È il tempo giusto per raccontare le storie delle donne

Nella Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, il papa invita a raccontare "storie buone". Quelle delle donne sono state dimenticate per troppo tempo
24 Maggio 2020

Il messaggio del papa per la giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno si intitola «“Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia», ed è dedicato all’importanza di «respirare la verità delle storie buone». È un tema importante, che si presta a molte riflessioni e che riguarda ogni aspetto della nostra vita, perché, come dice il messaggio, «L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo. Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o sbagliato in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I racconti ci segnano, plasmano le nostre convinzioni e i nostri comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo».

Vorrei qui ricordare un aspetto non secondario di questo discorso: quello che riguarda le donne. Donne le cui storie, nei secoli sono state dimenticate,  a volte censurate. È possibile che un paese come il nostro, il più ricco di arte al mondo, abbia avuto (quasi) solo artisti uomini? Scrittori uomini. Musicisti uomini. Scienziati uomini. Filosofi uomini. Storici uomini. Re e Imperatori uomini. Partigiani uomini. Eccetera.

In parte è possibile, perché le donne non avevano accesso alla formazione (basti ricordare che i figli di Lorenzo il Magnifico, Piero e Giovanni, studiavano greco e latino, la figlia Lucrezia il cucito e il canto). E se puta caso erano figlie di artisti e quindi potevano imparare un poco di arte, finivano con l’esercitarsi in quelle minori (fosse mai che mettessero piede in una scuola di nudo!). In parte però non è possibile: nonostante tutti i meccanismi di esclusione che tagliavano le ali alle donne, che ne sono state alcune che hanno fatto cose importanti o belle, hanno dato il loro contributo alla storia, ma non sono diventate famose perché non stavano nelle reti sociali giuste e non hanno avuto nessuno che si preoccupasse di salvare e tramandare la loro memoria. Anche mariti, figli e nipoti tendevano a considerare hobby quello che per un uomo sarebbe stato talento artistico o contributo al sapere dell’uomo, e dunque degno di essere narrato.

Il problema è che le narrazioni ci accarezzano quando siamo piccoli e ci accompagnano man mano che cresciamo, assumendo un ruolo essenziale nel nostro percorso esistenziale. Compreso quello che ci porta a farci un’idea di cosa significa essere donna e cosa significa essere uomo e che cosa ci si aspetta all’una e dall’altro e, insomma, qual è il ruolo di ciascuno nella società.

La bambina o il bambino che a catechismo incontra solo storie di profeti – mai di profetesse – o di apostoli – e nessuna apostola; la ragazzina o il ragazzino che a scuola studia una storia fatta di re e imperatori e dove le poche regine sono note solo per essere amanti di qualcuno, come Cleopatra; l’adolescente che si accosta a una storia dell’arte dipinta solo da maschi… Che immagine introiettano delle donne e del loro ruolo? Sulla base di quali racconti se le costruiscono?

Pende sulla storia delle donne una specie di damnatio memoriae, che è stata sistematica e capillare, nei libri, nelle arti, perfino nei luoghi. Basti pensare che, secondo l’Associazione Toponomastica Femminile, nei Comuni italiani ogni 100 strade e luoghi pubblici intitolati a uomini solo 7,5 sono dedicati a donne. Di questi, nel 60 % dei casi, si tratta di figure religiose (ad esempio sante o monache): che può sembrare una bella notizia, ma non lo è. È come dire che se diventi santa meriti di essere ricordata, altrimenti no.

Anche i luoghi dell’arte rendono visibile l’assenza delle donne: basta entrare in un qualunque museo e contare quante opere di donne sono esposte. E nonostante tutto vale anche per l’arte contemporanea: nel 2014 al MAXXI, il museo delle arti del 21esimo secolo di Roma, gli artisti uomini esposti erano il 73%; al MART, il museo di arte contemporanea di Rovereto, erano l’88%. Meglio andava nel Castello di Rivoli, ma comunque con una percentuale maschile che restava alta: 67%.

Nonostante tutto, dicevamo, perché nel novecento qualche cosa è cominciato a cambiare, parallelamente all’accesso delle donne all’istruzione (non dimentichiamo che nel 1881 c’erano 1300 femmine iscritte ad una scuola pubblica, contro 30mila maschi, e nel 1900, all’alba del nuovo secolo, c’erano 250 donne iscritte all’università) e alla nascita degli studi di genere e al loro sviluppo impetuoso a partire dagli anni settanta. Ma ancora, evidentemente non basta. La narrazione del contributo delle donne alla storia, alle arti, alla fede non è ancora diventata “normale”, non ha penetrato sufficientemente i libri scolastici, le gallerie d’arte, i luoghi dove si produce la musica, le trasmissioni televisive (comprese quelle di cucina: possibile che da secoli le donne siano condannate a cucinare, ma in tv ci vadano solo superpagati cuochi uomini?).

Analogamente, per quanto riguarda la comunità ecclesiale, la narrazione del contributo delle donne alla fede e alla Chiesa non è ancora diventata normale nei catechismi e nei libri di testo di religione, nelle omelie dei sacerdoti, nei percorsi proposti agli adolescenti o alle coppie che si preparano al matrimonio e così via.

In questo periodo di crisi sanitaria, sociale, economia, etica, in cui ridiscutiamo su chi siamo e su cosa vogliamo diventare, abbiamo bisogno di raccontare e di fissare nella memoria – come dice il messaggio – le donne, laiche e religiose, teologhe, missionarie, mistiche, che spesso, con coraggio e con la capacità di rompere i recinti in cui erano state relegate, hanno fatto la storia. Abbiamo bisogno di «respirare la verità delle storie buone», anche e forse soprattutto di quelle delle donne.

 

 

 

 

 

3 risposte a “È il tempo giusto per raccontare le storie delle donne”

  1. Giuseppe Terruzzi ha detto:

    E’ bene, è coerenza che nel logo di VinoNuovo non si scriva solo “spunti per gli uomini di oggi”, ma anche per le donne di oggi?

  2. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Giovanni Paolo II’ direi abbia ascoltato questa richiesta,proveniente già tempo fa dal mondo femminile, la frustrazione che molte donne patiscono per non essere equamente valutate rispetto all’uomo. Con La lettera apostolica “Mulieris Dignitatem” ha dato ampio risalto a questa lacuna, ne ha esaltato tutti gli aspetti,le doti,la sua grandezza, intellettuale in ogni campo e contribuisce ad arricchire la società non meno dell’uomo, come era nel disegno del Dio Creatore, del resto all’inizio dei tempi. Senza contare ciò che la rende unica il dare la vita all’uomo stesso. Questo documento andrebbe letto da studenti , utile alla loro formazione, così come la lettera enciclica” Laudato Si'” di Papà Francesco, cosi come Gesù di Nazareth di Papà Ratzinger. ad ampliare la conoscenza sul senso del vivere quali gli ideali corrispondenti al significato di vero bene, di entusiasmo a progettare il futuro.

  3. Giuseppe Risi ha detto:

    Se tutta la storia è caratterizzata al maschile, dobbiamo ammettere che la storia della Chiesa non si differenzia per nulla, anzi ancora oggi, mentre nella società le donne faticosamente cercano di recuperare un ruolo dignitoso, l’istituzione chiesa si presenta oggettivamente come tra coloro che frenano e non tra coloro che favoriscono, appoggiano, stimolano un giusto È doveroso percorso di progresso dell’umanità.
    Certo, ora mi si dirà che non si può ridurre tutto ad una questione di potere e che l’influenza del femminile potrebbe svilupparsi in altre dimensioni…
    Rimango convinto che è tutta una frottola che non ha alcuna giustificazione (biblica, teologica, razionale) per tenere le donne al loro posto tradizionale tra le mura domestiche.
    O è solo è puramente mancanza di coraggio nel cambiare riconoscendo che ci siamo sempre sbagliati?

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