Questo Vaticano non mi renderà cattivo

Il cammino sinodale richiede anche un ripensamento del carattere magisteriale della teologia "al di là del clero e del laico"
13 Luglio 2023

Numerosi, in queste settimane, sono stati gli interventi da parte di voci autorevoli attorno a quello che ormai per gli “addetti ai lavori” è diventato “il caso Lintner” (tra tutte ricordiamo lo splendido articolo di Cristina Simonelli).

In effetti, quello che in maniera sintetica e senza tanti giri di parole è definibile come un vergognoso e anacronistico caso di censura da XXI secolo, solleva non poche domande, vecchie e nuove, all’interno della compagine ecclesiale: dal rapporto tra magistero e teologia, all’effettiva credibilità del cammino sinodale in corso.

Queste brevi considerazioni – che giungono quando l’“utile polverone” di questi giorni sembra essersi calmato, soprattutto a seguito del comunicato rilasciato dallo stesso prof. Lintner – vorrebbero confermare il noto adagio per cui “sbagliando s’impara” e domandarsi (per riprendere un’immagine parabolica) quale “grano” sia da custodire nel momento in cui ci si libera di certa “zizzania”. In parole povere: cosa possiamo imparare da questo “caso”?

A mio parere, la possibile ripresa costruttiva si costituisce su due versanti, tra loro strettamente correlati. Da una parte, il ripensamento non tanto del rapporto tra magistero e teologia quanto del carattere intrinsecamente magisteriale della teologia. Dall’altra, in conseguenza della prima, l’effettivo rilievo non tanto della scienza teologica in sé quanto dei teologi e delle teologhe che la praticano.

Come ho già avuto modo di dire qui, il cammino sinodale della chiesa impone un ripensamento serio del ruolo della teologia o, per meglio dire, di tutti coloro che hanno speso e continuano a investire il proprio tempo nello studio della teologia. È necessario riconoscere la formazione, la preparazione, la professionalità di quanti conseguono titoli di studio adeguati in campo teologico e trovare il coraggio per metterli al servizio della comunità ecclesiale a tutti i suoi livelli (parrocchie, diocesi, conferenze episcopali…), ripensando per l’appunto le dinamiche, i ruoli, “i ministeri”, le responsabilità.

È proprio su questo punto che il “caso Lintner” sembra indicarci una chiara traiettoria. L’impostazione clericale e vaticano-centrica della chiesa e, quindi, della teologia è irrimediabilmente compromessa e incompatibile con la “rivoluzione” sinodale che papa Francesco ma, soprattutto, il mondo stanno chiedendo alla comunità cristiana. In questa rivoluzione non c’è più spazio per il sequestro clericale-vaticano del magistero. La contrapposizione di lunga data, richiamata in precedenza, tra teologia e magistero richiede un cambio di paradigma che riconosca l’intrinseco valore magisteriale della teologia in quanto scienza al servizio della comunità ecclesiale fondata sul Vangelo di Gesù Cristo. Una teologia, per servirci delle intuizioni di Nietzsche, “al di là del clero e del laico”, ma semplicemente del popolo di Dio, della comunità dei battezzati.

Sotto questo profilo, si deve qui almeno accennare a come il rispetto per chi fa teologia non possa non prendere in considerazione anche il percorso che si impone per arrivare ad avere una voce nel panorama teologico. Un percorso, come si riconosce da più parti, anch’esso “a misura di clero”, dal punto di vista spaziale e temporale. Un percorso che cresce nella Facoltà ed Università Pontificie in cui, tuttavia, è praticamente impossibile entrare anche dopo che (e se) si è finito un dottorato. Dottorato, a sua volta, spesso di difficile conseguimento “nello stato laicale” ma comunque imprescindibile anche solo per poter essere presi in considerazione. Talvolta sembra di sentire in sottofondo: «Da chi non ha un dottorato, può venire qualcosa di buono?». Forse, è davvero indispensabile un serio e necessario ripensamento dei titoli, dei percorsi, dei “luoghi” teologici in chiave sinodale, ovvero a partire non dalla disponibilità di pochi “eletti” ma da un desiderio che può abitare (e di fatto abita) tutto il popolo cristiano, con tutte le sue esigenze.

In conclusione, un ripensamento a tutto tondo della struttura ecclesiale clerocentrica non può non avere ricadute anche sul versante strettamente teologico della comunità cristiana, un versante che non interessa limitati ambiti di ricerca o puntigliose correzioni a margine di opere o interventi, ma invade pesantemente la libertà della ricerca, l’apertura al dialogo, il discernimento dell’opera dello Spirito.

Interpreto liberamente, ma mi sembra utile il richiamo alla critica matteana di Gesù ai farisei. Questi, afferma Gesù, «legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito». Ebbene, in questo caso il fardello che siamo chiamati a portare è reale: è il mondo a metterlo sulle spalle dei credenti e si chiama dialogo, missione, testimonianza. Parole che, per l’appunto, risuonano costantemente come impegni, orizzonti e compiti anche nei documenti del Magistero made in Vatican. Evidentemente, però, quando si tratta di sporcarsi le mani (e la mente) per cercare di affrontarli, «non vogliono muoverli neppure con un dito». Fortunatamente qualcuno disposto a farlo ancora c’è, e gli interventi di solidarietà e vicinanza al prof. Lintner dimostrano che si tratta di un’intera comunità, una comunità di teologi e di teologhe, non di “farisei”, di battezzati formati e disposti a sopportare il “peso della teologia”.

In questo senso verrebbe voglia di gridare: Fiat theologia et pereat Vaticanus!

 

2 risposte a “Questo Vaticano non mi renderà cattivo”

  1. Dario Busolini ha detto:

    Non sono un teologo ma penso che finché la teologia continuerà ad essere esclusa dalle università laiche e confinata in quelle pontificie in queste ultime sarà sempre preferito il garante della dottrina ufficiale rispetto allo studioso di fama giudicato non controllabile. Questo per forza di cose, qualunque sinodo si possa fare. Il rispetto, poi, non è carente solo nei riguardi di chi fa teologia ma di tutto il popolo di Dio nel suo insieme: non ci è stato ancora spiegato – solo per fare qualche esempio – perché Enzo Bianchi è stato tolto dalla Comunità di Bose o perché al p. Rupnik fu cancellata subito la scomunica e ora vorremmo che ci fosse detto subito e chiaramente perché il buon prof. Lintner non va bene? Che pretese… temo si dovrà attendere ancora a lungo per un cambiamento reale.

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Non so perchè ma mi vai fatto venire in mente come da sempre ma oggi ancor di piú i poeti si capiscono e si scrivono solo tra di loro.. ed ogni ambito ha il SUO linguaggio. E gli aggettivi che mi sopravvengono sono:
    Sterile
    Incomprensibile ( x l’Uomo comune)
    Autoreferente ( anche leggere una enciclica PIENA di citazioni su se stessa, quasi che se nn ci fossero qs radici sarebbe ERETICA!)
    Insomma lasciamoli pre parlare, ma chiudiamoli in un recinto, magari Vatikano, tanto nn sono letti capiti seguiti FUORI di esso.
    Conosco delle teologhe DONNE che mi muovono dentro, il cuore ben più che la testa.., coinvolgono stupiscono davvero AMMIRO.
    Mettiamole al centro e buttiamo nel cestino il resto, incomprensibile, addirittura repulsivo.
    Scusate lo sfogo.

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