È notizia del giorno di Natale i circa duecentocinquanta migranti salvati dalla Guardia Costiera nel Mediterraneo, quasi a ricordarci che il mondo e le sue contraddizioni non si ferma per il pranzo della festa, non va in vacanza tra pacchi scintillanti e addobbi colorati.
Ci sono diverse tipologie di sguardo col quale soffermarsi su questi eventi, che così poco scalfiscono il nostro interesse normalmente tanto ci siamo abituati, figuriamoci il giorno di Natale.
Papa Francesco ripete spesso qual è lo sguardo autenticamente cristiano da rivolgere. Non è subito quello dell’accoglienza, pur di fondamentale importanza. Il primo sguardo di fronte a questa e ad ogni altra povertà che incontriamo è quello disponibile a lasciarsi evangelizzare.
Ho fatto sempre fatica a capire fino in fondo cosa volesse dire Francesco con questa espressione, ma stavolta mi è balzato alla mente in modo evidente.
A Natale celebriamo e gioiamo per la nascita di un Salvatore. È questo l’annuncio degli angeli che squarcia la fredda notte di Betlemme. La festa di Natale è la festa per qualcuno che viene a salvarci.
Per quanto possiamo sforzarci, dall’alto delle nostre tavole imbandite, dei mille pacchetti da scartare, delle infinite luci intermittenti e decorazioni che catturano la nostra attenzione, è difficile comprendere fino in fondo cosa significhi essere salvati; cosa significhi avere bisogno di un Salvatore, di qualcuno che ci tragga fuori dalla situazione in cui siamo e ci porti finalmente al sicuro. Da cosa sentiamo il bisogno di essere salvati, se davvero ne percepiamo l’esigenza?
Ma ecco che il giorno di Natale duecentocinquanta migranti fanno esperienza in un modo del tutto evidente e concreto di cosa significa avere bisogno di salvezza, rischiare la vita e venire tratti in salvo.
Davvero può essere questa una grande benedizione per noi oggi. In questo Natale abbiamo l’occasione di metterci in ascolto di queste persone e lasciarci evangelizzare da loro, lasciandoci spiegare il senso autentico della festa che celebriamo.