Visitate i carcerati…

Di fronte alle tragiche notizie che provengono dalle carceri italiane, ritornare al testo biblico può aiutare a riordinare i pensieri e riorientare le emozioni che in casi come questi possono travolgerci.
6 Luglio 2021

Tutti abbiamo guardato le immagini e letto i frammenti delle intercettazioni relative a quanto sarebbe avvenuto tra gli agenti di polizia penitenziaria e i detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020, dopo che in esso (come in molte altre carceri italiane) si verificò una rivolta legata alla gestione della pandemia in corso. Una tragedia nella tragedia.

Le indagini provvederanno ad appurare le responsabilità del caso: la recente notizia delle condanne in primo grado riguardanti alcuni appartenenti alla caserma Levante di Piacenza, oltre a quelle (di primo grado) relative alle carceri di San Gimignano e di Ferrara e al caso Cucchi (riformate in secondo grado) , rassicurano in parte sulle intenzioni delle istituzioni statali di raggiungere la verità dei fatti accaduti per onorare la propria credibilità – anche grazie, non bisogna dimenticarlo, alla vigenza dal 2017 del reato di tortura (introdotto però tra molte critiche e contrarietà di entrambi gli schieramenti politici).

Non vogliamo discutere le consuete reazioni (e appropriazioni) che si manifestano di fronte a fatti simili. I politici (di destra) che esprimono la loro solidarietà verso gli agenti coinvolti per difendere l’onore dell’istituzione – quasi ricalcando gli errori commessi dalla Chiesa Cattolica nella tragedia della pedofilia del clero; quelli (di sinistra) che, con le parole di Fabrizio De André, si costernano, si indignano, si impegnano (forse), ma poi – di fronte alla richiesta di investimenti importanti (in spazi e formazione) – gettano «la spugna con gran dignità» (Don Raffaè), oppure qualche sindacato di categoria che parla di «frustrazione» o di «situazione tecnicamente sfuggita di mano, come a Bolzaneto», evocando (e contestando?) un passato per il quale l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani per il reato, appunto, di tortura.

Sappiamo, infatti, quanto questi giudizi reattivi – in principio o di fatto non rieducativi (come chiederebbe invece la Costituzione all’articolo 27, comma 3°) – rappresentino, purtroppo, il sentimento profondo di buona parte del nostro popolo, anche di quello di Dio (in tal caso quanto santo?). Ma allora, se vox populi è vox dei, solo evocando un altro Dio – la sua alterità di cuore e di pensiero (Is 55,8-9) – si può sperare di correggere l’ingenuità, l’ignoranza o la malafede di cui questo nostro popolo resta a volte vittima.

Perciò vorremmo solo ricordare – per farci interrogare altrettanto nel profondo – quanto il testo biblico si faccia eco della questione carcere e della violenza corporale che ad essa è legata.  L’opera di misericordia di visitare i carcerati, indicata da Gesù come uno dei criteri perché i pagani entrino nel Regno di Dio (Mt 25,36.39.43-44), ovvero l’invito della Lettera agli Ebrei di ricordarsi dei carcerati, come se fossimo loro compagni di cella, e dei maltrattati corporalmente (Eb 13,3), costituiscono il compimento di un percorso biblico di attenzione e di cura che affonda le sue radici sin nella storia dei patriarchi: Giuseppe, il sognatore, finì ingiustamente in prigione (Gn 39,20) – nei sotterranei (Gn 40,15; 41,14) – per due anni (Gn 41,1), pur essendovi trattato con «benevolenza» (Gn 39,21). Il profeta Geremia fu percosso e finì ingiustamente in un carcere sotterraneo per molti giorni (Ger 20,2; 37,15-16). Uguale sorte toccò al profeta Michea (1Re 22,27; 2Cr 18,26), al veggente Canàni (2Cr 16,10) e al giudice Sansone, accecato e gettato in prigione a girare la macina (Gdc 16,21). Tanti altri ebrei anonimi verranno poi imprigionati (Sap 18,4; Ez 19,9). Per questo i salmi implorano Dio di esserne liberati (141,8), i profeti ne annunciano la liberazione (Is 42,7) e la sapienza lo testimonia (Sap 10,14).

Giovanni Battista finì ingiustamente i suoi giorni in carcere, dove fu decapitato (Mt 11,2; 14,3.10; Mc 6,17.28; Lc 3,20). Lo stesso Gesù, durante i due processi sarebbe stato deriso, insultato e percosso (Mc 14,65; 15,19-20). I discepoli di Gesù furono incarcerati a più riprese (Atti 4,3; 5,18; 8,3; 22,4; 26,10-11); «senza violenza», lo si noti, solo quando erano in presenza del popolo, loro amico, che poteva porre in essere degli atti di rappresaglia (Atti 5,26). Tra di loro, soprattutto Pietro (At 12,3-5) e Paolo (At 16,23-24; 24,27; Col 4,10; 2 Tm 1,8; 2Cor 6,5; 11,23) sperimentarono le durezze della prigionia, a partire dalle percosse. Di altri discepoli se ne profetizzò l’incarcerazione (Mc 13,9.11; Ap 2,10).

Perché la Bibbia ebraica e quella cristiana evidenziano in tal modo il carcere e le violenze corporali ad esso legate?

Per ricordare che il Dio degli ebrei e dei cristiani è sempre dalla parte delle vittime – spesso innocenti capri espiatori – degli abusi di chi detiene il Potere? In tal caso, la denuncia di (anche) questa violenza del Potere fa parte o no «dell’eredità giudaico-cristiana dell’Europa» di cui alcuni politici chiedono il «rispetto»? Nel caso in cui, invece, le vittime siano effettivamente colpevoli (di reati diversi da quelli di molti protagonisti biblici che abbiamo imparato a valutare come espressioni della «libertà di pensiero»), il testo biblico vuole forse ricordare che nel carcere si sperimenta sino in fondo cosa sia la misericordia, la riconciliazione, la rieducazione e quanto sia difficile praticarle? Vuole forse anche ricordare cosa siano il mistero della libertà personale in rapporto alla ‘casualità’ degli ambienti in cui nasciamo e che determinano la nostra esistenza?

In definitiva, il ripetersi nel testo biblico della questione carcere (e della violenza corporale che ad essa è legata) non ci invita forse a fare esperienza profonda dell’essenza di ciò che vorrebbe da noi il Dio del popolo ebraico e di Gesù di Nazareth? Quell’«essere balsamo per molte ferite» (E.Hillesum), quel cingersi con un grembiule e lavare i piedi dell’altro – chiunque esso sia per genere sessuale e religione – che lo stesso Papa Francesco (modificando le rubriche del Messale) ha indicato, celebrando la lavanda dei piedi del giovedì santo, fino all’interruzione degli ultimi due anni, nelle carceri di Casal di Marmo (2013), Rebibbia (2015), Paliano (2017), Regina Coeli (2018) e Velletri (2019)?

Un ‘laico’ come il magistrato di sorveglianza di Firenze, Marcello Bortolato, ne è profondamene convinto se scrive, dal punto di vista di una magistratura “sinodale”, che «quando presidente della Scuola superiore della Magistratura era Valerio Onida, i giovani magistrati erano tenuti a frequentare degli stage penitenziari addirittura per 15 giorni. Poi, per alcune ingiustificate polemiche che sono sorte anche all’interno della magistratura, non se ne è fatto più nulla, perdendo un’occasione unica di crescita professionale ed esperienza umana». E noi, da ‘credenti’, siamo convinti di quanto ci esortano a pensare e a fare i testi biblici citati e la testimonianza del vescovo di Roma?

 

Una risposta a “Visitate i carcerati…”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Fa effetto quello che in TV si è visto, cioè uomini che con un manganello trattano altri come bestie da soma, profittando del loro stato di sudditanza, a non aver diritto di reagire. miserevole realtà . E’ pur vero che certe azioni delittuose compiute vanno oltre l’umano, neppure le belve sono capaci di tanto. Ci sono delitti che solo Dio può essere delegato a essere giudice perché tale appare la inumana efferatezza . Ora, Nel Vangelo si legge che anche Cristo ne conferma l’esistenza, quindi vuol dire che l’uomo può diventare altro in preda a passioni , E la storia e la cronaca dei nostri giorni lo riporta..Gli olocausti, di tanta gente , capacità di uccidere genitori, o i propri figli, …casi estremi? Mah, Per questo è importante la Parola essere capaci di fedeltà a vivere quanto in essa vi è insegnamento, come anche di perdono e rimettere a Dio ciò che va oltre i nostri limiti.

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