L’esortazione post-sinodale Querida Amazonìa (QA) rimanda al documento finale del sinodo, in modo molto esplicito e chiaro: “Non intendo né sostituirlo, né ripeterlo – dice Francesco – (…) Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente. Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro” (QA 2-4). Difficile da qui dedurre che Francesco sconfessi quel documento. Perciò, al di là delle polemiche di questi giorni, sarebbe bene provare a fare ciò che questo testo chiede: continuare, come Chiesa, il cammino di approfondimento dei risultati del sinodo.
Sulla questione del celibato sacerdotale, il documento finale chiede che si possano ordinare sacerdoti anche uomini sposati, vista che molti non possono accedere all’eucarestia anche per mesi, a volte anni (n. 111). Richiesta perciò organizzativa, dettata da motivazioni contingenti. Ho già mostrato i motivi per cui il celibato non è necessario al sacramento dell’ordine e quali siano le ragioni antropologiche ed economiche che lo hanno reso obbligatorio, unitamente a quelle teologiche addotte per sostenerlo e alle conseguenze ecclesiali derivate. Perciò la Chiesa è libera di poterlo mantenere come obbligo o di renderlo facoltativo.
Il ragionamento sull’Amazzonia quindi sarebbe semplice, apparentemente: lì ci sono pochi preti, consentiamo una deroga, per quella regione, ad una legge solo ecclesiastica, per permettere l’accesso all’eucarestia di quei cristiani, in modo stabile e adeguato. Apparentemente. Perché nella Chiesa siamo abituati a comprendere ogni decisione organizzativa, anche sul piano dei significati teologici che tale decisione può produrre. Quindi che significato avrebbe, in questo senso, l’ordinazione sacerdotale di diaconi sposati in Amazzonia? A mio avviso, almeno tre.
Intanto renderebbe evidente la sollecitudine della Chiesa universale verso i fedeli in Cristo che vivono in Amazzonia. Nelle discussioni di questi giorni ho spesso avuto la percezione che della condizione spirituale (e non solo quella!) di tali persone non ci importi molto. Ma che ascoltiamo le loro richieste solo come occasione per continuare a giocare la nostra battaglia (molto di retroguardia!) tra cattolici di sinistra e di destra.
E se davvero anche noi fossimo derubati della possibilità di accedere all’eucarestia quando vogliamo? A volte penso che ad alcuni non cambierebbe molto, perché occupati solo a salvare “lo stile” cattolico che a loro piace (di sinistra o di destra che sia). Personalmente non credo che la carenza di preti si possa risolvere davvero ordinando persone sposate. Ma almeno permetterebbe, a stretto giro di tempo, di consentire a quei popoli, un incontro sacramentale con Cristo stabile e adeguato. “Vi riconosceranno da come vi amerete”. Prendersi cura dei fratelli di fede non è marginale per la nostra santità e capacità di evangelizzare, anzi è il “cuore orizzontale” dell’essere Chiesa.
Secondo. Questa scelta ci costringerebbe a riflettere di più su un dato che già esiste: l’organizzazione delle chiese non è e non può essere uniforme. Già ora esistono sacerdoti cattolici sposati, che celebrano l’eucarestia: quelli di rito orientale (greco-bizantino, siriaco, armeno, ecc) e quelli ex anglicani di rito cattolico. Unità della Chiesa non significa uniformità.
L’accesso a sacerdoti sposati anche in Amazzonia si inserirebbe in questo solco, per aiutarci a considerare la “pluriformità” delle chiese come un dato costitutivo dell’unica Chiesa di Cristo, segno di reale incarnazione della stessa nei vari contesti storico – culturali in cui vive. Potremmo cioè cominciare a pensare che non si tratti di eccezioni che confermano la regola, ma di legittime differenze strutturali che consentono alla Chiesa di prendere il volto concreto di quella cultura e di quel luogo. Incarnazione significa che la fede nasce e vive nella carne di quelle determinate persone, non di un uomo astratto o soltanto “latino”.
Terzo. Saremmo maggiormente spinti a ricomprendere cosa sia la Tradizione cattolica e quali siano i gradi di certezza delle verità di fede. Idolatrare una determinata forma del cristianesimo, legata ad una determinata epoca culturale, immaginandola come l’unica forma possibile della tradizione, significa non avere il senso della Tradizione. Perché la Tradizione è viva, cresce, cambia, si aggiorna, altrimenti muore. Poi, se per aggrapparmi ad una certa forma di fede devo assegnare lo status di “dogma” ad ogni affermazione magisteriale che sostiene la mia parte, significa non avere il senso del Magistero. ché che ha riservato la parola dogma solo per le cose assolutamente essenziali (circa una decina).
Perciò se è vero che esiste una tradizione bi-millenaria di preti celibi, è altrettanto vero che esiste una tradizione di almeno 1500 anni di preti non celibi, interrotta, solo di fatto non di diritto, dal concilio di Trento. Ma per arrivare ad una sua assunzione giuridicamente piena nel diritto canonico, in modo da non consentire più alcun accesso al sacerdozio per chi fosse già sposato, bisogna attendere il 1917. E già meno di un secolo dopo, nel 2009, si trova una eccezione ad essa, giuridicamente ammessa da Benedetto XVI.