Quando si parla di speranza, il rischio di dire delle banalità è sempre dietro l’angolo perciò il tema è stato approfondito dal XXXIII congresso nazionale di spiritualità antropologica e di ecologia sociale, promosso dal centro studi della Comunità di San Francesco di Monselice. Il convegno si è svolto ad Assisi dal 16 al 18 maggio con il titolo “Le ragioni della speranza” e si è svolto in collaborazione con le associazioni italiane e regionali dei club alcologici territoriali (AICAT e ARCAT).
Ho avuto il piacere e l’onore di essere invitato a parlare nella sessione “La speranza in tempi difficili”, condividendo la tavola rotonda con Bernard Dika, portavoce del presidente della Regione Toscana e coordinatore del progetto GiovaniSì, e Walimohammad Atai, educatore in Italia e autore del libro autobiografico “Ho rifiutato il paradiso per non uccidere” (Multimage, 2020).
Non conoscevo i miei compagni di strada prima di incontrarci sabato, eppure il nostro intervento, moderato dalla presidente dell’ARCAT Toscana Simona Rossi, è risultato perfettamente armonizzato. Bernard ha avuto modo di affrontare il tema dei grandi valori di riferimento (ecologia, lavoro, solidarietà, coordinamento internazionale, mondialità…), nonché quello delle piccole azioni che rendono “politica” la nostra vita quotidiana, restituendo a questo termine tutta la nobiltà che merita: è politica l’attenzione al bene collettivo, il coordinamento con gli altri e la partecipazione alla vita della “polis”. Dal canto suo Atai, costretto a parlare in collegamento da remoto a causa di un imprevisto, ha presentato la sua storia personale, di afghano sfuggito alle scuole per kamikaze grazie alla lungimiranza della nonna e al ricordo affettuoso di suo padre: anche lui ha restituito valore ad una parola vituperata e strumentalizzata nel suo paese di origine, ossia “religione”, che non è quell’educazione all’odio che i fondamentalisti vogliono far credere, ma esattamente l’opposto. Dal canto mio, potevo offrire solo il punto di vista di chi lavora con i giovani, cercando di aiutarli a costruire giorno dopo giorno le ragioni della loro speranza. La parola che ho cercato di recuperare, anch’essa fraintesa e spesso disprezzata, è “scuola”.
Tutte e tre queste parole portano con sé il concetto di speranza, che ha a che fare con la percezione dell’altro, ma anche con la percezione storica di sé, con la consapevolezza del proprio passato e l’anelito verso il futuro: ma perché la speranza diventi progetto occorre lavorare per ridare dignità e senso al presente, che è l’unica dimensione temporale in cui possiamo davvero fare qualcosa. Ecco perché è importante saper valorizzare quelle che sono le specifiche di ciascuna generazione.
Uno dei riferimenti culturali a cui si è ispirato il congresso è il pensiero di padre Ernesto Balducci (1922-1992) e la sua idea di “uomo planetario”, ossia l’abitante attivo e consapevole di una nuova fase storica: un’età in cui i confini tra i popoli e le culture si fanno sempre più sottili e le sorti dell’umanità sono interdipendenti. Balducci riteneva che l’educazione dovesse mirare a formare questo tipo di essere umano, in termini di empatia, responsabilità globale e modalità nonviolente.
Guardando ai giovani che abbiamo davanti, i tempi sembrano maturi per aprire all’era planetaria, considerata la facilità con cui si connettono e si muovono virtualmente in tutto il globo. Tuttavia, questa capacità di iperconnessione al momento non sembra altro che una condivisione di solitudini e di individualismi, utile per il consumo di merci ma non per la costruzione di pace. La scuola e gli altri enti educativi (la famiglia su tutti) ha il grande compito di educare alla relazione, così da trasformare in comunità autentica questa capacità di scambio.
In conclusione è emerso che la costruzione di speranza è un’azione di resistenza, ma finché è fatta senza un confronto reale con gli altri diventa la sindrome del soldato giapponese, convinto di essere parte di una collettività e di un assetto politico che ormai non ci sono più. Chi vuole lavorare in questo campo (politico, insegnante, mediatore culturale o anche semplicemente cittadino del mondo) è bene che si alleni a restare sempre in ascolto, di sé e delle persone con cui lavora, per non lasciare indietro nessuno e non commettere l’errore che debba essere qualcun altro a cambiare per primo. Diceva padre Balducci che «La speranza è la dimensione del futuro che entra in noi. La speranza sovrasta le dimensioni dell’individuo, abbraccia la condizione di tutti».
Estrapolando le news da quotidiani lèggiamo fatti che sono realtà vissuta da uomini e donne in ogni stadio di vita, anche a scoprire se esiste “Speranza” = e Futuro., e vita.Il caso delittuoso ad Afragola compiuto da giovanissimi, e i giovani premiati nelle scuole vincitori di concorsi indetti dagli Istituti a promuovere e sviluppare il pensiero critico nelle nuove generazioni. Esiste un gap che mette a fuoco quanto distante appaia realizzato nella società del Paese il “bene comune”; povertà più volte dichiarate esistenti da Caritas, ma sono i fatti a farle emergere dal silenzio e questi interrogano tutta la società. Quale Speranza può esserci per gli inermi cittadini di Gaza che si trovano ignorati da ambe le parti in guerra? Eppure esistono Chiese, Basiliche aperte a funzioni e preghiere, ma forse il Cristo sta fuori, o anche non dimora più perché rifiutato anche nelle famiglie, esiste piagato dove sta in ogni suo stato la Povertà.