Cattolicesimo e cultura. C’è spazio per l’insegnamento della religione cattolica?

Nel dibattito in corso sul rapporto tra cattolicesimo e cultura quasi inosservato è passato il ruolo che può avere la mediazione scolastica...
3 Settembre 2024

Quello fra cattolicesimo e cultura è un legame importante, in particolar modo nel nostro Paese. Per questo motivo risulta assai positivo che un quotidiano come Avvenire ospiti da qualche tempo un dibattito a più voci su di un aspetto rilevante tanto per le nostre comunità quanto per la nostra storia. Si tratta di una questione ripresa e rilanciata da vari pensatori, da blog di approfondimento come VinoNuovo e da diversi organi d’informazione d’ispirazione cristiana. Come si poteva prevedere, l’attività di ripensamento della relazione fra cattolicesimo e cultura ha generato una serie di opinioni volte a percorrere “nuove vie”, a coltivare una “fede pensata”, a ridestare la “passione”, a tornare alle “radici”, a divenire “segno di contraddizione”, ad accogliere le nuove “sfide culturali”.

Di certo, in questo nostro tempo, siamo invitati in quanto credenti a riflettere su come e quanto le esigenze della fede possano offrire un contributo alla cultura. Da questa premessa risulta evidente che l’interesse dei cattolici nei riguardi della cultura non è finalizzato al possesso o al controllo di alcunché bensì alla fermentazione di tutto ciò che di autenticamente umano, libero, giusto e buono è presente nella società. Di conseguenza il coinvolgimento dei cattolici all’interno della cultura attuale è teso – più che a rimarcare evidenze pubbliche e prese di posizione – a rilanciare percorsi, a fomentare vie, a incoraggiare cammini, a riscoprire bellezze e profondità, a camminare e a sostare insieme.

Se diamo per buono quanto affermato sopra occorre introdurre in questo dibattito un elemento di non poco conto che riguarda milioni di alunni e diverse migliaia di professionisti del mondo della scuola: l’insegnamento della religione cattolica. Il nuovo concordato del 1984 – e tutto ciò che ne è seguito – ha fornito all’IRC uno statuto che nel tendere alle finalità della scuola mira alla formazione globale della persona. Una disciplina che, come sa chi abita il variegato settore dell’istruzione, nel mantenere la confessionalità e nel tutelare la libertà di coscienza tramite la facoltatività, si apre al dialogo interreligioso e transculturale.

È un sapere congiunto alla vita quello proposto dall’IRC che radicandosi nella cultura italiana ed europea del passato è diretto a generare frutti per interpretare e vivere la complessità del presente. Questi frutti sono connessi alla specifica ermeneutica del reale avanzata dall’IRC tesa a far maturare negli allievi quelle competenze del linguaggio religioso congiunte al vedere e al dire del mondo, di sé, degli altri, dei bisogni, delle attese, della vita in generale. In tal modo la visione soggiacente all’IRC promuove – attraverso le strategie e le metodologie degli insegnanti di religione – un sapere che diventa risorsa per la nostra società poiché ricerca la maturazione e l’affinamento di alcune competenze fondamentali per vivere nelle odierne comunità plurali. Un sapere che, profondamente invischiato nelle vicende umane, diventa cultura.

Alle peculiarità dell’insegnamento della religione cattolica dobbiamo legare quelle degli insegnanti della disciplina che ogni giorno sono chiamati a mettere al centro della loro presenza a scuola la qualità delle relazioni, la conoscenza della materia e l’impegno a divenire divulgatori e produttori, insieme agli allievi e ai colleghi, di un sapere che sostiene e fortifica la nostra società. Un sapere radicato nella quotidianità e destinato a migliorarla.

Ne deduciamo che all’interno della cornice del dibattito sulla relazione fra cattolicesimo e cultura la Chiesa è chiamata a riscoprire la speciale valenza dell’insegnamento della religione cattolica come mezzo di mediazione e di formazione culturale importante sia per la pastorale della scuola e della cultura sia in quanto luogo teologico diretto a intendere le angosce, le delusioni, le attese e le speranze di questa nostra generazione. Attraverso l’IRC, e dunque per via culturale e formativa, la missione della Chiesa giunge ogni anno a milioni di bambini, adolescenti e ragazzi. Probabilmente è giunto il tempo di valorizzare ancor di più simile insegnamento reso possibile tramite l’opera di credenti, cittadini e professionisti che formatisi all’interno delle facoltà teologiche agiscono – su mandato ecclesiale – in una importante istituzione pubblica come la scuola.

11 risposte a “Cattolicesimo e cultura. C’è spazio per l’insegnamento della religione cattolica?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Tanti fatti di cronaca riguardanti il mondo giovani, fatti raccapriccianti per l’orrore di cui si fatica credere possibile sollecitano domande, come sia possibile accadano da ragazzi che comunque hanno frequentato scuole, sono cresciuti non nella strada ma risultano debolì proprio per non avere assimilato quella cultura in un alveo sociale che si è preso cura della loro vita, La società tutta è chiamata a sentirsi responsabile. Da cittadini si desidererebbe sentire la voce dei più autorevoli psicologi e studiosi in ogni campo della cultura a saper leggere le lacune che stanno alla base di una formazione che da risultati così deludenti.!? Libertà senza capacità a discernere ciò che ha valore nella vita, conoscenza di se di diritti, ma anche doveri, una educazione che lascia la persona in mano di se stessa incapace di discernimento nell’affrontare un mondo che esalta il potere e la ricchezza, Senza ideali di sostegno cosa aspettarsi se non questa cruda realtà!

  2. Roberto Beretta ha detto:

    Sic stantibus rebus, perché allora non far diventare la storia delle religioni (in primis quella cattolica, per ragioni storico-geografiche) una materia curricolare come le altre? Perché la Chiesa se la tiene come una sua riserva privata, compresa la scelta dei docenti? Che cosa teme? Queste non sono certo questioni nuove e nemmeno vogliono mettere in dubbio le capacità e la competenza dei docenti attuali. Ma dissento profondamente che lRC debba essere un modo per portare “la missione della Chiesa a milioni” di giovani. Mi accontenterei più umilmente che questi milioni acquisissero l’alfabetizzazione religiosa necessaria a comprendere la cultura nella quale vivono.

    • Rocco Gumina ha detto:

      Grazie. Può pensare dell’IRC, e dell’articolo, tutti quello che ritiene. A me va comunque molto bene. Tuttavia, i passaggi degli articoli che si leggono occorre citarli tutti al fine di evitare confusioni o letture superficiali. La invito pertanto a rileggerlo e a citarlo integralmente. Ad esempio, mi permetto di sottolinearle questo passaggio: “Attraverso l’IRC, e dunque per via culturale e formativa, la missione della Chiesa”. A scuola l’IRC, in soldoni, non fa pastorale ma educazione-formazione e infine cultura alla luce della finalità della scuola. Cari saluti.

      • Roberto Beretta ha detto:

        Ha ragione, ma in mille battute non si può citare tutto… In ogni caso, l’ultimo paragrafo dell’articolo mi pare assai stonato. Non si può parlare, a mio parere, di “pastorale della scuola” nell’Irc (o forse è addirittura sbagliato parlare di “insegnamento della religione cattolica”…). Anche parlare di docenti che siano per forza “credenti” e agiscano “su mandato ecclesiale” sposta nella scuola contenuti indebiti

    • Rocco Gumina ha detto:

      La natura complessa, e complicata, dell’IRC dovrebbe indurci ad evitare definizioni granitiche e rocciose certezze. In sintesi è evidente che “ad extra”, come riconosciuto dalla normativa scolastica vigente, l’IRC abbia valenza educativo-formativa e culturale. “Ad intra”, invece l’IRC – e dunque gli IDR – hanno molto da spartire con la pastorale. Ciò significa che a scuola non si fa nè pastorale nè catechesi ma che l’IDR può essere un agente di pastorale e di catechesi all’interno della missione della chiesa nel mondo. Distinguere per capire diceva un saggio tempo fa… ecco l’IRC è una di quelle dimensioni per le quali occorre distinguere per capire al fine di evitare di risultare stonati quando non si riesce a leggere lo spartito.

      • Roberto Beretta ha detto:

        Mi stupisce quello che lei afferma, sicuramente con molta più cognizione di causa della mia sull’Irc. Lei è un insegnante di religione e credo che se dicesse ai suoi alunni che “l’IDR può essere un agente di pastorale e di catechesi all’interno della missione della chiesa nel mondo” non creerebbe una rivolta generale solo perché i giovani di oggi non reagiscono come avremmo fatto noi negli anni Settanta. Auguri per il suo lavoro

    • Rocco Gumina ha detto:

      Lo stupore è assi positivo. Da lì parte la conoscenza del mondo diceva qualcuno qualche secolo fa. Bene se si riesce a generarlo. Grato per aver innescato io questo processo. Molti auguri.

    • Michele Santi ha detto:

      Caro Beretta, per fortuna abbiamo superato (spero) l’idea che Idr non è catechismo. In compenso mi piacerebbe molto- da idr – fare storia delle religioni. Ma la Chiesa non sembra voler mollare un settore di potere.
      Speriamo in bene

    • Claudio De Ponti ha detto:

      Bisogna proprio essere ciechi per non accorgersi che l’IRC sta morendo per lento dissanguamento e che il contesto socio-culturale da cui è scaturito il nuovo Concordato del 1984 è lontano anni luce da quello multi religioso odierno.
      La Chiesa, gelosa del proprio orticello autoreferenziale, dovrebbe coraggiosamente farsi da parte segando il ramo su cui è seduta, forte di un 84% nazionale di avvalentesi che è assolutamente ingannevole, perché nelle grandi città (dove si gioca la vera sfida del confronto e dell’integrazione, soprattutto tra gli adolescenti delle secondarie superiori) le percentuali sono in caduta libera.
      Riformare l’IRC trasformandola in un’ora di Scienze Religiose obbligatoria per tutti, abdicando alla pretesa poco laica di conferire certificati di idoneità morale e dottrinale a docenti che vogliono semplicemente sanare un “Analfabetismo biblico e religioso (una questione sociale)” parafrasando il recente volume curato da Brunetto Salvarani.

  3. Maria Cristina Venturi ha detto:

    La parola ” cultura” e’ una sovrastruttura .
    I discepoli di Gesu’ non hanno bisogno di una cultura se seguono Gesu’ lo amano ne seguono i comandamenti.La cultura medioevale era diversa da quella cinquecentesca eppure sia San Francesco e San Domenico ,sia nel 500sant’ Ignazio e santa Teresa furono discepoli di Gesù’.
    Al mondo di oggi si puo’ essere discepoli di Gesu’ ,cioe’ cristiani ,senza per questo fare propria la cultura contemporanea ne’ ignorandola. Si deve avere il vero sentimento di amore per Gesu’ e la vera volonta’ di seguirlo, la cultura e’ secondaria .

    • Rocco Gumina ha detto:

      Concordo. Il cattolicesimo/cristianesimo non potrà mai coincidere con una cultura bensì è chiamato a fecondare ogni cultura. Sul tema potremmo rileggere lo straordinario magistero di Paolo VI.

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