Quel “sacrificio” di Madre Teresa

L'indicazione del "bell'amore" fatta dal Cardinale Scola in termini teologici è affascinante, ma poi resta il problema di tradurre questo nella vita pastorale. Come si possa cioè passare da una sessualità frantumata e mercificata così diffusa, al riconoscimento e l'accettazione di una verità intera sull'amore umano. 
29 Settembre 2010

L’anno scorso è stata dura con una prima. Classe difficile da stuzzicare, tranquilla, ma “scolastica” come diciamo noi. Quest’anno ho deciso di iniziare con loro con una provocazione. Un video, venti minuti su Madre Teresa, crudo e realistico, in cui a fianco del suo sconfinato amore per i disperati di Calcutta, si intuisce bene il suo vissuto interiore, la sua notte dello spirito e soprattutto la sua castità come atto di amore per Dio. Mentre il video andava li ho osservati. Qualche orecchia si è alzata e molto occhi sono rimasti incollati ben più a lungo della loro abitudine. E qualche cervello ha iniziato a funzionare. Quando poi abbiamo messo in comune emozioni e pensieri ho ritrovato ciò che penso da tempo: la realtà è più forte della fiction, ma è recepibile per la bellezza che provoca, non per le idee che veicola. Parecchi hanno sentito la bellezza della generosità di Teresa, la sua armonia interiore in mezzo all’inferno di Calcutta, la sincerità del suo sorriso e della felicità che lo abita. Ma su una cosa proprio non hanno retto: la sua castità! “Prof, non ci sta, è stata bravissima, ma pazza!”. Oppure: “Che senso aveva questo sacrificio, senza piacere?” Poi qualcuno di loro, proprio sulla campanella, ha ammesso che se avesse avuto un uomo non avrebbe amato così tanto gli altri. 

Rientrato a casa ho trovato una mail di un mio collega di religione. Il link del blog del Cardinale Scola, (http://angeloscola.it/category/interventi/discorsi-del-redentore/) con l’omelia della Festa del Santissimo Redentore. Il cardinale, con coraggio, rimette al centro del messaggio della Chiesa sulla sessualità la bellezza legata all’amore. Sia per chi si guarda da essa come una fonte di tentazione spirituale, sia per chi pensa che la bellezza lasciata a sé stessa sia in grado di realizzare un amore vero. L’indicazione del “bell’amore” fatta dal cardinale in termini teologici è affascinante, ma poi resta il problema di tradurre questo nella vita pastorale. Come si possa cioè passare da una sessualità frantumata e mercificata così diffusa, al riconoscimento e l’accettazione di una verità intera sull’amore umano. 

E qui una riflessione mi si è imposta, e mi ha chiarito la reazione dei miei studenti. Il problema è che non può più bastare il richiamo alla castità, benché questa virtù resti essenziale nella visione cristiana sulla sessualità. Essa agisce infatti come strumento di verità se è vissuta da un “io” in cui cuore mente e corpo riescono a ascoltarsi reciprocamente e dialogare davvero tra loro. “Tenere in ordine il proprio io” è possibile se esso ha un minimo di solidità e unità interna. Ma questa è una condizione che oggi non si trova più così frequentemente come tempo fa. Le persone che vivono situazioni di “io minimo”, frantumato e così debole da non trovare sufficiente stabilità in se stesso, sono sempre più diffuse. Il richiamo alla castità non è percepibile da queste persone, perché esso suona a loro solo come sacrificio, senza più essere in grado di far sentire la bellezza e il piacere che essa porta in sé. 

Così se non siamo noi a recuperare questa bellezza e farla vibrare e sentire come parte essenziale dell’amore vero, fino a renderla attraente, la nostra parola evangelizzatrice sulla sessualità non è più comprensibile oggi a molte persone. Troppo presto e troppo in fretta si richiama alla castità dopo aver descritto la teologia cristiana della sessualità. Poco spazio e tempo vien lasciato per indagare e indugiare sulla percezione e sul vissuto del piacere e della bellezza, per assaporarli anche in chiave di dono divino, e di questo poter ringraziare. Troppo poco si valorizza il piacere e la bellezza come fonte di energia vitale a disposizione dell’uomo per realizzare la propria capacità di amare l’altro, secondo quanto Dio ci chiede. Troppo velocemente si sposta l’attenzione dal vissuto sensoriale della bellezza al suo significato spirituale che certo, ne apre la via alla percezione di Dio, ma che rischia di dimenticare e sminuire l’esperienza da cui nasce, come se questa origine fosse fuori di Dio.

Sul piano teologico è chiaro che eros e agape non sono contraddittori. Sul piano pastorale molto spinge ancora a far pensare esattamente il contrario. Nella bibbia la storia della sessualità inizia con lo stupore e il piacere di Adamo di fronte ad Eva; nella realtà dei Cristiani, ancora oggi, spesso la sessualità viene scoperta inizialmente come luogo di turbamento spirituale e di pericolo per la propria vita di fede. Certo, di mezzo c’è stata quella maledetta mela, ma c’è stato anche Gesù Cristo!

E credo che a raccontare e far sentire questa bellezza sia oggi chiamato chi la vive come luogo del suo proprio percorso di santità. Chi la pensa e la descrive con parole che non riflettono la propria esperienza diretta, non può che finire per darne una visione può arrivare anche alla mente delle persone, ma non al loro cuore e alla loro pancia. 

Coi miei studenti ci tornerò sopra, una breccia si è aperta.

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