Cosa c’è ( e cosa manca ) nel Sinodo

La fede nasce ancora in famiglia, nella cultura e nella vita sociale. I giovani sono il "target" ancora preferito.
1 Novembre 2012

Qualche mese fa, mi ero impegnato in una lettura un po’ ostica. I “lineamenta” preparatori del sinodo sulla nuova evangelizzazione. Ora, dopo che il sinodo è stato celebrato, ho deciso di vedere se i documenti finali prodotti dai Vescovi hanno, o no,  fatto fruttare quelle premesse. 

C’è da dire che i due documenti prodotti, il messaggio al popolo di Dio e le 55 proposizioni approvate in assemblea e consegnate al papa, non sono l’esito definitivo. Il papa dovrà avere l’ultima parola e quasi certamente promulgherà, a tempo debito, un testo che sarà il frutto conclusivo del sinodo. Perciò il tentativo di entrare un po’ dentro allo spirito e al senso del sinodo è sicuramente ancora “in itinere”. Ma qualche indicazione credo però si possa già intravedere. 

Sono felicemente colpito, innanzitutto, dallo sforzo dei vescovi di utilizzare un linguaggio più accessibile, rispetto a quello dei “Lineamenta”. In particolare nel messaggio rivolto al Popolo di Dio. Mentre già le 55 proposizioni, dirette al Papa, in alcuni passaggi mostrano meno cura linguistica.

Ho apprezzato molto, poi, la messa in primo piano della centralità della relazione con Gesù Cristo: “prima di dire qualcosa circa le forme che deve assumere questa nuova evangelizzazione, sentiamo l’esigenza di dirvi, con profonda convinzione, che  la fede si decide tutta nel rapporto che instauriamo con la persona di Gesù, che per primo ci viene incontro” (Messaggio n. 3). E soprattutto la chiara consapevolezza che la nuova evangelizzazione ha come destinatari principali i fedeli che si sono allontanati. Perciò una evangelizzazione all’interno della Chiesa prima e più che la di fuori di essa. (Messaggio n. 2)

Da qui in poi il Messaggio al Popolo di Dio si snoda nel rileggere tutte le dimensioni della vita ecclesiale, alla luce di una nuova evangelizzazione. Con la fatica però di ritrovare una gerarchizzazione tra queste, e la sensazione che tutto sia importante (Il che equivarrebbe a dire che nulla è importante!).  Alla fine, però, una priorità sembra emergere. Al numero 12: “due espressioni della vita di fede che ci appaiono di particolare rilevanza per testimoniarla nella nuova evangelizzazione. Il primo è costituito dal dono e dall’esperienza della contemplazione. (…) L’altro simbolo di autenticità della nuova evangelizzazione ha il volto del povero”.

Peccato che nel corpo del discorso e delle 55 preposizioni queste due indicazioni semplicemente spariscano. Non ce n’è traccia. E allora temo, che nel tentativo di tenere insieme la ricchezza di tutti gli interventi in aula, alla fine si sia voluto dire tutto, senza però davvero utilizzare queste chiavi per rileggere il tema di fondo. E che il pensiero dei vescovi sia stato guidato dalle categorie solite che da tempo ci sentiamo ribadire e che per nulla sanno di “nuova” evangelizzazione. La fede nasce ancora in famiglia, nella cultura e nella vita sociale. I giovani sono il “target” ancora preferito. (Messaggio n. 7-10). La Chiesa non ha paura del mondo e dei suoi cambiamenti, perchè in fondo l’uomo è quello di sempre (Messaggio n. 6). Perciò si deve ritornare a ridare slancio alle forme e ai modi che già erano presenti nel Concilio (Messaggio n. 11). Lettura legittima, certo, ma che mi lascia la sensazione che non sia stata compresa sufficientemente la portata e il livello antropologico del cambiamento culturale in atto. Come se la Chiesa si fosse solo un po’ stancata del viaggio nel mondo, e che sia necessario solamente risvegliarla un po’. Mentre se guardo la realtà l’impressione è che la strada sia diventata difficile e diversa da quella prevista, e di molto.

Perciò avverto poco l’eco di una riflessione che avrebbe potuto evidenziare il perchè e il come è avvenuto questo “affievolimento” della fede. Infatti la declinazione del processo di sviluppo della fede viene proposta secondo la tradizionale scansione: a partire dalla testa, illuminata dallo Spirito, all’azione personale, alla dimensione sociale (Proposizioni 5-13). La scelta di centrare le 55 proposizioni sulla parola di Dio ne è la conseguenza. La Parola di Dio intesa come la persona di Gesù Cristo, e la sua dimensione relazionale sono indicati solo all’inizio. (proposizione n. 3-4) Di fatto, dopo, si ragiona sempre identificando la Parola di Dio e Bibbia, rischiando di ridurre Cristo al suo messaggio. Fino a “tacere” la dimensione della testimonianza personale e della relazione esistenziale con l’altro, mentre al rapporto tra esegesi storico – critica e teologia vengono dedicate ben 10 proposizioni (25-34). Non è un caso in questo senso che sia davvero debole la riflessione sugli errori della Chiesa che invece veniva auspicata maggiormente nel “Lineamenta”.

La dimensione emozionale e relazionale della dinamica di fede sembra davvero in ombra, anche se si riconosce l’importanza della bellezza di Dio per la fede di oggi (Proposizione 40). Ma lo si fa ancora come elemento aggiuntivo e consequenziale, e non costitutivo ed essenziale. Ancora meno rilevante la dimensione corporea della fede, letteralmente mai affrontata. Siamo ancora solo delle anime?

Restiamo in mezzo al guado. Speriamo che il papa ci metta del suo.

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