Strano effetto, entrare nelle sala del Domina Hotel Conference sabato scorso (18 giugno), dove un gruppo di realtà ecclesiali attive nel sociale a Roma si erano date appuntamento, per costruire una “Roma Reciproca”.
Fuori i media pubblicano le mappe delle proprietà immobiliari di Propaganda Fide, dentro ci si aggiorna sui dati del disagio a Roma: 25% di abitanti anziani, il 70% dei quali con pensioni che non superano i mille euro al mese; 10% di residenti stranieri; 1milione e 300mila famiglie di cui solo il 24% rappresentano coppie con figli; 100mila famiglie coinvolte in problemi di non autosufficienza, 2.300 detenuti, 25mila accessi ai Sert, 2mila senza tetto, 170mila famiglie in disagio economico…
Fuori i notiziari aggiornano sulle indagini su reti di potere e traffici poco chiari che coinvolgono anche nomi della gerarchia ecclesiale; dentro si denuncia la fatica di stare con i poveri, con lealtà e trasparenza, in faticoso dialogo con istituzioni latitanti e politici sordi.
Fuori si discute del ruolo pubblico della religione e della presenza della Chiesa nella società, qui si vede un pezzo di Chiesa che non ha questo problema, perché, semplicemente, è la società. Non sta nei palazzi, ma sulla strada, condividendo le gioie e i dolori degli uomini d’oggi.
È la prima volta che si mettono attorno ad uno stesso tavolo realtà molto diverse da loro, ma cui bisogna riconosce il merito oggettivo di avere reso un po’ migliore, o un po’ meno peggiore, la capitale e la sua regione: la comunità di Sant’Egidio, la Caritas, la fondazione Don Luigi Di Liegro, la fondazione Don Orione, l’Opera Don Calabria, il Centro Astalli, la Compagnia delle Opere, la fondazione Don Carlo Gnocchi, il Borgo Ragazzi Don Bosco e l’Opera don Guanella. L’iniziativa è partita da Don Vinicio Albanesi, che ha messo sul tavolo due temi: «la nostra spiritualità, che caratterizza quello che abbiamo vissuto in questi anni: manca una riflessione profonda sulla carità, che ci aiuterà – oltre alla testimonianza – nella grande missione di comunicare la fede”, e «un nuovo welfare, perché l’attuale sta implodendo con il cambiamento dei bisogni».
Di fronte a un «mondo politico e amministrativo che sembra aver dimenticato a Roma povertà ed emarginazione», le realtà del mondo associativo cattolico si sentono «abbandonate dalle istituzioni in termini di riconoscenza professionale e adeguati finanziamenti”» (Giuseppe Brunelli, direttore della Casa Opera don Calabria). Ma il problema non è solo politico ed economico: è anche spirituali ed ecclesiale. La nostra Chiesa è ancora capace di condivisione? È ancora capace di accoglienza? Ha ancora la credibilità per chiedere giustizia sociale? Ha ancora la libertà per alzare una voce critica di fronte alla corruzione e allo spreco che tolgono risorse ai poveri, all’egoismo e al particolarismo che portano i baciati dalla fortuna (o dalla parentela) a difendere i propri privilegi a scapito della giustizia sociale? Ha ancora l’autorevolezza per mettere nell’arena sociale le proprie forze, senza lasciare che i poteri politici ed economici le avvolgano nelle nuove forme di clientelarismo che vediamo moltiplicarsi?
C’erano pochi preti, al Domina Hotel Conference, e molti laici. I preti erano per lo più al tavolo dei relatori, i laici per lo più in sala, ma comunque c’erano. Anche questo è parte del problema: perché qui, in un Hotel funzionale ma periferico i laici parlano, dibattono, testimoniano mentre in altri luoghi, più centrali e storici, la loro voce ancora arriva troppo poco? E non si dica che è colpa dei media e dei giornalisti, che intervistano solo vescovi ed autorità ecclesiastiche varie. Il problema è che i laici, appena dicono qualcosa un po’ fuori linea, vengono subito sconfessati. Come da tradizione, poche le donne al tavolo: due su tredici. Anche questo è parte del problema di una Chiesa che cerca un ruolo per se stessa, senza darne uno, al proprio interno, a metà dei suoi membri.
E mentre la discussione si sviluppava, interessante e appassionata, veniva da chiedersi: Caritas, Sant’Egidio, Compagnia delle Opere, Centro Astalli, Fondazione Di Liegro, Don Orione, Don Gnocchi, Don Bosco, Don Guanelli e tutti gli altri che ogni giorno si spendono sulle frontiere sociali, rappresentano la Chiesa di oggi? O sono solo il suo volto buono, utile per tenere alta la qualità del brand ecclesiale, ma dietro il quale sta una realtà profondamente diversa ed estranea, che non sa più riconoscere nel volto dei “feriti dalla vita” quello del Cristo in croce e ha dimenticato l’esistenza della gratuità come stile di vita e di testimonianza.
A settembre, le associazioni che si sono riunita nel nome di Roma Reciproca presenteranno un documento di proposta. Speriamo che sia una proposta che non riguarda solo la società e la politica, ma anche una Chiesa un po’ più reciproca.