QUARTA DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
I rapporti tra la nascente comunità cristiana e gli ebrei sono stati da subito problematici. La figura di Gesù ha diviso il popolo ebraico: c’è chi lo ha riconosciuto come Messia ritenendo che egli avesse portato a compimento le Scritture e chi respinse questa interpretazione. La frattura è drammatica, a Gerusalemme, ad Antiochia, più tardi anche a Roma.
I discepoli di Cristo (non ancora chiamati “cristiani”: il termine comparirà solo molto tempo dopo) predicavano nelle sinagoghe proprio perché erano convinti di proclamare la realizzazione delle promesse presenti nelle scritture ebraiche, ma ne vennero cacciati. È proprio a causa di ciò che si rivolsero ai gentili, coloro che provenivano dalle genti e non dal popolo di Israele: questo passaggio risulterà fondamentale per rendere il cristianesimo universale (e tale è il significato del termine “cattolico”).
Nel Concilio di Gerusalemme (50 d.C.), rispetto alla linea di Pietro che riteneva fondamentale la circoncisione per aderire al cristianesimo, prevalse invece la linea di Paolo che non reputava necessario questo passaggio, facilitando così l’accesso dei pagani di origine greca, che ritenevano barbara la circoncisione poiché altera l’armonia del corpo umano. Il cristianesimo dunque si svincola dalle pratiche ebraiche e inizia un cammino autonomo, rivolgendo a tutti il proprio messaggio.
Gesù stesso, nel breve brano tratto dal vangelo di Giovanni, si presenta come pastore di tutte le pecore che riconoscono la sua voce. Per essere suoi discepoli non serve una appartenenza specifica, bisogna solo ascoltarlo e seguirlo. Gesù pastore offre a tutti coloro che lo seguono la prospettiva della vita eterna, della salvezza. Non c’è esclusione dalla redenzione, ci può essere solo una auto-esclusione, cioè rifiutare scientemente e consapevolmente ciò che viene offerto, soprattutto nella pratica di vita, quindi fare il male con la piena volontà di farlo, in spregio al comandamento dell’amore (e senza mai averne un pentimento).
L’amore di Dio accoglie, tocca il cuore, induce alla conversione. Un illuminante esempio letterario lo troviamo nei Promessi sposi, nel famosissimo episodio dell’incontro tra il cardinal Federigo Borromeo e l’innominato in profonda crisi personale e alla vigilia della conversione (cap. 23): «Appena introdotto l’innominato, Federigo gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a una persona desiderata». E alla esclamazione disperata dell’innominato: «Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?», Federigo risponde: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate?». La strada è tracciata: la salvezza di Dio è per tutti, più grande di qualunque peccato, bisogna solo accoglierla!
L’Apocalisse riprende il tema dell’universalità del messaggio cristiano: «vidi […] una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua […] in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello». A loro la promessa di vita eterna: «Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita».
La salvezza di Dio dunque è rivolta alla moltitudine, il suo amore è travolgente e fondativo, come recita il salmo: “Dell’amore del Signore è piena la terra; della sua parola furono fatti i cieli” (Sal 32).
Di questo amore che fonda e governa l’universo fa esperienza Dante che ne sente l’attrazione e insieme l’indicibilità, espresse mirabilmente nella terzina che conclude il Paradiso e il poema intero:
“A l’alta fantasia qui mancò possa,
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
Molti dei suoi discepoli dopo averlo ascoltato dissero”questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”..,” E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” Oggi si conosce chi è Cristo, Dio fattosi uomo, Dio da Dio, morto e Risorto, il Vivente, nella Chiesa il Buon Pastore, eppure come mai persiste l’incredulita? Esiste l’ateismo, una ipocrita incredulità perché la verità non viene accolta malgrado l’evidenza, le opere realizzate dai credenti, la testimonianza di Santi, il farsi presente di Maria in ogni dove del pianeta e in ogni tempo a essere voce invitante a credere nel Figlio. Per molti ancora oggi la Parola è dura, oppure coscientemente si è fatta una scelta, non seguire il Buon Pastore, ma pervicacemente credere e con orgoglio soltanto nel proprio IO, per quanto il proprio volere si dimostra capace di raggiungere, una cecità , non si crede alla vita eterna
Trovo illuminante la volontà di auto-esclusione per spiegare l’esclusione della salvezza solo in base alla volontà dei soggetti siano essi individui o comunità, aggiungo. Il tormento dell’innominato rivela l’inconsapevole coincidenza delle volontà di salvezza dell’uomo e del Padre legate entrambe alla più naturale volontà di vita per l’uomo. Agli estremi, dove non arriva la volontà dell’uomo, arriva però la volontà del padre che desidera sempre che gli uomini tornino ad essere suoi figli.
Il crollo dei fedeli in Europa, soprattutto in Germania e Belgio, vuol dire che alle nostre latitudini la voce del Buon Pastore non di sente piu’ ,solo quella dei falsi- pastori mercenari . Piu’ sono chiese ricche, liberal ,piu’ marketing fanno per attirare , meno fedeli hanno . I fedeli riconoscno la voce del Buon Pastore che e’ diversa da quella dei mercenari.