Il verbo si fece carne

Uno dei testi più densi, potenti e difficili che è una sintesi del mistero di amore che è Dio stesso.
5 Gennaio 2025

DOMENICA II DOPO NATALE – Gv 1, 1-18

Siamo oggi davanti ad uno dei testi più densi, potenti e di difficile interpretazione di tutta la bibbia. Nel contesto attuale questo brano vuole essere una sintesi globale del mistero di amore che è Dio, nel suo rivelarsi a noi e nel desiderare che noi diventiamo come lui.

Solo alcune parole chiave, che forse permettono di trovare una luce interpretativa unitaria.

Verbo. La CEI traduce qui il greco “logos”, ma ci sono almeno altre 12 possibili traduzioni diverse. Di sicuro la radice antica di “logos” indica la struttura dell’essere, ciò che permette a tutto ciò che esiste di restare ordinato, sensato, e perciò poi, comunicabile e comprensibile. Rimanda, quindi, all’idea di una unità di fondo, ordinata e stabile, di tutto ciò che esiste. E, in questo senso antico, “logos” si avvicina molto alla parola “amore”, intesa nella sua radice primaria: la forza universale che attrae tra loro tutte le cose che esistono. “Amore” è la forza con cui “logos” tiene insime le cose e le spinge a ricostituire pienamente l’unità originaria da cui derivano. Gv assume in pieno questo significato e lo fonde con l’idea della “sapienza personificata” che aiuta Yahweh nella creazione (Pr 8, 22-31), potendo così indentificare nella persona storica di Gesù questo logos–amore.

Vita. Questo logos-amore è vivo, cioè animato, non è un puro essere statico ed inerme. E questa sua vita si manifesta quando “tutte le cose per mezzo di lui furono fatte” (v. 3). Tutto ciò che esiste, quindi, è logos-amore, non esiste altra “essenza”. Tutto quello che noi siamo, quello che viviamo, che facciamo è sempre tutto dentro al logos-amore, perché “senza di lui fu fatta neppure una cosa” (v. 3). Anche il peccato, perciò, non può essere altro che un disordine dentro l’amore, un tentativo contraddittorio di costruire l’amore scardinando il logos delle cose. Ma la struttura dell’essere, come amore unificante, continua a restare tale anche se le nostre scelte cercano di rovinarlo. Con l’unico effetto di mettere noi stessi “di traverso” rispetto a questo logos–amore, che resta vivo e continua ad essere sé stesso.

Luce. Nella persona umana questo logos–amore si manifesta come luce. Questo racconta la sua traiettoria, la direzione del suo movimento vitale: uscire da sé e cominciarsi agli esseri umani, per essere visto, toccato, sentito, sperimentato, diventando in noi luce per vedere e comprendere quella sua vitalità. Il suo tentativo, quindi, è quello di farci partecipare anche noi della sua stessa vita, del suo stesso amore, della sua stessa struttura che tiene in piedi l’essere, cioè “diventare figli di Dio” (v. 12).

Una destinazione, questa, che fa impallidire e sgomenta per l’eccesso di luce che possiede, che quasi non è credibile per noi che fatichiamo nelle nostre zone d’ombra, arranchiamo a vivere l’amore e spesso ci rapportiamo a Dio solo per un aiuto nelle nostre piccole beghe umane. Una destinazione, però che continua ad attrarci potentemente, forse proprio perché così sproporzionata a quel poco di luce che riusciamo a vivere nella nostra quotidianità, che ci dice quanto Dio abbia stima di noi e ci ami, molto di più di quanto noi facciamo con noi stessi, quando ci accontentiamo delle briciole della vita.

Carne. E, ad un certo punto, quel logos–amore “divenne carne e pose la sua tenda fra di noi” (v. 14).  Egli nasce nei limiti di una singola persona umana: Gesù. Limiti che al contempo “riducono” e “limitano” la luce del logos, ma proprio per questo ci consentono di fruirla, perché dalla sua immensità si è come “contratta” e resa percepibile nei limiti che all’essere umano sono possibili. Infatti, proprio in quella carne “contemplammo la gloria di lui” (v. 14), così come gli Ebrei contemplavano la gloria di Dio nella tenda dell’accampamento (Es 40,34-38).

Al contrario della frattura neo-platonica tra carne e spirito, qui Gv ci suggerisce che la fruibilità di quel logos–amore è possibile proprio nella fisicità del corpo umano e della creazione di Dio. “Il corpo, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio, e così esserne segno” (Giovanni Paolo II – Catechesi – 20/02/1980). Il nostro corpo di carne, già ora è rivelazione dell’ordine dell’essere, del suo amore, della sua vita e della sua luce.

Se a partire da qui immaginiamo la sommatoria di tutti i singoli, l’incarnazione rende possibile la presenza del logos–amore anche nella società, nelle forme organizzative umane, trasformando le dinamiche giuridiche, economiche, sociali, comunicative da strutture puramente umane, a forme possibili di realizzazione di quella unità dell’essere che il logos-amore persegue. Questo è il senso del v 17: “la legge (l’organizzazione umana) fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità (la forza divina) per mezzo di Gesù Cristo fu fatta”. In cui, nel cambio del verbo (data – fatta) emerge tutta la nostra responsabilità operativa nell’essere parte di questo “fare” la verità e la grazia, due termini analoghi a logos e ad amore.

Tenebra. “L’ombra non lo afferrò” (v. 5). Non indica solo il fatto del mancato riconoscimento della luce vitale del logos-amore da parte dei “suoi” (v. 11), da parte di coloro che erano stati fatti da lui. Ma indica anche che la luce vitale del logos-amore non sarà vinta dall’oscurità, unico accenno del testo al peccato e alla redenzione. Strano che, in una sintesi del genere, la liberazione dal peccato sia così minimizzata, ma ciò e tipico della teologia di Giovanni. Per lui l’incarnazione non è avvenuta principalmente per redimere l’uomo dal peccato, ma per innalzarlo alla stessa vita di Dio, ben oltre, quindi, a ciò che era stato creato in origine, per farlo partecipare a ciò che “occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo, (cioè) ciò che ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9).

Dovremmo imparare da qui che il peccato è solo un inciampo momentaneo e non modifica l’intenzione amorevole di Dio per noi. E quindi l’attenzione del credente andrebbe messa sull’amore che ci riempie e ci fa trascendere noi stessi, più che sul nostro peccato. In questo senso possiamo guardare alla tradizione ortodossa che ha privilegiato la resurrezione alla morte di croce, per ridare la gioia della fede ad un messaggio evangelico che, in questo testo, ci si mostra di una altezza impensabile e inattesa, ma straordinariamente attraente.

2 risposte a “Il verbo si fece carne”

  1. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Mi piace molto la scelta di interpretare logos, tra i tanti significati, come la struttura dell’essere ed, essendo nel prologo, anticipa quanto il contenuto del vangelo si rifaccia poi a questa premessa. Altre parole che aggiungerei sono rivelare e credere: chi non l’ha accettato non si considerava e non veniva considerato per questo un peccatore ma semplicemente non credeva in lui e a ciò che egli rivelava. Essi non si sentivano lontani da Dio rispettando la legge e accusavano lui di trasgredirla e la pena di morte faceva parte di questo ordinamento. La faccenda del peccato si può considerare pertanto un WIP (work in progress) in attesa sel suo promesso ritorno. Credere nella rivelazione che Dio è padre e che Gesù sia suo figlio e così noi figli e fratelli, già questa è di ardua comprensione tanto semplice ci sembra un rapporto padre figlio ma che in realtà contiene il principio dell’essere.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E’ una analisi convincente, infatti tutto esiste, tutto prende vita da quell’inizio in cui Dio creo l’uomo a sua immagine e somiglianza. Per fare ciò bisogna che, come l’artista mette nella sua opera una parte di se, anche Dio ha avuto “amore”? nel fare l’uomo un essere così superiore da volerlo nel suo Eden, vicino a se. Ma se la libertà è un suo dono di cui ogni uomo dispone questo induce a scelte anche diverse da quel bene di amore divino, un agire altro per altri amori. E vediamo questo nel nostro mondo di oggi così proiettato ad appagare ogni desiderio senza domandarsi quanto può essere via a una vita quale Dio l’aveva pensata. l’intelligenza ci fa a nostra volta creatori, ma a vincere la morte è stato Gesù Cristo rivelandoci l’amore vero, sapere i ns. cari vivi per la Fede in LuiA che serve raggiungere un pianeta se poi si muore? Non è da Dio la vita a termine, l’ha fatta così preziosa opera da essere godibile per sempre.

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