di Fabrizio De André
18 Gennaio 2023

«Vi esorto pertanto, fratelli, a essere tutti unanimi nel parlare. […] Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato che tra voi vi sono discordie […]. «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo» […]. È forse diviso il Cristo?» (1 Cor 1,10-13). La preoccupazione e la relativa esortazione dell’Apostolo si rivolgono quantomai anche a noi oggi, comunità cristiana in sé divisa, non solo dalle diverse confessioni ma, all’interno di queste, da sempre nuove “fazioni”, ciascuna impegnata a sostenere la “propria” verità, difendendo il proprio «essere-di» (traducendo Paolo potremmo dire: «Io sono di Francesco», «Io sono di Benedetto»…), ma dimenticando spesso colui che solo può sempre darci unione, l’unico indiviso: il Cristo.

È proprio questa situazione che ogni anno giustifica la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che invita l’intera comunità di coloro che dovrebbero essere riuniti in Cristo a rivolgersi ancora una volta a colui che è la fonte dell’unità, in comunione col Padre nell’unico Spirito. In questo senso è una settimana di preghiera, e non, ad esempio, di “teologia ecumenica”. C’è una relazione da recuperare, un tesoro comune da ritrovare, una volontà indivisa da condividere. Per certi versi, è l’occasione sempre nuova per ribadire un’eredità che ci accomuna, il mandato o, per meglio dire, il «testamento» che Cristo, in sé, ha lasciato per questa comunità purtroppo ancora troppo divisa.

In questo sforzo comune per recuperare il «tesoro», la «perla preziosa» su cui si radica ogni esperienza cristiana, non ci sembra fuori luogo lo spunto che ci viene offerto da un brano che, a suo modo, parla proprio di un testamento, ovverosia delle ultime volontà decisive e di valore “dettate” da un morente, da qualcuno che potrebbe voler dire: se dovete ricordarvi qualcosa, tenete a mente questo (non è forse quello che ha fatto lo stesso Gesù durante l’Ultima cena?). Stiamo parlando de Il testamento di Tito, canzone del 1970, scritta da Fabrizio de André e apparsa nell’album, cui già abbiamo attinto, intitolato La buona novella.

Rifacendosi a una tradizione dei vangeli apocrifi, la canzone ripercorre quella che potremmo definire un’interpretazione teologica sui generis dei dieci comandamenti da parte di Tito, uno dei due malfattori crocifissi insieme a Gesù. Il brano in sé è molto articolato e qui non può certo essere ripreso nel dettaglio. Per il nostro scopo, d’altra parte, basterà richiamare alcuni punti in cui emerge più chiaramente il cuore che, ancora oggi, si può ritrovare a fondamento della nostra comunione cristiana.

«Non avrai altro Dio all’infuori di me, spesso mi ha fatto pensare». L’unicità di Dio confessata dai cristiani (e non solo), soprattutto per la sensibilità odierna, è spesso scandalosa. Com’è possibile un vero dialogo se il Dio di ciascuno è ritenuto l’unico Dio? «Credevano un altro diverso da te, e non mi hanno fatto del male». È questa la chiave, secondo Tito. Dio, per ogni credente, rimane un «tu», qualcuno con un volto ben definito e con cui si può avere una relazione. «Dialogo», in questo senso, non può significare “perdita d’identità” o “vuota uniformità”, ma nemmeno chiusura a priori in nome di una dottrina. Ed è qui che rientra la seconda parte del verso: «non mi hanno fatto del male». Il rispetto, il riconoscimento concreto dell’altro (anche solo passivo, come non-fare-male, che non è ancora fare-bene) è il punto di partenza decisivo su cui costruire ogni altra riflessione, speculazione e “trattazione” più o meno teologica. L’unità può fondarsi solo su una relazione sincera con il proprio Dio nel rispetto dell’altro. Questo non deve minare l’unicità del proprio Dio, ma apre una possibilità di dialogo.

Un secondo punto riguarda il rito: «Ricorda di santificare le feste». L’attenzione di Tito, in questo caso, non si rivolge al gesto in sé, quanto sul come ciò venga fatto. «Facile per noi ladroni». Il giudizio non è di contenuto ma di “metodo”. Dove sta la facilità? «Senza finire legati agli altari, sgozzati come animali». L’immagine è forte, ma il senso è chiaro: è facile «entrare nei templi», perché tanto ne usciamo come vi siamo entrati. Gesù stesso (Mt 9,13) richiamando Osea (6,6) aveva ribadito come non è il sacrificio (oggi potremmo dire la “messa”) in sé a dare salvezza, ma come essa trasforma la nostra vita (secondo giustizia e misericordia), come viviamo ciò che lì celebriamo.

L’ultimo punto, infine, è invero quello decisivo, l’ultimo comandamento della serie. Se seguiamo il testo, infatti, i dieci comandamenti canonici risultano nove, in quanto gli ultimi due vengono accorpati, lasciando così lo spazio per l’effettivo ultimo comandamento “di Tito”.

Il giorno volge al declino, «adesso che viene la sera ed il buio»; lo sguardo si rivolge a Gesù morente, e qui, vedendo il suo donarsi in croce, Tito può dire: «ho imparato l’amore». Tito com-patisce il dono di Gesù: «madre, io provo dolore», se ne sente partecipe e lo riconosce come fonte di salvezza, un dolore che non cerca vendetta («nella pietà che non cede al rancore») ma trasuda amore, anche per lui, un povero ladrone. È questa la rivelazione di Dio, la gloria – direbbe qualcuno – di Dio che assume la forma della croce. È questo il fondamento cristiano, l’unico e l’indiviso che a braccia aperte accoglie tutti. Perché Tito poi morirà, all’ombra di questo amore imparato all’ultimo; noi cristiani, invece, viviamo ancora all’ombra della croce, ma proiettata dalla luce della risurrezione. Per questo sappiamo che proprio questo amore è degno di fiducia, è credibile, perché è l’amore del Padre per il mondo donato e accolto nel Figlio per mezzo dello Spirito. Questa è la fonte dell’unità, il cardine attorno al quale far ruotare ogni dialogo, l’eredità lasciataci nel Testamento (con la maiuscola) che ci rimanda a quel Dono (a sua volta maiuscolo) del quale solo possiamo vivere, al quale solo possiamo innalzare la nostra preghiera, e dal quale solo possiamo sempre di nuovo riscoprirci uniti.

5 risposte a “Il cuore dell’unità”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Tito disse..noi oggi stiamo assistendo a cosa ha portato l’odio, presunzione, l’ignoranza di saggezza. Mosca e Ucraina e partners hanno armato eserciti di armi che suppongono Vittoria ma anche morte sicura di..Solo chi vivrà, vedrà! Come azzardare garantia di Vittoria, se del doman non v’e’certezza? Che il di di oggi conferma? L’esitazione da parte di un Paese, il più forte è comprensibile vista la sua storia, cosi la paura di quello il nemico oggi, la baldanza di una vittima terza, si rivela come inconsapevole è indifferente che per tutti significa autodistruzione, morale e civile, avventata qualsiasi vantata certezza. Cristo è stato crocifisso, segno di amore per tutti sembra al comune cittadino palese il suo contrario oggi. Il giornalista Quirico, Herry Kissinger, la Chiesa di Roma hanno espresso pareri realisti, per quel certo popolo che ha in cuore Pace e vita, difesa dell’uomo qualunque. Sa di inconsapevole follia arrivare a questa determinazione.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ed e di oggi che viviamo ore, non solo tempi, dove si pretendono decisioni subitanee circa il proseguo di un conflitto giunto ormai all’apice, guerra o pace, un essere disposti da ambe le parti a sacrificare qualcosa per un bene superiore ma anche per rifiutare la responsabilità di una catastrofe che dilagherebbe come da fiume in piena, su altri popoli!! Si sono levate già voci come Giovanni ma che sembrano essersi disperse come in deserto infinito. Eppure Lui il Cristo si è fatto avanti a questo suo predecessore, gli ha dato prova di quello che Lui era e il cui Padre stesso ha fatto udire conferma del Figlio. E per noi oggi sembra il momento di innalzare da tutti i campanili preghiera, che venga sentita dove si decidono le sorti del mondo. Per questo proprio per il grande potere delle armi necessità ricorrere @ quello più alto, bisognosi proprio perché solo uomini inermi abbiamo paura della foschia che ci circonda.

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo lo riconsegno all’inserviente e sedette. Nella sinagoga tutti gli occhi erano fissi su di lui.Allora comincio a dire loro:”Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato””….Non potrebbe essere questa risposta anche per noi oggi? Quale l’ascolto alla sua Parola. La guerra o le guerre sono vie a quella Pace di cui ha parlato? E sarebbe ancora peggio se non ci fosse quella luce di candela tenuta accesa dalla Chiesa, sarebbe il buio per chi nutre ancora speranza! Forse che un Livatino non è stato luce? certo sono i soli, i pochi che determinati a dare testimonianza muoiono ma vivono sempre.al confronto di chi siede sicuro e manda altri e tanti, a morire. Questo ci fa vedere se si legge la Parola, e ci riguarda tutti opera il miracolo della vista. Per questo il santificare la festa e il riascoltare parole perse per strada, saggezza in ogni tempo ossigeno di vita che non muore

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E invece si ruba anche tra persone senza che sia “rubare”; nel mondo del lavoro p.es. ambire al posto di un altro, o se si toglie grammi nel peso della merce, o se si paga di meno e si lucra vendendo a un prezzo superiore un prodotto, nonché approfittare della fiducia di un prossimo che non si accorge di essere stato derubato. Ma convengo che necessiti il pregare per una unità di riconoscere che il Dio non può essere diverso per le fazioni, e purtroppo questo appare oggi quando ci si pone come discendenti di Abramo. A Nazareth, dove era stato cresciuto, di Sabato Gesù entro nella Sinagoga.Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia dove era scritto:” Lo Spirito del Signore e sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’Unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare

  5. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Ormai resta valido solo il settimo Non rubare. Il primo , non avrai altro Dio al di fuori di me,e’ ormai superato dopo l’ adorazione della Pachamama in Vaticano, gli altri tre non nominare il nome di Dio invano , sul santificare le feste, onora il padre è la madre, nessuno ci fa piu’ caso, poi c’e’ non uccidere ma pare non valga nel caso dell’ aborto e dell’ eutanasia . Il sesto, non commettere atti impuri, del tutto abolito : puoi fare sesso quando come e con chi vuoi, anche fuori del matrimonio e anche con persone dello stesso sesso. Che cosa rimane ? Il settimo appunto non rubare. Gli altri tre : non dire falsa testimonianza e non desiderare la donna è i beni del prossimo, la realta’ ci dimostra che sono del tutto ignorati e mai ricordati dai predicatori. Dunque rimane solo il non rubare.

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