Il merito

Il merito
16 Agosto 2018

Il tema del merito, in realtà, mette a tema il valore delle azioni dell’uomo nella dinamica della redenzione. Serve fare opere di misericordia? E se sì, a cosa serve? Annosa questione che trovò nel concilio di Trento una risposta, ma che nelle vulgate delle teorie espiatoria e del riscatto presentate, ritorna alla ribalta. Il concilio di Trento e il Catechismo attuale, in termini generali, sul merito dicono la stessa cosa: l’uomo non ha alcun merito nell’origine della sua redenzione, perché essa è un atto gratuito di Dio. Ma all’interno di questo Suo amore ricevuto e accolto, l’uomo può “aumentare” l’amore, nel suo percorso di santità. 

Qui, però, i due testi magisteriali si dividono. Questo “aumento” di amore in Trento è considerato frutto delle opere che compie liberamente l’uomo redento; nel Catechismo attuale è considerato frutto dell’amore di Dio che opera nella persona. Due cose entrambe vere, ma che mostrano come l’accentuazione sul tema del merito sia molto diversa. Per Trento esiste uno spazio, dopo la redenzione, in cui l’uomo può davvero “meritare” attraverso le sue opere, qualcosa in vista della vita eterna; dall’altro, oggi, si dice invece che anche questa azione non è davvero “meritoria”, e va ascritta a Dio pure lei. 

Tanto che due i testi sembrano effettivamente entrare in conflitto, affermando cose opposte. Trento dice: “Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, (…) sia anatema (Can 25 sess. VI). Oggi il Catechismo dice, citando Teresa di Lisieux: “Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l’eterno possesso di te stesso” (CCC 2011). Come si vede il cambio di prospettiva è chiaro. Trento legge il tema del merito dentro allo schema redentivo dell’espiazione e del riscatto. Il CCC prova ad uscire da tale schema, rimettendo al centro l’azione di Dio. 

Proviamo perciò a delineare meglio questa seconda prospettiva, curvandola secondo la misericordia di Dio. Intanto è chiarissimo che viene disabilitata una interpretazione giuridica o economica, dell’espiazione o del riscatto, in termini “causativi”. Cioè, l’uomo non può mai meritare con le sue opere la salvezza attraverso il pagamento di un riscatto, o l’espiazione di una pena, come condizione imprescindibile, appunto causativa, affinché la redenzione operata da Cristo lo possa raggiungere. L’inizio della salvezza individuale (la grazia prima, si diceva una volta), raggiunge l’uomo solo ed esclusivamente per un atto di affidamento dell’uomo a Dio, per fede, perché essa è un dono gratuito della misericordia di Dio a noi.

A partire da qui, possiamo parlare di un merito come “effetto” della redenzione che ci ha raggiunti? Credo di sì, ma, in questa prospettiva, il merito non può mai contraddire la logica con cui la redenzione ha raggiunto quella persona, cioè per amore gratuito accettato per fede. Perciò l’unica possibilità di dare senso alla parola merito è pensare che l’uomo in cui la salvezza ha attecchito, faccia spazio alla logica della gratuita e della fede, in ogni sua dimensione esistenziale e che con la sua libertà compia opere gratuite di amore.

Ma con ciò l’uomo esce dalla logica della ricerca del merito: non amo per meritare qualcosa, fosse anche la salvezza, ma amo senza volere nulla in cambio. 16 su 17 passi del N.T. in cui si parla di merito o di ricompensa mostrano come il merito non vada cercato, non sia distribuito in forma retributiva, sia connesso solo e sempre ad atti di amore gratuito. E il CCC non è da meno: “Il merito dell’uomo presso Dio nella vita cristiana deriva dal fatto che Dio ha liberamente disposto di associare l’uomo all’opera della sua grazia. (…) Il merito dell’uomo torna a Dio, dal momento che le sue buone azioni hanno la loro origine, in Cristo, dalle ispirazioni e dagli aiuti dello Spirito Santo” (CCC 2008). Quindi il merito consiste solo nel fatto che facciamo azioni sempre più gratuite, solo per vivere e far vivere l’amore che ci è stato donato. 

Qui passa la differenza tra due espressioni bibliche, che spesso si confondono: le opere della fede e le opere della legge. Quelle delle fede, sono le azioni che noi compiamo perché siamo stati amati da Dio e desideriamo che questo amore raggiunga anche altri. Non vogliamo ottenere nulla con queste opere, nemmeno la nostra salvezza, ma solo rendiamo concreto quell’amore che ci abita, perciò sono opere gratuite. Le opere della legge, invece, sono quelle compiute sperando che, attraverso di esse, noi possiamo in futuro essere amati da Dio. Sono azioni compiute sperando che Dio ci “ricompensi” con la nostra salvezza. Perciò sono mosse dall’interesse personale di salvarsi e contengono un amore strumentale, condizionato. 

Cosa vuol dire, allora, acquisire meriti, o applicare i meriti di Cristo, ad esempio per una persona cara che ci ha lasciati? Significa una cosa molto bella: mettere in circolo l’amore di Dio, ri-presentare quella persona dentro alla circolazione di amore gratuito tra me, lui e Cristo: per mezzo di Gesù, la persona che amiamo, viene ri-presentata a Dio e il suo amore la raggiunge.

Non si “causa”, perciò, nessun guadagno espiatorio o di riscatto, né a me, né a lui. Nemmeno si “muove” il cuore di Dio da una posizione di oblio e durezza ad una di attenzione e amore verso di me o verso quella persona, come se se ne fosse dimenticato. Al contrario, Dio ha sempre presente tutte le persone, ma si “com-muove” vedendo che il Suo amore si realizza, il suo regno si allarga e prende possesso nei cuori delle persone, quando io lo lascio agire dentro di me, per me o per quella persona, come per tutti. 

Questo spinge potentemente a pensare che non possa mai esistere un amore “meritorio”, esclusivo ed escludente. E che anzi, coloro che forse avrebbero maggiormente bisogno di essere ri-presentati davanti a Dio attraverso il nostro amore, sarebbero proprio i peccatori. E non i peccatori pentiti! Ma i peccatori induriti, che non ammettono il loro peccato. Cioè, proprio coloro che, invece, in una logica meritoria retributiva, penseremmo che sarebbe giusto se Dio li escludesse dal suo amore. 

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