Guardare questo tempo con gli occhi della fede

Il rischio è che la pandemia ci abbia reso lamentosi, pieni di rimpianti per com’era e rassegnati di fronte a un futuro indecifrabile. Ma la fede che sguardo ci chiede di avere su questo tempo?
27 Giugno 2020

Che la pandemia ci abbia reso migliori non pare proprio. C’era un’ingenuità di fondo in questa speranza, quella di ritenere che le prove e le sofferenze in quanto tali sappiano suscitare nell’uomo dei moti di bene. Veniva spontaneo paragonare la quarantena al cammino di Israele nel deserto, con tutto ciò che di positivo questa immagine porta con sé: il tempo del fidanzamento tra Dio e il suo popolo, l’acqua dalla roccia, la manna, il lieto fine con l’ingresso nella terra della promessa. Ma il deserto non è solo questo. I racconti biblici ci dicono che il popolo non è così spontaneamente ben disposto a lasciarsi guidare, ad avere fiducia, a camminare unito verso la “terra dove scorre latte e miele” (Es 3,17). Il popolo mormora, rimpiange l’Egitto, vuole decidere da solo chi adorare, perde di vista ciò che gli sta davanti e vorrebbe tornare indietro.

Vedo forte il rischio che il deserto della pandemia ci abbia reso solo questo: gente lamentosa, che rimpiange com’era prima e si rassegna per la consapevolezza che non sarà più così, che il meglio c’è già stato e che del futuro che si prospetta faremmo volentieri a meno.

Da cristiani non possiamo accettare di far nostro questo sguardo. La domanda è però come guardare a questo tempo con gli occhi della fede, come interpretarlo, come viverlo alla luce della Parola.

Più che ai quarant’anni nel deserto, oggi il nostro tempo mi pare analogo a un altro momento della storia di Israele; il momento centrale della sua vicenda, attorno a cui ruota tutta la predicazione profetica, il vero punto di svolta della fede del popolo eletto: l’esperienza dell’esilio a Babilonia.

Israele subisce in quel momento la più grande umiliazione possibile. Gerusalemme conquistata. Il tempio distrutto. Il popolo deportato in terra straniera. Tutto sembra finito. Come oggi, non si scorge alcun futuro promettente all’orizzonte. I profeti avevano messo in guardia Israele, ma il popolo non ha dato loro retta e quanto era stato preannunciato si è realizzato. Il popolo nato dalla promessa di Dio ad Abramo di una terra e di una discendenza si ritrova senza patria, mescolato ad altri popoli. La nazione che aveva come primo comandamento “non avrai altri dei di fronte a me” (Es 20,3) si ritrova ad abitare una terra popolata di divinità straniere.

Come ha vissuto Israele questo passaggio terribile della sua storia? La cosa sorprendente è che questo momento, invece di essere la fine di tutto, sarà il vero inizio della vicenda e della fede di Israele. L’esperienza dell’esilio produrrà un sussulto nella coscienza del popolo che gli permetterà di rileggere tutta la sua storia e interpretarla in una chiave nuova. La riflessione teologica di questo periodo porterà alla stesura definitiva della Torah, che racchiude la fede più matura di Israele, nata proprio dall’esperienza dell’esilio. Israele riconoscerà la propria infedeltà all’alleanza con Dio, ma, insieme, la promessa che ancora JHWH non smette di offrire. Sarà questo sguardo nuovo verso la propria storia e la fede in un Dio che continua a dischiudere davanti un futuro promettente a consentire un nuovo inizio. E quando finalmente potrà tornare a Gerusalemme, ciò che l’esilio ha fatto maturare nella coscienza del popolo gli consentirà di dare inizio a una nuova storia, che arriva fino a noi oggi.

Credo che guardare il tempo che stiamo vivendo guidati dalla luce della fede e della Parola significa provare a ripercorrere anche noi oggi le orme di ciò che fece Israele attraversando l’esilio. Rifiutando la tentazione della rassegnazione. Ritrovandoci, seppure dispersi per troppo tempo ognuno per conto proprio, parte di un popolo accomunato da un unico destino. Riconoscendo quanto c’era di sbagliato nel nostro modo di vivere e immaginandolo nuovo. Rimettendo a tema i tanti aspetti della nostra vita e della nostra fede che davamo per scontati e che ora non lo sono più. Confidando ancora e nuovamente nella promessa di Dio che non viene mai meno e, anzi, si rinnova ogni volta che la storia segna un punto e chiede un nuovo inizio. Promessa che contraddice ogni nostra rassegnazione, che costringe e autorizza chi la accoglie a guardare al futuro con speranza e lo impegna a trovarne i semi ogni giorno nelle pieghe di questo nostro tempo.

Come cristiani ci è chiesto di essere sale e lievito nella pasta. Forse oggi questo significa essere portatori di uno sguardo così. Insieme come Chiesa, ma anche ciascuno di noi, lì dov’è.

3 risposte a “Guardare questo tempo con gli occhi della fede”

  1. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Di essere sale e lievito tra uomini che si confrontano ma anche avere il coraggio non solo del dire, ma del fare come da esempio che ci viene anche da quel l’alto cui sono diretti “rumours”.Si legge lo stesso lamento levarsi circa scelte o indecisioni della governance,;effettivamente tutti, ognuno nel suo stato,dobbiamo realizzare la Parola,in pensieri,parole e opere, avere il coraggio di schierarsi per il bene comune a cominciare dal nostro “orto” da non doversi avere rimorso per non aver dato solidarietà, perché Uno e venuto a Essere lievito, ha dato la vita.Per pil bene della comunità,del Paese ma anche dell’Unione tra Paesi anche ognuno di noi può,solo Non abbiamo paura di pretendere le stesse cose che Cristo ha detto e insegnato essere “il Bene” dell’Uomo. Ilconoscere La Verità diventa forza per chi non ha voce,per chi è piccolo,povero.Papa Francesco donando respiratori, dona forza,fa luce dove manca,rimarca il diritto alla vita.

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Propongo qs sintesi ( non in contrasto con l’ottimo Gabriele..):
    Stato di paura, ansia, paura.. passato rimosso, futuro??
    Che fare?
    SE, e sottolineo il se in cui io credo, nel futuro ci sono masse circolanti alla ricerca di CIBO e aiuto.. due alternative:
    1) Chiusura e guerra alla Salvini..
    2) chi ha aiuta in concreto chi non ha.
    Prepariamoci fratelli!!
    Papa docet…

  3. Aldo Di Canio ha detto:

    Lamentarsi e rimpiangere o rallegrarsi per aver raggiunto i risultati del prima Covid è misero. Ora è invece il tempo di dilatare le cose, tutte, perché si progredisca. Nella comunità religiosa dilatare la presenza reale del Risorto nelle famiglie perché non ci capiti più di vivere una Pasqua dietetica. Nella comunità civile eccellere in quello che già si ha e far emergere quello che c’è e non è promosso. Inventare quello che non c’è con la creatività dello Spirito.

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