Elogio di Bob Kennedy, testimone dimenticato

A cento anni dalla nascita merita riscoprirne l’ispirazione e lo stile politico: il fresco volume di Antonio Marchesi
13 Gennaio 2025

Nella tradizionale carrellata degli “anniversari famosi” annunciati nei primi giorni di questo 2025 è passato finora sotto silenzio in Italia – ma anche negli Stati Uniti di Trump– il centenario della nascita di Robert Kennedy, il 20 novembre. È vero che il nome del fratello del presidente John Fitzgerald è solitamente associato al giorno della morte il 6 giugno 1968 nell’attentato di Los Angeles, ma la ricorrenza torna propizia per riscoprire questo leader del progressismo anche come personaggio di straordinario spessore umano e spirituale, “un grande esempio di stile e di impegno politico per l’oggi”. Ci riesce un fresco volume di cinquecento pagine dal titolo “Responsabilità e compassione. Il mondo nuovo di Robert Kennedy”, edito da ViTrenD, nel quale l’autore trentino Antonio Marchesi presenta un percorso molto originale (cronologico, ma non soltanto biografico) attraverso i temi principali del pensiero kennediano, che rappresentano “un perfetto manifesto per il pensiero democratico del domani”, osserva nella prefazione Michele Nicoletti, docente di Filosofia Politica.
I brani tratti anche dai resoconti dei viaggi nelle aree povere degli Stati Uniti, America Latina e Africa registrano prima la sua umana indignazione e poi la sua autentica compassione che si trasforma in responsabilità ad agire: “È per questo che si fa politica, per adoperare la propria posizione per aiutare la gente in difficoltà”, confidò ad un suo assistente. Dai suoi discorsi si capisce come Kennedy seppe umanizzare la politica, offrire progetti concreti ma dare anche ispirazione personale. “Secondo me voi altri dovreste organizzarvi subito e cercare di combinare qualcosa”, usava dire agli elettori cittadini, stimolandoli con una chiamata diretta.
Dignità, sacrificio (in prima persona) e coraggio (anche di fronte al rischio) sono altre tre dimensioni del lessico kennediano che il libro documenta nelle azioni e nelle scelte del politico americano: è una prospettiva che in questo centenario da Giubileo troviamo esemplarmente ispirata alla speranza, nutrita dalla fede, in un futuro diverso. Nel clima teso della guerra fredda e della proliferazione delle armi nucleari, “Bob” (come amava essere chiamato dagli amici) pose al primo posto la ricerca della pace: “Solo se dedichiamo ogni sforzo alla soluzione di questi problemi siamo in pace: solo se ci riusciamo ci sarà pace per i nostri figli”, disse nel 1965 anticipando l’appello del suo libro del 1967 “Vogliamo un mondo più nuovo”.
Rileggere questi brani ci consente di gustare un robusto patrimonio ideale, ben più consistente di quel “santino” col ciuffo biondo che forse è stato tramandato nell’immaginario degli anni Sessanta. Si scopre che Robert Kennedy fu non solo Procuratore della Giustizia, molto abile nell’organizzare e condurre la lotta alla criminalità mafiosa, e, in seguito, un promettente candidato alle primarie americane. Fu anche un acuto analista di problemi e fenomeni sociali, in grado di individuare e attuare misure ancora oggi significative, perché “tengono insieme” diritti individuali e diritti sociali. S’impegnò, ad esempio, a frenare la diffusione troppo facile di armi per la difesa personale, imponendo normative più rigide per evitare abusi e stragi purtroppo ancora all’ordine del giorno.
Sulla violenza legittimata come strumento di lotta politica egli (poi ucciso per mano di un giovane fragile probabilmente assoldato da chi non voleva la quasi certa elezione di Kennedy alla presidenza) scrisse pagine straordinarie, indicando agli amministratori il dovere di intervenire sulle cause d’ingiustizia che sfociano in ribellione dura e interrogandosi sulla realtà, spesso ignorata, della “violenza delle istituzioni” che va a gravare soprattutto sui soggetti più deboli.
Rileggendo il percorso delle scelte politiche di Kennedy si resta colpiti anche dalla sua onestà – virtù rara nei leader mondiali – nell’ ammettere i propri errori di valutazione, come nel caso della fallimentare avventura americana in Vietnam, che egli in un primo momento appoggiò per prenderne poi decisamente le distanze, invocando la decisione di mettervi fine “per salvare migliaia di vite umane”.
Arricchito dalle estemporanee reazioni nei titoli e nelle cronache dei giornali italiani dell’epoca, il libro presentato a Trento consente una rilettura distaccata del magistero di Robert Kennedy, “lo splendore di un testimonio – ebbe a dire tre giorni dopo la morte Paolo VI all’Angelus -, di cui faremo bene a ricordare la voce, in favore dei poveri, dei diseredati, dei segregati, dell’urgente progresso, in una parola della giustizia sociale”. Certamente non la dimenticarono quelle migliaia di americani, immortalati con i volti in lacrime dal fotografo Paul Fusco, che attendevano nelle stazioni per applaudire il loro “Bob” nel passaggio del Funeral Train, il convoglio che trasportava il feretro da New York a Washington.

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