Modelli di “Chiesa all’aperto”

Un'agile pubblicazione che nasce dalla convinzione «che questa fase si possa vivere subendola, limitando i danni, oppure che si possa attraversarla prendendo l’iniziativa in modo intelligente»
15 Maggio 2020

Niente spiritualizzazioni disincarnate ma una sana, ossia cristiana, attenzione ai corpi, agli spazi, ai cammini del popolo di Dio incontro al Suo Signore: trovo sia questo il carattere più spiccato dell’inserto speciale della «Rivista di pastorale liturgica», dedicato a Modelli di “Chiesa all’aperto”. Quattro figure dell’incontro nel distanziamento, che l’editrice Queriniana offre gratuitamente ai lettori in formato elettronico.

Il lavoro nasce da una domanda pressante: è possibile celebrare «nella attuale realtà, segnata dai limiti e dalle restrizioni legate alla pandemia in corso, e come comunità fragile, esposta, ridotta, nascosta?» (p. 5).  Consapevoli che le questioni intorno a questo tema sono molte, e scottanti, gli autori scelgono di mettere a disposizione le loro specifiche competenze riservando l’attenzione al come e al dove, «convinti che questa fase si possa vivere subendola, limitando i danni, oppure che si possa attraversarla prendendo l’iniziativa in modo intelligente» (p. 3).

Il titolo scelto evoca dimensioni importanti, non solo per la liturgia: il fatto che la Chiesa sia un ‘chi’ (il popolo di Dio) e quindi non strettamente legata a un ‘cosa’ (un edificio), consente di immaginare la possibilità di riunirsi dignitosamente al di fuori dei luoghi consueti, ossia all’aperto. Anche questo dato, però, va accolto senza ingenuità: «per chiunque abbia un minimo di esperienza liturgica maturata in occasione di celebrazioni all’aperto (campi, eventi eccezionali), l’idea di predisporre uno spazio all’esterno perde subito ogni ingenuo romanticismo. Ci vuole sempre un notevole lavoro, la ricchezza iconografica dello spazio si impoverisce enormemente, l’esperienza del silenzio e dell’acustica si trasforma, possono nascere questioni di disturbo con chi abita vicino, e molte altre questioni» (p. 4).

Insieme, anzi alla radice dell’elemento logistico, viene considerata la dimensione relazionale: che senso potrebbe avere, infatti, «celebrare la grazia di essere fratelli e sorelle in Cristo, dovendoci proteggere gli uni dagli altri per non esserci di minaccia? L’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e l’adozione delle distanze di sicurezza rischia di alterare la percezione della grazia di essere “uno in Cristo”» (p. 5). L’attenzione si concentra quindi sulla necessità di promuovere l’incontro pur nelle modalità richieste da queste circostanze inusuali, in questa sorta di ‘terra di mezzo’ nella quale saremo costretti ad abitare per più di qualche mese. Intorno a questo fine, si ridisegnano spazi e gesti per favorire comunione e non separazione, immaginando «una piccola serie di modelli spaziali liturgici di facile e accurata gestione negli ambiti aperti, tenendo presenti, in primo luogo, le esigenze di sicurezza e, al contempo, l’appropriatezza celebrativa, nonché la dimensione simbolica, intravvedendo, in queste asperità del tempo di malattia, la possibile riscoperta di un’arte del celebrare quale fonte dello spirito cristiano e forma di vita reale» (p. 8).

Gli autori, impegnati da tempo nel campo della liturgia, dell’arte sacra e dell’architettura liturgica, sono Angelomaria Alessio, Tino Grisi, Francesca Leto e Silvia Tarantelli.

Le loro proposte (concretamente quattro modelli per un’assemblea liturgica all’aperto, semplicemente ma accuratamente schematizzati) tengono conto sia della distribuzione degli spazi e degli arredi che dei movimenti delle persone, in modo tale che l’intero dinamismo possa manifestare la carità reciproca: essa riposa negli sguardi possibili, in un ordine condiviso, nel rispetto di quel distanziamento che, così pensato, può diventare una forma di prossimità.

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