Soul: un Aldilà senza Dio

Le promesse di Aldilà hanno a che fare con la paura della morte. È il limite ultimo oltre il quale nessuno realmente può dire cosa esisterà e con quali regole...
14 Gennaio 2021

Molti anni fa un parroco a messa ci pose una domanda: “Se il Paradiso non esistesse voi credereste ancora in Dio?”. Fu una domanda di quelle che ti fanno ballare sulla sedia: dura, provocatoria per noi cattolici, che dopo la morte attendiamo il premio per i nostri meriti e la punizione per i malvagi. Il sacerdote ci propose un Dio senza Aldilà, che richiede una fede gratuita, centrata sulla progettualità del vivere presente.

Le promesse di Aldilà hanno a che fare con la paura profonda della morte, naturalmente, caratterizzante l’unico essere realmente cosciente di essere vivo: l’uomo che sa, appunto, Homo sapiens. È il limite ultimo, invalicabile, oltre il quale nessuno realmente può dire cosa esisterà e con quali regole; nessuno tranne la Walt Disney e la Pixar, a quanto pare, che con il nuovo lungometraggio animato indagano la dimensione ultraterrena, reinterpretando a modo loro un’idea vagamente neoplatonica di Altro Mondo.

Il film è uscito sulle piattaforme di streaming il giorno di Natale (data tradizionale per un classico Disney) ed ha fatto già molto parlare di sé. Racconta di un insegnante di musica che sta per coronare il suo sogno di entrare a far parte di un quartetto jazz. Camminando trasognato, schiva numerosi incidenti fino a cadere fatalmente in un tombino aperto, poco prima di un concerto. Da quel momento cominciano le peregrinazioni della sua anima (Soul, appunto) che cerca di rientrare nel corpo in tempo per suonare.

Il film è esteticamente molto ben fatto, con colori azzeccati che giocano sui toni freddi, e una colonna sonora a mio avviso efficace. Il tema della realizzazione personale («Libera la tua essenza!»), così tipico delle fiabe a stelle e strisce, viene qui presentato con un’accezione originale, che distingue tra “fare” e “stare” nella propria vita. Lo scenario ultraterreno che viene mostrato è tuttavia irto di superstizioni e ammiccamenti al mondo New Age, confusamente mescolati ad immagini che richiamano due grandi classici della miglior fantascienza: “2001 Odissea nello spazio” (Kubrick, 1968) e “Interstellar” (Nolan, 2014). Ne viene fuori così un prodotto ambivalente, in bilico tra allegoria fiabesca e narrazione realistica.

Realismo piuttosto incoerente, a dire il vero, visto che sin dai tempi del primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, risuonano nel nostro immaginario collettivo le parole: «Non vedo nessun dio quassù». Nei decenni la riflessione teologica si è perciò sforzata sempre di più per trovare una collocazione credibile alla dimensione trascendentale, che non fosse fisicamente legata ad una cosmologia ormai scaduta. Di tutta questa complessità non c’è neanche un pallido riflesso nella narrazione di Soul, che con la sua favoletta dalle pretese archetipiche cancella di un colpo tutte le scoperte scientifiche dal ‘600 ad oggi, addirittura citando en passant il modello “a molti mondi” della fisica quantistica, che tutto è fuorché quella fascinazione pseudo-mistica che si vorrebbe far credere.

Il lungometraggio mostra un universo preordinato, con regole rigide ma facilmente eludibili, in cui esiste un’aristotelica divisione tra Mondo, abitato dagli esseri umani, e Cielo, in cui hanno sede i regni ultraterreni. I contatti tra i due sono garantiti dall’allineamento astrologico dei pianeti e dall’attività di personaggi particolarmente ricettivi, più invasati che mistici, che non somigliano affatto ai maestri di spiritualità della vita reale (religiosi o laici). Le anime “inespresse” dei vivi, graficamente identiche ad alcuni personaggi già raccontati, molto meglio, ne “La città incantata” (Miyazaki, 2001), vagano nell’oscurità dell’Altro Mondo, mentre il loro corpo continua ad agire passivamente sulla Terra.

I regni che vengono immaginati sono due: da un lato quello delle anime dei defunti, sospinte da un nastro trasportatore verso una grande luce sferica, vagamente dantesca, come rottami verso un altoforno (reminiscenza di Toy Story 3?), sorvegliati da Terry, una specie di contabile quasi onnisciente, ma in fondo debole e incapace; dall’altro quello delle anime non ancora incarnate, l’Antemondo, in cui una serie di entità (angeliche o demoniache?), organizzate come dirigenti d’azienda, inculcano senza una logica apparente gli elementi caratterizzanti nella personalità dei futuri nati. Queste entità (chiamate indistintamente Jerry) esercitano il proprio potere con una certa arroganza, agendo soprusi persino verso il contabile Terry.

Viene così dipinto con molta naturalezza un quadro complessivo antropocentrico e geocentrico, in cui la soggettività e l’improvvisazione dominano su tutte le altre regole, in un contesto comunque giudicante e sottilmente crudele, con il libero arbitrio che appare completamente eterodiretto: l’anima viene instradata alla vita da arbitri superficiali e spocchiosi, si incarna seguendo una non meglio identificata scintilla, che sviluppa grazie ad un mentore (una presunta “grande anima” che si è espressa pienamente in vita), vive come può la sua esistenza, godendo delle piccole gioie quotidiane ed accettando le sue frustrazioni; dopo la morte finisce senza che nessuna delle sue scelte di vita abbia avuto una qualsiasi conseguenza.

Durante tutta la storia nessuno risponde veramente alle domande che vengono sollevate: come sono stabilite le regole di questo universo? Cos’è la “scintilla” che spinge le anime a nascere? Chi sono l’inetto Terry e i potenti Jerry? Chi può diventare un mentore? Ma soprattutto: quale valore ha la peregrinazione umana terrena, in questa visione che non è né materialistica né spiritualistica?

C’è qualche elemento indubbiamente interessante, ma il risultato finale, a mio avviso, è un film acritico e pretenzioso, che offre al suo pubblico un Aldilà senza Dio, dai risvolti inquietanti: il ciclo di un’anima prodotta quasi industrialmente e infine mandata al macero (o al riciclo), dopo un’incidentale e poco significativa incarnazione. In definitiva ci vedo una prospettiva che si libera dalla visione religiosa, scivolando in pieno in quella consumistica.

2 risposte a “Soul: un Aldilà senza Dio”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma può essere credibile questo supporre una Terra senza Cielo? Un Dio che ha bisogno di un essere per popolare la Terra,essere adorato,avere in lui un suddito che gli obbedisce?E l’amore?Questo lo vediamo cosa è da quando il Covid con il danno ha fatto scoprire questo sentimento che sembrava dormiente o anche superato da una autosufficienza orgogliosa di non dovere niente a nessuno,Invece il Cielo esiste come un mondo superiore da abitare con un Dio che c’è lo ha dimostrato in Gesu Cristo e la Fede in Lui c’è né da conferma sin d’ora. Ma a che serve un film se genera tante riserve personali?Dio non è un sogno,va cercato nella realtà che viviamo,come Taddeo,per desiderio

  2. Paola Meneghello ha detto:

    L’eternità non è un premio, ma un dato costitutivo, anche questo insegna Gesù: siamo corpi animati dallo Spirito divino, che devono risorgere, ritrovando l’Unità con il Sole di cui siamo parte, imparando ad Amare e a scaldare la fredda terra in maniera gratuita, non per un premio, ma per ricordo di quell’Amore che ci ha generati fondendosi nella materia del nostro mondo..ce ne siamo dimenticati a tal punto da non riuscire nemmeno a scorgere in noi una dimensione che esula dallo spazio e dal tempo, come il nostro Pensiero. C’è un nucleo di coscienza in noi che nessuno può scalfire; questa è la nostra Forza, se l’uomo credesse nella grandezza del proprio Sé, che lo rende esso stesso divino, non avrebbe più paura, forse è per questo che Gesù è stato ucciso…l’uomo deve restare un suddito, che obbedisce per paura ad un comando senza neanche capirlo…il circolo vizioso che “consuma” la nostra anima anziché elevarla, deve finire. .

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