Senza fretta, senza indugi: Pentecoste

Agli apostoli è richiesto di aspettare il dono dello Spirito. Anche a noi può essere richiesto di attendere che questo dono fruttifichi. Ma, d'altra parte, non dobbiamo neanche indugiare nel Cenacolo.
23 Maggio 2021

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. (Gv 16,12) Con queste parole Gesù invita gli apostoli ad attendere il dono dello Spirito.

Per chi, come lo scrivente, esercita la professione di docente, che nel Vangelo si parli di peso della conoscenza è uno stimolo a cui difficilmente si riesce a resistere. Mi pare che il punto centrale sia quello della conoscenza come processo, con i suoi tempi. Tempi che sono dettati dalla capacità di apprendimento del discente, ma anche dalla ricerca mai appagata del docente, che continua a imparare mentre insegna, attraverso l’insegnamento. Nello sforzo di comunicare efficacemente, si ritorna, con andamento a spirale, sugli stessi concetti, rafforzando i capisaldi e sfrondandoli da ciò che sembra non essenziale. Inutile dire che, mentre scrivo queste cose, per contrasto il pensiero corre alla sterminata quantità di nozioni disponibili in rete. Quantità sterminata, con la difficoltà intrinseca di riconoscere i fondamentali e i nessi.  L’immediatezza del reperimento ci fa dimenticare che la conoscenza ha un peso. Attingendo alla rete raccogliamo, quasi senza processo, nozioni prive di organicità, curiosità erudite o informazioni ripetute in fotocopia, che spesso non si traducono in conoscenza vera.

Se vogliamo, questo discorso della conoscenza come processo, con i suoi stadi e i suoi tempi, non è confinato alle aule, ma vale anche per molti ambiti del vivere insieme. Durante la pandemia da coronavirus abbiamo fatto esperienza del lentezza della scienza, del suo procedere attraverso ipotesi, verifiche, conferme o smentite.

Da questo discorso dello sviluppo nel tempo non è escluso l’ambito ecclesiale; anche dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, che ci fa progredire. Quante verità si fanno strada a fatica, e non parlo di verità dogmatiche, di cui non ho titolo a scrivere. Penso al faticoso processo di comprendere noi stessi, le sorelle e i fratelli, il mondo. E non basta comprendere, c’è altrettanta fatica nel tradurre quello che comprendiamo in modi di vivere e istituzioni.

Dopo questa digressione, torniamo a spigolare dalle Scritture. La parola peso/pesi non è tra le più frequenti, ma ha uno straordinario potere evocativo. Ci seduce il Maestro, dicendo: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, … Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30). Esattamente al contrario di quello che fanno tanti dottori della Legge, che caricano gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi non li toccano nemmeno con un dito! (Lc 11,46) Ma poi, onestamente, il brano di oggi ci mette in guardia: il peso della conoscenza di Lui va caricato un poco alla volta (e nessuno forse può giudicare sui tempi altrui).

Il desiderio sincero di vivere come Lui insegna, dono dello Spirito, combatte con la fragilità umana, la carne, esattamente come leggiamo nella lettera ai Galati: queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste (5,17) È un’eresia dire che questa situazione di combattimento tra lo Spirito e la carne può diventare essa stessa un peso per il credente? Un esperto di scienze umane potrebbe rispondere con cognizione di causa. Nel frattempo, a noi rimane l’esortazione dell’apostolo: Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. (Gal 6,2).

Non può mancare un cenno al racconto di Pentecoste, con il miracolo delle lingue. Nella messa della vigilia si legge il racconto dei popoli che abbandonano la costruzione della torre di Babele dopo che le lingue sono state confuse, a suggerire l’interpretazione di Pentecoste come antibabele: il riunirsi di popoli, parlando, potremmo pensare, la stessa lingua. Invece, come ha ottimamente scritto ieri l’amico Sergio, il sottinteso è sbagliato. I popoli si riuniscono, ma le lingue continuano ad essere diverse. Non si tratta di una segmentazione della campagna pubblicitaria, per raggiungere tutti i diversi segmenti di clientela. Quel racconto ci dice che la diversità è un dato di fatto, anzi un valore; che non contano le lingue in cui ci si esprime, ma quello che si dice. Quel racconto anticipa la missione di portare la buona notizia in tutte le lingue, tutte le culture, arricchendosi delle differenze.

Non dovrebbe essere questa la matrice della Chiesa cattolica? La famosa logica dell’ et et (una cosa E l’altra, attitudine opposta alla logica aut aut, che finisce per escludere qualcuno). Non a caso in prossimità della Pentecoste è stato presentato il documento sul processo sinodale, in cui leggiamo: “Solo dall’unità in Cristo capo assume significato la pluralità tra i membri del corpo, che arricchisce la Chiesa, superando qualunque tentazione di uniformità. A partire da questa unità nella pluralità, con la forza dello Spirito, la Chiesa è chiamata ad aprire cammini e, al contempo, a porsi essa stessa in cammino.” La pluralità delle Pentecoste era essenzialmente geografica, ma fin dagli inizi la Chiesa fa i conti con altre pluralità, ben più impegnative.

La fatica della pluralità è forse l’ennesimo peso che dobbiamo imparare a portare; un po’ alla volta, ma senza rinvii a data da destinarsi.

2 risposte a “Senza fretta, senza indugi: Pentecoste”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    ……pensando al significato di “giogo leggero, il suo, rispetto a quello del mondo. Seguire le leggi di Cristo sembra una condanna da potere che impedisce all’uomo la libertà, e non il suo contrario. C’è preoccupazione e discussione per contratti di lavoro in scadenza ,licenziamenti di dipendenti: se si pensasse di più al dramma che si prospetta a una persona di giornate senza lavoro, che un sussidio non può sanare; la persona diventa malata moralmente anche con i soldi in tasca!. Perché invece non farsi carico di come aggirare questo problema aprendo al disoccupato un percorso altro; sarebbe anche un licenziare più rispettoso della persona che ha dato parte della sua vita fisica e mentale agli interessi di una azienda, non solo lavoro retribuito, la paga non è tutto. nel.la Parabola, l’operaio a meno ore riceve la stessa paga di quello a giornata. Perché?”Portare i pesi gli uni degli altri e dovere ma anche un vivere morale che ci eleva come uomini

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La fatica di stare nella pluralità cambia in benessere, se nel farlo ci sostiene lo Spirito del Risorto! Un egocentrismo naturale tende a spingerci verso il nostro interesse e diventa primaria cosa salvaguardarlo, così come l’idea personale di giustizia, libertà, Privi di quanto lo Spirito invece ci indica , interpellando i sentimenti che nel cuore sono custoditi, la sua altra intelligenza, il sacrificio che alla condivisione siamo chiamati se fatto con amore, diventa generosità spontanea, ed è un bene Che , fa star bene nella comunità e in se stessi, cambia la vita ,crea cose nuove. Il “giogo più leggero”, effettivamente sono parole di verità. Anche in una famiglia i componenti sono diversi, perfino distanti nel luogo e nel tempo eppure lo spirito se è quello che è di Cristo, unisce, affratella, costruisce il bene dell’uno con l’altro;

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