Dal 30 settembre al 3 ottobre si è tenuto a Sacrofano, vicino a Roma, il ritiro pre-sinodale rivolto ai membri, ai delegati fraterni e agli inviati speciali della XVI Assemblea generale del Sinodo dei vescovi. A tenere le meditazioni è stato il padre domenicano inglese Timothy Radcliffe, in qualità di assistente spirituale, mentre l’introduzione alle celebrazioni liturgiche è stata appannaggio di suor Ignazia Angelini, benedettina: la scelta è stata segno di una vera sinodalità, su cui insiste papa Francesco, per cui, nella Chiesa, c’è posto per tutti e per le diverse espressioni della fede cristiana e delle vocazioni.
Di tutte le profonde e “profetiche” meditazioni di padre Radcliffe vorrei soffermarmi sulle prime quattro e sulle parole-chiave che hanno caratterizzato gli interventi, ovvero speranza, casa, amicizia, conversazione.
Speranza. Essa si fonda, dice Radcliffe, sulla “speranza eucaristica”, sul fatto che Cristo ha dato se stesso per la salvezza dell’umanità e va “al di là della nostra immaginazione”, perché trascende ciò che desideriamo. Da una siffatta speranza derivano due auspici: uno per la Chiesa, perché «questo Sinodo porti non a una divisione ma a un suo rinnovamento e a una primavera ecumenica»; il secondo per l’umanità perché, di fronte ad un futuro cupo, segnata da catastrofi naturali, dall’emergenza sociale di persone in fuga da povertà e guerre e da centinaia di migranti annegati nel Mediterraneo, è necessaria, ora più che mai, “raccogliersi nella speranza per l’umanità”. Poi il padre domenicano si sofferma sulle dinamiche interne del Sinodo e sottolinea come non importa se le speranze dei partecipanti siano diverse tra loro: l’importante è aver fiducia, aver fede potremmo dire, che tutto ciò che viviamo, tutte le nostre contraddizioni e sofferenze in qualche modo hanno un senso.
E poi l’ascolto vero, senza pregiudizi e filtri di nessun genere: “ascoltando il Signore e gli uni gli altri, cercando di capire la sua volontà per la Chiesa e per il mondo saremo uniti in una speranza che trascende i nostri disaccordi”.
Casa. Oltre a sottolineare in generale la crisi abitativa esistente, padre Radcliffe parla di un’altra crisi, ovvero della mancanza di una “casa spirituale” e ciò dovuta all’individualismo acuto, alla disgregazione della famiglia, alle diseguaglianze sempre più marcate che provocano uno “tsunami di solitudine”. Poi sposta il discorso all’interno della Chiesa, in cui si denotano delle spaccature su cosa significhi essere “casa”. C’è chi guarda alla tradizione antica e pensa che l’identità ecclesiale debba essere ben delimitata; c’è, invece, chi desidera una Chiesa rinnovata e aperta all’esterno. Per il religioso inglese sono entrambe giuste, ma è molto significativo il concetto che esprime subito dopo e cioè che, in qualunque cultura, ovunque siamo “Dio fa la sua casa con noi, viene a stare con noi. Egli è l’Emmanuele, colui che fa la sua casa anche in luoghi che il mondo disprezza”, come il carcere. Da qui l’esortazione a camminare verso una Chiesa in cui chi ora si sente ai margini o escluso percepisca di essere veramente “a casa”, di essere riconosciuto nella sua peculiarità.
Amicizia. “Questo Sinodo – dice l’assistente spirituale – sarà fruttuoso se ci condurrà a una più profonda amicizia con il Signore e tra noi”. Lo snodo cruciale è quello del passare dall’io al noi in una “collegialità affettiva” che può precedere quella effettiva; questo a maggior ragione oggi, nel mondo che “ha fame di amicizia ma è sovvertito da tendenze distruttive” come il populismo, i facili slogan, la cecità e sordità della folla indistinta, l’individualismo che guarda solo all’interesse del singolo. Al contrario, in un’ottica ribaltata, gli amici “guardano nella stessa direzione”, verso uno stesso obiettivo pur in disaccordo sulle risposte alle domande. Dunque, conclude il religioso, dal coraggio che si ha nel “condividere i dubbi e nel cercare insieme la verità” sboccia l’amicizia, nella quale tutti i partecipanti al Sinodo sono chiamati a camminare.
Conversazione. Partendo dall’icona dei “discepoli di Emmaus”, padre Radcliffe afferma che sì, nella Chiesa ci possono essere tanti delusi, tanti arrabbiati, atteggiamenti giustificati per gli abusi sessuali sui minori, per la posizione delle donne nella vita ecclesiale e quindi la loro speranza è che il Sinodo ascolti la loro voce, le loro esigenze: “La vera conversazione – dice – è quella che non parte da risposte preconfezionate e già pronte ma ha bisogno di un salto fantasioso nell’esperienza dell’altro”. Una caratteristica della conversazione è il suo “essere rischiosa” in quanto cambia e fa nascere una dimensione della nostra vita e della nostra identità che prima non c’era. Quindi, sottolinea il domenicano, restare ancorati a “identità chiuse e fisse […] non ci permette di aprirci alla spaziosa amicizia del Signore; ciò implica anche arrivare a capire che la differenza è fertile e generativa”.
Nelle altre meditazioni ha analizzato il concetto di autorità o, meglio, della crisi di autorità che oggi vive la Chiesa, screditata dagli abusi sessuali e, aggiungo io, da operazioni finanziarie poche chiare ed “evangeliche”. Infine, è tornato sul concetto di verità affermando che: “quali siano i conflitti che incontriamo nel cammino di questo siamo sicuri. Lo Spirito di verità ci sta conducendo a tutta la verità”.
Tanta “carne al fuoco” con la speranza e la fiducia che lo spirito sinodale, tanto caro a papa Francesco, il soffio dello Spirito, che “soffia dove vuole”, conduca alla verità, porti a percorsi di accoglienza e inclusione, infonda la capacità di ascolto, dialogo e comprensione.
(ph Vatican Media)
Interessante e degno di nota l’espressione di “collegialità affettiva”.
Se non è coinvolta l’intera esistenza, se non vi è condivisione sincera, la collegialità sarà ridotta (se non lo è già stato in passato) ad uno slogan.