«Abbiamo bisogno di una teologia che, con ospitalità e spirito critico, stabilisca il proprio domicilio presso la crisi di fede del nostro tempo»: basterebbe questa consapevolezza e questo coraggio come ‘ingresso’ nel XXI secolo teologico, sociale e culturale. Perché di un cristianesimo che tenti di leggere la «crisi di fede», abitandola, abbiamo sete, soprattutto per le sue declinazioni pastorali, ecclesiali, ermeneutiche e, in ultima istanza, umane. Ed è in questa direzione che si muove Dio ai confini. La rivelazione di Dio nel tempo dell’irrilevanza cristiana, un documentato e prezioso volume di Francesco Cosentino uscito da poco per le edizioni San Paolo (Milano, 2022, 268 pagine). Il titolo è già di per sé eloquente: se oggi viviamo, almeno in Occidente, il tempo dell’eclissi del cristianesimo, quasi Dio sia relegato «ai margini della storia», ha ancora senso parlare di Dio? È possibile? La risposta di Cosentino è ovviamente positiva, ma è necessario, a suo avviso, cambiare i paradigmi di fondo dello stesso discorso su Dio: «Si tratta innanzitutto di superare gli angusti confini di una metafisica che incasella Dio nelle categorie dogmatiste dell’essere, per approdare verso la specificità del Dio cristiano che, in quanto amore e relazione, si configura come “eccessivo trasgressivo”, un dono che supera e sorprende». Avendo, quindi, l’ardire di passare dalla metafisica alla relazione, il cristianesimo trinitario ha molto da dire, ha molto da offrire all’attualità: la parola cristiana può ancora essere rilevante, dove tale aggettivo si intenda, tuttavia, non nella sua semantica storica (occupazione di posizioni), ma in una semantica evangelica, per cui «parlare di rilevanza oggi» vuol dire rivendicare «la capacità del cristianesimo di liberare e sprigionare nell’esistenza dei nostri contemporanei la vita che il Vangelo trasmette».
Principio e fondamenti
Il principio di base su cui poggia la proposta di Cosentino è quella di una «teologia della rivelazione, nel contesto di un mondo postmoderno e plurale»: tutti e due i termini della questione vanno abbracciati, con franchezza: da una parte un mondo non più naturaliter cristiano, dall’altra un profondo radicamento evangelico e cristologico, in grado di raccontare il vero volto di Dio mostrato da Gesù di Nazareth. A questo ‘principio’ l’autore giunge radunando gli elementi fondamentali della riflessione di grandi teologi e filosofi del Novecento — a cui dedica la prima parte del volume —tutti ‘convocati’ per le loro felici intuizioni, in tal modo configurando il libro anche come un efficace compendio di storia delle teologia: Bonhoeffer, Metz, Barth, Rahner (che spesso ritorna), von Balthasar tra tutti, a cui si affiancano i più contemporanei, Ratzinger, Moltmann, Molari, Sequeri, Salmann, Repole, Schilllebeeckx, Lorizio, Taylor, Gallagher e altri. Il tutto, tenendo talvolta sullo sfondo, talvolta invece poste in rilievo, le felici conclusioni del Vaticano II e la sua eredità, su cui si innesta il pontificato di Francesco con le sue direttrici fondamentali: la valorizzazione della marginalità, la sinodalità, il coraggio della riforma.
Situarsi al confine
Nella seconda parte del libro l’autore elabora, argomenta e propone la sua lettura dell’oggi spirituale, secondo, come già si diceva, un’onesta interpretazione del contesto postmoderno in cui siamo già inseriti e in cui già viviamo. Qui si situa la “teologia del confine”, strutturata su alcune grandi e feconde immagini ermeneutiche, a partire da quella del cammino, il quale «prende oggi il sopravvento sulla meta», per cui «l’essere viandante è metafora del nostro essere al mondo». È un auspicato ritorno al ‘nomadismo’ biblico: «si tratta […] di congedarsi serenamente dall’assolutismo dogmatico, non solo nei contenuti ma anche nello stile, spogliandosi dal rigidismo che nasce dalla pretesa di possedere la verità: in realtà il cammino della fede intende solo metterci per via», dove la teologia non si lasci prendere «dalla fretta del definire», ma osi proporre un «attraversamento dei luoghi», un racconto del Dio vicino, una, appunto teologia del confine, là dove compaiono le «crepe delle crisi di Dio». Ma questo è veramente cristiano, poiché «è la Rivelazione stessa che ci situa al confine. Questo Dio invocato dal cristianesimo, da esso riconosciuto, celebrato e ripresentato, è Colui che ha lasciato i cieli per varcare la soglia della storia, venendo Egli stesso ed Egli per primo ad abitare il confine tra divino e umano e i confini più fragili e labili della nostra esistenza». Da qui l’invito ad «abitare la distanza», ad «abitare l’assenza» e la diversità, cogliendo cosa nel tempo che viviamo si offre come varco per comprendere Dio e per annunciare il Vangelo, secondo una teologia ermeneutica che oggi ha un compito gravoso e urgente: rivalutando l’incarnazione di Cristo, immergersi nella storia: «ciò è possibile solo in quanto la verità che fa da sfondo interpretativo è la verità di Dio, la quale si manifesta nell’evento storico Gesù Cristo e, perciò, una verità che “si fa” dentro la storia, nella storia avanza e genera una comprensione graduale di se stessa».
Così preparate e argomentate, acquisiscono senso le proposte pastorali, che sappiano rivalutare l’immaginazione e il sentimento della persona, e ugualmente sappiano rigenerare nuove immagini di Dio che l’età secolare ha opportunamente contribuito a smontare nei suoi aspetti meno biblici, a partire dalle rappresentazioni oppressive e punitive del divino, che ricalcavano modi più umani che evangelici. A riguardo, Cosentino ricorda giustamente che uno dei compiti della teologia è quello di ‘liberare’ Dio dalle sovrapposizioni storiche e umane che si sono depositate nel corso dei secoli e che è necessario abbandonare, perché non vere.
Dal cristianesimo della resistenza al cristianesimo in movimento
Il contesto attuale sprona a leggere la crisi come kairos e, dunque, a usare profezia: la sinodalità, vista come categoria ecclesiale e teologica, è un modo per rivivere il cristianesimo, passando da «un cristianesimo della resistenza a un cristianesimo in movimento: il primo resiste, o negando la crisi o edulcorandone le conseguenze o rinchiudendosi in forme e pratiche di fede tradizionali; il secondo si mette in cammino, pur non possedendo in anticipo le mappe e le risposte». Riscoprire la vitalità dell’annuncio cristiano diviene il compito per il secolo XXI, rilanciando una visione dove tutti siano ‘soggetti di fede’ e non solo meri oggetti, in dialogo con le altre confessioni cristiane e le altre religioni, «per una nuova immagine di Dio, di Chiesa, di cristianesimo», che realmente e non solo a parole si rimetta in discussione e ripensi le energie, le strutture, le forme del vivere oggi la fede e del camminare con gli altri uomini e donne, siano essi di altre fedi o di nessuna fede. In questo, mai obliando l’umanità del cristianesimo, troppo spesso negata: «Abbiamo annunciato una salvezza contrapposta alla vita e una relazione con Dio fondata sui criteri religiosi dell’adempimento di doveri morali e dell’osservanza esteriore, fino a istillare nell’immaginario collettivo l’idea che il cristianesimo fosse fondamentalmente antiumano».
Il libro di Francesco Cosentino aiuta a ricordarci anche questo, chiamando la teologia e le discipline sorelle a una nuova assunzione di responsabilità verso l’umanità in viaggio, con i suoi carichi e le sue benedizioni.
E’ molto interessante quanto qui riportato, come nella natura anche nella società stanno avvenendo cambiamenti, da popolo istruito quello Cristiano dovrebbe incamminarsi non trascinato o sospinto verso l’indefinito, ma sapendo di avere una metà da raggiungere quella che il Figlio di Dio ha indicato, essere per la vita eterna.perché non sentirci rimproverati..”Ipocriti, Sapete valutare l’aspettò della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete valutarlo e a saper leggere i “segni dei tempi”, ?perdere tempo a confronti con le passate generazioni, di quella semplice fede, che solo Dio può conoscere. Giacché oggi se è necessario riscoprire la vitalità dell’annuncio cristiano, cito quanto su La Stampa si rimanda detto da grande politico Alcide De Gasperi “ E’ il momento per tutti di mettersi alla stanga”” . Lui lo disse per spronare l’Italia postbellica”, noi abbiamo da impegnarci a fare luce sulla Verità