Non inquinare o non uccidere

Essere ambientalisti non è solo un vezzo alla moda, ma ha a che fare con il cuore del Vangelo. Una consapevolezza da far crescere.
24 Ottobre 2019

Salgo sul bus insieme ai ragazzini di quinta tappa e ai loro catechisti, siamo appena stati in un piccolo santuario poco lontano, a celebrare l’inizio dell’anno catechistico. Hanno cantato, pregato, si sono riconciliati, hanno giocato e fatto merenda, sembrano molto allegri. Troppo. Si alzano continuamente e vanno su e giù per il corridoio, l’autista mi chiede: “Potete tenerli buoni? È pericoloso…”

Così prendo il microfono, mi inventerò qualcosa. Ma per coinvolgerli devo partire da loro.

“Allora, ragazzi, bella giornata?”

“Siiii” in coro. Bene, è un buon punto di partenza.

“Sapreste dirmi perché vi abbiamo fatto questa proposta?” Prima silenzio, poi qualcuno azzarda: “Per iniziare bene catechismo?” “Per fare una cosa diversa”. Le risposte si accavallano, e io sottolineo soddisfatta che tutti hanno detto una parte di verità.

Una bambina alza la mano. “Assunta, il prete in confessionale mi ha fatto una domanda che non mi aveva mai fatto nessuno. Mi ha chiesto se sono brava nel gettare le cose nel cestino, se butto la plastica con la plastica eccetera. Io lo faccio, ma non avevo mai pensato che non farlo fosse peccato…”

Ma che bravo prete … Sorrido e inizio a spiegare il senso della nostra responsabilità ambientale legandolo al quinto comandamento, “non uccidere” che, oltre a non togliere direttamente la vita, ci chiede anche di agire in modo da difenderla, promuoverla, in tutte le forme possibili. Rinforzo con gli esempi della raccolta differenziata, e di tutti i comportamenti corretti per un uso più responsabile delle risorse (non con queste parole, naturalmente, cerco di farmi ascoltare e scherzo un po’).

Siamo arrivati.

Mentre i bambini scendono l’autista si gira verso di me e mi apostrofa: “Io oggi sono arrabbiato con lei”. Lo guardo stupita: “Perché?”

“Perché mi ha aggiunto un comandamento. Faccio già fatica a rispettarne dieci, ma dove è scritto che non devo inquinare?”

Mi auguro stia scherzando … e glielo dico sorridendo. Lui ci pensa un po’ e risponde: “Mica tanto, veramente. Io vado in chiesa, cerco di essere cristiano, ma non me la può fare troppo complicata”.

Molti anni fa un mio professore di teologia ci spiegava il significato della parola ‘salvezza’ attraverso l’analisi del saluto del Risorto ai suoi, la domenica di Pasqua: “Shalom/pace a voi” (Gv 20,19). Diceva che Gesù, in sintonia con il significato di questo saluto nella cultura ebraica, non intendeva porgere ai suoi un generico augurio per vivere senza conflitti a livello interpersonale, ma riassumeva in questa parola il senso di tutta la sua missione: portare, donare la possibilità di una vita vissuta nella vera pace, in armonia con se stessi, con gli altri, con il creato e con Dio. Queste quattro dimensioni sono il significato profondo dell’ecologia integrale di cui parla papa Francesco, (Laudato si’ cap. IV) sono l’altro nome della salvezza, che è pienezza di vita in tutte le sue forme, terrena e ultraterrena, personale e comunitaria, attiva e contemplativa.

È uno sguardo ampio, che dilata gli orizzonti sia della questione ecologica, spesso derubricata a preoccupazione di ragazzine e di qualche radical chic, che di una certa forma di cristianesimo, vissuto entro i confini rigidi del fissismo dottrinale.

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