Sentire il pianto delle Samarie di oggi

Filippo attraversa la crisi della prima comunità cristiana per giungere in una terra ‘separata’ e ‘abbandonata’ e così scoprire che è possibile ripartire, raccogliendo le lacrime del mondo.
14 Maggio 2023

Non dovremmo dimenticare che il racconto delle grandi azioni di Filippo, che gli Atti degli Apostoli oggi ci consegnano, rappresenta la seconda fase della diffusione del Vangelo, causata dal martirio di Stefano e dalla persecuzione che infuria — anche per mezzo di Saulo — contro i primi cristiani. E non dovremmo nemmeno dimenticare che poco dopo inizia proprio la grande narrazione della conversione e della missione di Saulo, divenuto poi Paolo. Dunque, «i segni» che Filippo compiva, ossia guarire e liberare dal male, sull’esempio di quello che aveva fatto Gesù di Nazareth nel suo andare per la Giudea, sono conseguenza di una crisi: la comunità è osteggiata, è perseguitata, ha conosciuto il martirio, e quindi deve disperdersi. Ma lo Spirito, grazie a questa diffusione ‘obbligata’ dalla storia degli uomini, è capace di spargere il seme della Parola, fino a giungere, poco dopo, a penetrare la vita di Saulo.
È proprio grazie alla crisi che nasce qualcosa di nuovo, perfino di impensato e impensabile: perché non dobbiamo dimenticare che l’opera feconda di Filippo avviene in ‘terra eretica’, ovvero nella Samaria separata dai fratelli nella fede; quella Samaria impura e ‘lontana’ dal tempio e da Gerusalemme, quella Samaria ‘nemica’. La crisi, che spinge Filippo a scendere in una città di quella regione, grazie al coraggio e alla libertà che egli riesce ad avere in una situazione difficile, diventa un’occasione propizia, un kairos per portare il bene, annunciare il Vangelo, vincere la pena del mondo. Sono lo smarrimento che i discepoli sentono, il dolore per la morte di Stefano, la preoccupazione per il futuro che donano quella forza per arrivare là dove non era stato previsto, tanto da richiamare Pietro e Giovanni e così riconoscere la presenza dello Spirito in luoghi e tempi e persone non attesi.

Mi pare che nel racconto di oggi degli Atti ci sia molto su cui meditare, per il frangente della storia che attraversiamo. C’è una crisi, un andare del discepolo, un ritrovare un dono che precede, un riconoscere l’azione di Dio, uno spingere Pietro e Giovanni, ossia l’autorità, a giungere nei territori non pensati per vedere il soffio dello Spirito. In tutto ciò, c’è il sentire di Filippo che porta il bene, guarisce dal male, conduce a unità allontanando ciò che divide («gli spiriti immondi»). Si fa portatore di speranza in una terra abbandonata, secondo l’ammonimento di Pietro: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».
Così lo Spirito, il «Paraclito» che è con noi, secondo la promessa di Gesù, fa sentire la pena del mondo, fa battere la com-passione, e spinge a «scendere» nelle Samarie dei nostri tempi. Forse, dalla crisi che viviamo, dovremmo uscirne almeno con la capacità di sentire piangere il dolore delle esistenze che incontriamo, almeno con il desiderio della consolazione vera, quella che lo stesso Consolatore fa scaturire.
Forse dovremmo vincere l’indifferenza che talvolta ci assale, mettendo l’orecchio sulla sofferenza del mondo; è quanto trovo anche in una meravigliosa pagina di Chaim Potok, tratta da Danny l’eletto, perché raccogliere il pianto dei sofferenti è compito umano primo, quello a cui dobbiamo educarci, sempre:

“Perché piangi, padre?” mi domandò una volta di sotto il talled mentre pregavo. “Perché la gente soffre” gli risposi. Non potè comprendere. Ah, che vuol dire essere una mente senz’anima, che cosa brutta… Furono quelli gli anni in cui imparò a nutrire fiducia e affetto per me… E quand’era più grande, gli anni in cui io mi distaccai da lui… “Perché hai smesso di rispondere alle mie domande, padre?” mi chiese un giorno.
“Sei abbastanza maturo per cercarti le risposte nell’anima” gli dissi. Un altro giorno rise e osservò divertito: “Padre, che razza di somaro è quell’uomo”. Mi adirai. “Scruta la sua anima” ribattei. “Fermati nella sua anima e guarda il mondo con gli occhi di lui.
Conoscerai il dolore che gli cagiona la propria ignoranza, e smetterai di ridere.” Rimase ferito e sconcertato. Che incubi cominciò ad avere… Ma imparò a trovare le risposte da solo. Soffrì, e imparò a dar ascolto all’altrui sofferenza. Nel silenzio ch’era sorto fra noi, cominciò a sentir piangere il mondo”.

 

2 risposte a “Sentire il pianto delle Samarie di oggi”

  1. don Patrizio Spina ha detto:

    Grazie!
    Questa riflessione mi permette e mi provoca a leggere la storia nella quale mi trovo ( mia e di chi mi sta accanto o che incontro) libero da timori di insuccessi o incompetenze.
    E’ invito a comprendere questo presente dal quale a volte per timore vorrei fuggire, come il kairos che anima e suscita l’Incontro che ho già vissuto e che non posso dimenticare
    Poi, spingermi a ricordare le pagine di Chaim Potok è sempre molto bello, una autentica berakà
    Grazie di cuore 🙂

  2. Carmela Pizzonia ha detto:

    Una pagina bellissima: che richiama a una forte e lucida riflessione, e al contempo a una tenerezza ‘universale’.
    Che fa presente chi agisce dal cielo e chi agisce dalla terra: Filippo, l’autorità, i cristiani, il dito di Dio, lo Spirito Santo.
    Che portando il coinvolgimento e la compassione di chi scrive, dinanzi alle crisi e alle sofferenze del mondo, vicino e lontano, piccolo e ampio, richiama chiunque legga a un coinvolgimento e ad una compassione vera, incondizionata, profondamente umana, mite!
    Ne risulta una presentazione originalissima quanto efficace ed attraente dello Spirito Santo, il Consolatore, Colui che secondo la Parola di Gesù non lascia soli in nessuna situazione della vita, tanto meno nelle storie di dolore e di lacrime.
    GRAZIE.
    Sr Carmela

    PS – Opportuno e illuminante per un cammino di mitezza della propria coscienza e sensibilità il brano di Chaim Potok

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