Maria. Elogio di una fede materna

Festeggiare l'Immacolata Concezione della Madre di Dio ascoltando Fabrizio De André...
8 Dicembre 2022

Avvento e Natale. Due tempi liturgici al centro dei quali ritroviamo rispettivamente la celebrazione di una solennità di carattere mariano: l’Immacolata concezione e Maria madre di Dio. Al cuore dell’attesa e del mistero dell’incarnazione, la chiesa si lascia guidare da colei che per prima ha saputo di essere davvero “in attesa” di qualcuno, colei per mezzo della quale il Figlio ha potuto farsi carne. Ma che significato ricopre oggi la figura di Maria? Cosa dice la sua storia, il suo essere donna e madre, all’umano e alla fede che ciascuno di noi è chiamato a vivere?

C’è un brano, in particolare, che sembra in grado di dischiuderci un orizzonte per riconoscere, ancora oggi, il senso e l’importanza di questa figura che, forse, sotto certi aspetti si è sbiadita dal nostro immaginario. Parliamo del brano Ave Maria, una vera e propria preghiera scritta da Fabrizio De André e apparsa in quello splendido album intitolato La buona novella.

Con poche e semplici parole, il cantautore genovese ci mostra Maria non esclusivamente come madre di Cristo ma, proprio in questo privilegio che Dio le ha donato, come simbolo della femminilità e della maternità che deve incarnarsi in ogni esperienza spirituale e di fede.

Il brano si rivolge direttamente a Maria, usando la seconda persona singolare, proprio come avviene nella più nota preghiera omonima. Maria se ne va «fra l’altra gente», circondata da un «siepe di sguardi» a cui sembra indifferente («non fanno male»). Una ragazza comune, che vive la vita di ogni giorno, normale e umile, come ci ricorda il Magnificat (Lc 1,48); una donna «della terra» (da humus) ma da sempre chiamata a una vita in Dio.

Dal contesto spaziale siamo rinviati a quello temporale: «nella stagione di essere madre». È questo il periodo nel quale l’autore si immagina Maria. Tutto il suo tempo è definito dal suo essere-madre; non dimentichiamo, d’altro canto, come il titolo più grande di Maria sia proprio quello di «madre di Dio».

I sentimenti di Maria sono confusi, si accavallano, sembrano isolarla dal resto del mondo: «Sai che fra un’ora forse piangerai». Qualcosa sta per accadere, qualcosa che incrinerà la gioia del suo essere madre. Il pensiero corre subito alla Passione, al dolore del figlio che sarà anche il suo. Eppure: «Poi la tua mano nasconderà un sorriso». Grandioso l’intento paradossale che ci viene offerto, che associa il pianto al sorriso. È vero, Maria sa che dovrà soffrire, lo ha saputo fin dal primo giorno (Lc 2,35); ma quale sarà la fine? Un sorriso, un’inaspettata piega delle labbra, nascosta umilmente dalla mano di colei che sempre non ama mettersi in mostra ma tutto «custodisce» nel suo cuore (Lc 2,19.51). Lei è la «piena di grazia», colei che sa che il Signore è sempre al suo fianco, e proprio qui sta la sua grandezza e la grandezza della sua fede, della sua totale fiducia riposta in Dio, e che proprio per questo non verrà delusa.

«Gioia e dolore hanno il confine incerto». Ecco l’espressione più adatta per descrivere la situazione nella quale si trova Maria, un’esperienza di fede che in realtà racchiude l’esperienza stessa di ogni madre, che nel dare alla luce un nuovo figlio è in costante equilibrio tra gioia e dolore. Quando si sperimenta questo confine? «Nella stagione che illumina il viso». Ritorna quella sorta di ritornello che abbiamo già incontrato. La struttura della canzone ci consente di vedere qui una sorta di fil rouge, per cui possiamo dedurre che la stagione è sempre quella dell’«essere madre». In questo caso, però, essa illumina il volto delle donne, lo riempie di una luce nuova.

«Ave Maria, adesso che sei donna». Eccolo finalmente, il saluto d’onore alla Vergine. Dopo la Passione, davvero può definirsi madre, colei che ha creduto alla misericordia e alla fedeltà di Dio, modello di fede, di speranza e di carità. «Ave alle donne come te, Maria». Cambiando l’ordine dei soggetti, la benedizione non cambia. Ogni donna è degna del saluto della Vergine, ogni madre aperta al dono d’amore che è quella vita che solo le donne possono dare. «Femmine un giorno […] e poi madri per sempre». La femminilità è accoglienza, è l’istante di un giorno che può consacrare a un’eterna maternità, nel dare alla luce il proprio «nuovo amore, povero o ricco, umile o Messia». Quale delicatezza nel descrivere il mistero della generazione, sempre divino e insieme sempre profondamente femmineo. L’essere di una donna è segnato profondamente e per sempre da questo dono, che cambia la propria più profonda identità: da essere femmina ad essere madre. Il poter dare alla luce quale carattere ontologico dell’essere stesso della donna.

«Nella stagione che stagioni non sente». Ecco l’ultimo ritornello. L’essere madre, che illumina il viso, non sente stagioni, non subisce variazioni; per sempre consacra colei che può generare.

Termina così questo brano, insieme semplice e profondo, nato dalla sensibilità di un vero e proprio poeta come Fabrizio De André. Maria, esaltata nel suo essere donna, femmina e madre, in una parola: nel suo saper generare. Un elogio alla sua femminilità e alla sua maternità come quelle di ogni donna, di ieri e di oggi. Una maternità, d’altro canto, che in Maria s’intreccia a una profonda esperienza di fede, che la porta a una maternità divina, fino ad essere incoronata quale madre di Dio. In lei si fa realtà storica quella generazione che Dio è in sé dall’eternità e che ha assunto nel Figlio una vera carne umana.

Proprio questo intreccio, d’altro canto, ci permette di ampliare il senso di questa canzone, strettamente mariana e tutta al femminile, per riconoscervi una singolare capacità inclusiva. La maternità, in questo senso, non è solo quella biologica ma è insieme (e soprattutto) spirituale. Come afferma Angelus Silesius, ognuno di noi, come chiesa, nella fede, è chiamato ad essere Maria, a concepire in sé nella propria vita, per opera dello Spirito, il Cristo Gesù. Solo così, potremmo dire, tutti noi, “madri nella fede”, potremo dare alla luce, testimoniare concretamente nella nostra storia la presenza reale d’amore del Figlio di Dio.

 

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