Chiamami col mio nome

Qualche nota a margine della giornata del coming out
20 Ottobre 2021

Lo scorso 11 ottobre ricorreva la giornata dedicata al coming out.
Il moltiplicarsi delle date legate ai temi più disparati – la lotta contro una patologia, la memoria di un evento storico, il ricordo di un legame affettivo, una celebrazione civile o religiosa, fino ad argomenti che sfiorano la lista animali-cose-città – espone all’inevitabile rischio di riempire il calendario di nomi e colori, senza scendere oltre la superficie di 24 ore che scorrono e passano uguali a tante altre.
Eppure – l’avverbio più bello della lingua italiana! – mi piace andare oltre qualche arcobaleno, pur piacevolmente colorato, sulle nostre pagine social.
Sappiamo quasi tutti il significato della parola coming out: ma riguarda soltanto chi non ha un orientamento affettivo eterosessuale? E perché la testimonianza delle persone lgbt può parlare a ciascuno? Qualcuno potrebbe farsi scappare un “C’è ancora tutto questo bisogno?”.
E cosa succede – questo vale davvero per ognuno di noi – quando ci si presenta in maniera inattesa e sorprendente a chi ci sta di fronte?

Perché dirsi omosessuali?

Non esiste una risposta univoca, non c’è un tempo scoccato il quale si debba uscire allo scoperto, né la necessità per ciascuno di condividere una delle dimensioni più intime a noi stessi con i familiari, gli amici, i colleghi.
Esiste la realtà della nostra vita, sempre superiore all’idea (Francesco, Evangelii Gaudium, 231-233): oltre le proiezioni degli altri, oltre gli schemi che noi stessi possiamo imporci, c’è il desiderio di riconoscermi giorno dopo giorno in chi voglio essere e diventare, e in modo altrettanto chiaro essere riconosciuto dagli altri; non per un bisogno di conferme, ma perché ogni relazione esiste dove tu chiami me, un altro mi conosce e riconosce con il mio nome, il cuore incandescente e il nocciolo profondo della mia vita.
È così che, come un sasso nello stagno, questo sussurro dell’anima diventa una voce spiegata: alla naftalina degli armadi (“coming out of the closet” significa letteralmente “uscire dall’armadio”) è preferibile la luce del sole, dove poter vivere con autenticità i propri tempi, spazi, legami.
Volutamente ho scritto con autenticità e non con normalità. Sembra retorico ciò che spesso affermava lo psichiatra Franco Basaglia, “Visto da vicino, nessuno è normale”: al di là dello slogan, molte cose si possono normare, racchiudere cioè in un rassicurante e talvolta necessario recinto, ma non l’identità della persona. Il nome, appunto, che risponde invece ad altre esigenze: autenticità e verità.
Fin qui può sembrare che la disputa si giochi a colpi di parole.
No: non sono in ballo le barricate o le rivendicazioni.
Finché il nome di un affetto, il nome di un amore, il nome di un’identità sarà cancellato dalla paura, dal pregiudizio, dalla violenza, presentarsi con rispettosa chiarezza sarà un dovere non soltanto politico – cioè nei riguardi della società – ma particolarmente verso chi soffre per una porta chiusa dai familiari, dalle autorità civili, dalla propria Chiesa.

Perché dirsi cristiani?

“Se parli di queste cose e le scrivi anche sui social, tu ai ragazzi fai paura”.
Così mi disse alcuni anni fa, improvvisamente serio e quasi scuro in volto, un ragazzo che avevo conosciuto da poche ore, con cui avevo bevuto un bicchiere, ballato e che avevo già anche baciato mentre, parlando un po’ di noi, gli raccontai del mio impegno in oratorio e dei miei studi in teologia.
Rimasi da un lato arrabbiato – perché considerato ancora una volta diverso – e dall’altro deluso – perché ancora una volta non capito.
Ma compresi che l’unica “paura” che avrebbe dovuto spaventarmi sarebbe stata quella di non diventare veramente me stesso: non c’è cosa più bella per me di vivere e dirmi omosessuale cristiano.
Ho volutamente raccontato una prospettiva che riguarda un mondo altro rispetto a quello della sessualità ma che investe in maniera altrettanto profonda l’identità dell’individuo, quello della fede e dell’appartenenza a una comunità che condivide il medesimo ideale.

Perché dirsi?

“Sono affari tuoi, le etichette a tutti i costi non servono, non è necessario toccare un argomento così intimo in ogni discorso, scriverne e parlarne in ogni contesto”.
È vero… ma.
Pregare prima dei pasti, con un segno di croce e qualche parola, è un momento breve, semplice ma intenso, dove accompagno un’esigenza che più volte al giorno il mio organismo prova al ricordo concreto che qualcosa – Qualcuno – c’è al di là del mio stomaco, del mio naso, del sensibile. Non mi privo di questo segno piccolo e forte in presenza degli altri: lo vivo con semplicità a lavoro, in mensa, al ristorante, a casa di amici e familiari.
Nessuno ha mai palesato irritazione; qualcuno – devo dire soprattutto chi non calpesta sovente le soglie delle chiese – mi ha detto apertamente, anche con un sorriso, dopo esserci incontrati nuovamente dopo lungo tempo, come “la mia preghiera fosse mancata” oppure, davanti a un piatto già pronto, “La preghiera la dici anche oggi, vero?”.
Con rispettosa mitezza, essere se stessi e vivere con autenticità non solo “fa bene” a se stessi, ma “fa il bene” dell’altro: non potremo mai immaginare quanto bene c’è nell’offerta dolce e coraggiosa della propria testimonianza a chi ancora giudica senza conoscere, a chi conosce ma teme di vestire l’abito di chi è additato, a chi già indossa il vestito cucito per sé ma ha bisogno di non sentirsi il solo ad amare quei colori.
Vero e luminoso coming out è uscire dall’anonimato della sopravvivenza per scoprire e diventare se stessi: come Gesù che, all’inizio del suo ministero, sulle rive del Giordano, decide che Dio essere, ultimo tra gli ultimi, immerso nell’acqua (sporca) dell’umanità per accostarsi e dissetare ogni sete.
Insieme a Lui e con Lui continuo a gridare: “Per amore del mio popolo non tacerò” (Is 62,1).
Per me dirmi omosessuale e dirmi cristiano significa essere me stesso; più ancora, significa vivere l’unzione del mio Battesimo, nella consapevolezza che, davvero, Dio mi ha preso e mi ha messo da parte per qualcosa che solo io posso vivere e creare con Lui, per qualcuno che solo io posso amare insieme a Lui.
Ho scelto la gioiosa e faticosa missione di spalancare, anche nella casa della Chiesa che amo, porte colorate piuttosto che innalzare grigie mura: perché tutti – ma proprio tutti – abbiano vita, e l’abbiano in abbondanza.
Tantum aurora est: così Giovanni XXIII definì l’inizio del Concilio Vaticano II.
È solo l’inizio, dico anche io con un sorriso, di questa vocazione alla luce, per me e per tanti altri.

10 risposte a “Chiamami col mio nome”

  1. Anna Bortolan ha detto:

    Forse il giovane che le ha detto che, scrivendo sui social queste cose, incute timore nei ragazzi, ha compreso l’ambiente in cui viviamo. Non è raro un atteggiamento di paura del diverso a prescindere dall’essere cattolici o meno. Non mancheranno poi persone che non si preoccupano della sofferenza dei gay ma che le danno ragione solo perché così facendo lei critica la gerarchia ecclesiastica. Lo dico con amarezza: la sofferenza altrui non interessa se non a poche persone sensibili. Infine solo lo psichiatra che ha privato l’Italia delle cure coatte ai malati, provocando devastazione in quelle famiglie che hanno in casa uno psicopatico, poteva attenuare la gravità di tali patologie con uno slogan. Ma l’omosessualità con la psichiatria non c’entra niente. Accetti se stesso per come è, non aggiunga inutile sofferenza ai già infiniti dolori che ogni esistenza umana porta con sé. Le auguro di cuore ogni bene.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Da cittadina, non influenzata da alcuna fede, come donna e madre, avrei a cuore sopratutto la crescita culturale dei figli, attenta a leggi che proteggano e siano indirizzate a rendere Piana l’evoluzione è la crescita intellettuale e morale verso quegli ideali che la società si attende, aiutandoli nella debolezza ma anche a essere forti in ciò che è il confronto con i problemi. Ho visto miracoli compiersi da questa solerzia nell’ambito famigliare cui va il merito è semmai un più capillare supporto di più aiuto da parte delle Istituzioni; difficoltà superate con sacrifici affrontati anche in solitudine, e ne sono esempio tutti quei giovani con handicap che hanno partecipato ai giochi olimpici con lodevole merito e giusto orgoglio. .La società tutta ne ha beneficiato.Per questo il ricorso a una legge sembra fuorviare i problemi creare ostacoli anziché appianare divergenze.per il benecomune.

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Si va oltre, in un ambito dove è l’uomo che si sceglie chi essere, come vivere la propria vita a realizzare e assecondare le proprie aspirazioni. Tutto questo dà adito a pensare che si creera’ individui con una diversa personalità, magari anche un diverso modello di famiglia, ne consegue una variegata società, una babelica confusione ben diversa da quel modello originale pensato da Dio e al quale Cristo vuole ricondurre l’uomo. Il sacrificio che si vuole evitare e’ nella croce che fa parte della vita cristiana. E’il rispetto alla vita cui ha diritto ogni concepito, la cura alla crescita, l’educazione morale e civile, l’amore come da modello della famiglia di Nazareth. Se credenti. Se uomini di partito o meno fanno altre scelte, liberi, ma il Vangelo è una cosa, che la politica è libera di non far proprio. Per questo anche aspettarsi obiezioni, in quanto la libertà e’ benecomune aspirazione comune. Implica il rispetto reciproco . Sono personali considerazioni.

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E oggi si sta discutendo su approvazione del la Legge Zan secondo alcuni se togliere alcuni articoli riguardanti:.scuola,definizione di identità di genere,libertà di espressione.,passaggio delicato, coinvolge la fede dei credenti i quali a loro volta si definiscono cristiani ma con un diverso intendimento, o interpretazione delle Scritture?. Come cittadino non mi riguarda di come vive la propria libertà il prossimo, ma certamente sento il dovere di avere riguardo per quanto attiene alle norme di fede del Maestro. Egli è la sicurezza della mia persona, mi ha invitato a seguirlo perché così facendo faccio parte del suo regno. Tutto quanto attiene ad altri ragionamenti, nati da situazioni particolari non mi confondono,; cosa significa rimanere nel proprio stato?(Rm) se non in quella natura nella quale Cristo stesso si è fatto presente a nobilitarla. Non è solo a difesa del rispetto alla vita del persona che si dà vita questa legge.

  5. Giovanni Giorgio Venzano ha detto:

    Che Dio mi aiuti a non giudicare e condannare nessuno e a fidarmi sempre della sua Parola più che dei ragionamenti forbiti degli uomini che non riusciranno mai a dare pace. Solo la pace di Gesù è vera e sazia la fame di ogni vivente. Gesù Maestro in parole e opere. Anche le lettere di Paolo sono parola di Dio. Le tendenze sono obiettive, gli atti sono sempre segni d’amore perchè rispettano le tendenze?

  6. Paola Meneghello ha detto:

    Abbiamo tutti bisogno di essere riconosciuti per affermare la nostra unicità, eppure mi piace pensare che davvero l’altro sia un’altra faccia di me stesso, e il comandamento infatti mi dice di amare il prossimo “come” me stesso, perché davvero tutti siamo gocce della stessa Fonte.
    Perché Gesù dice proprio di “amare”? Forse perché questo bisogno di riconoscimento, non è altro che una richiesta di Amore, ed è una ferita, una nostalgia di Ciò da cui veniamo che tutti abbiamo, compresi coloro che fanno distinguo di merito, dimostrando di aver bisogno anch’essi di essere riconosciuti, come il fariseo che si illude di essere il più giusto e quindi il più amato. .
    Ognuno fa quello che può, la vita a volte è complicata, ma sta a noi renderla semplice, venendoci incontro e riconoscendo nell’altro lo stesso nostro bisogno di Amore, e così espandersi, mescolando le posizioni, e diventando piano piano di nuovo gocce che sanno di Essere Oceano infinito.

  7. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Non so perché si ritenga tanto importante dichiarare a chiunque le proprie appartenenze fisiche. Mi pare che nella sacra scrittura si insista (Rm.8)”Quelli che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale, quelli che vivono secondo lo Spirito tendono verso ciò che è spirituale.ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita, alla pace. Ora se Cristo è venuto per invitare a seguirlo,assurdo che ci interessiamo di ciò che è diverso, che non può fare scuola perché a coloro che aspirano a Cristo lottano ogni giorno per superarsi, per guardare a ciò che tende a speranza, a un ordine di idee che tenda al bene futuro. Solo in questo sta ciò che divide l’umanità stessa, in qualunque stato si trovi, la scelta che è Cristo. Dal momento che tale approfondito sapere solo la Divinità sa leggere, non resta che avere riguardo di non dare scandalo al prossimo, E rispetto di coloro che ogni mattina portano la propria croce senza lamentarsi

  8. Alberto Mariotti ha detto:

    Scusate , andate a leggere il pezzo di Isaia nella bibbia in cui dice che non sono giusti i rapporti uomo – uomo e donna – donna.se hai il corpo da uomo sei uomo e segui donne .
    Oppure ti credi tu donna?

  9. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Lo so che sembrerò up to date, vecchio, sorpassato, etc ma c’è una cosa che mi dà fastidio del cosiddetto COMING OUT.
    Il troppo OUT.
    Si discute molto su cosa è normale.
    Lo facevo settantanni fa con il prof-poeta Franco Girardi, sotto casa, che sosteneva che la donna è carnale e tra uomini è più spirituale/normale..
    Che bisogno hai di dire che ti sei baciato?
    È normale qs inserto? Sbaglio a dire che molti dei vs out sono indicatori di un complesso di inferiorità/esclusione?
    Difficile capire che qs out&pride ottengono l’effetto contrario?
    A partire da me che, credo, nn sono pre-venuto
    . Figurarsi gli altri!

  10. gilberto borghi ha detto:

    Sogno il giorno in cui un cristiano con tendenze omosessuali possa alzarsi nell’assemblea dei fedeli e dire: sono omosessuale, senza che questo produca reazioni di fastidio, di rifiuto o esclusione. Penso che la condizione omosessuale abbia una sua vocazione all’interno del cristianesimo, che ho cercato di descrivere già nel mio testo su fede ed erotismo.
    Mi resta una domanda che a Paolo penso possa essere posta senza che produca una alzata di scudi. Posso dichiarare la piena identità mia senza tenere conto del fatto che i miei organi genitali siano costruiti in un certo modo e che siano adeguati ad un incontro eterosessuale?
    Capisco perfettamente la necessità di smettere di utilizzare la categoria della normalità. Ogni persona è unica e irripetibile, (S. Giovanni Paolo II ce lo ha detto in tutti i modi). Ma per poterlo fare debbo davvero cancellare ogni base comune che identifica la mia appartenenza fisica con altri esseri umani?

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