Lode a Dio!

Giunge il tempo in cui anche la notte più dolorosa ed oscura si trasfigura nell’alba di un giorno in cui i raggi del sole scalderanno ogni quartiere.
29 Maggio 2024

Nel nostro percorso – che dopo l’ultima tappa (con Neffa e Fabri Fibra) potremmo rinominare di biblico-musicoterapia – ci eravamo fermati sulla necessità di accogliere il fatto che, in determinati periodi della vita o della storia, non si deve affrettare il momento in cui la luminosità della gioia pasquale prende il posto dell’ombra che vela di tristezza i nostri volti, sofferenti per le croci o i crocifissi che sperimentiamo o che incontriamo.

D’altra parte, con l’Ascensione e la Pentecoste si compie liturgicamente il tempo pasquale, e tale compimento, prima di diventare ordinaria vita ecclesiale, quasi esplode nelle feste della Trinità e del Corpus Domini. È allora questo il momento in cui possiamo finalmente aprirci alla gioia, in tutta la sua sobrietà e delicatezza. Sono tali caratteristiche, infatti, che permettono ad essa di non restare vittima, né delle ingenuità tipiche di una felicità illusoria – in quanto la persona gioiosa resta consapevole che anche il male e la sofferenza saranno con noi sino alla fine del mondo – né delle scaltrezze di una rassegnazione disillusa – in quanto chi vive con gioia è altrettanto consapevole che male e sofferenza si possono sempre trasfigurare, senza cedere o colludere con esse.

Per la consonanza con questo stato d’animo – la cui dialettica di gioia e tristezza è narrata dal film d’animazione Inside out (2015) – la canzone che mi risuona dentro con maggior eco è quella di apertura dell’ultimo album del rapper romano Tommaso Zanello, in arte Piotta: Lode a Dio.

 

Già il titolo provoca un effetto straniante. L’artista è uno dei primi protagonisti della storia del rap italiano ed in un certo immaginario collettivo (che arriva sino ai miei studenti) resta ancora legato ad una sua canzone di fine anni ‘90 (Supercafone), erroneamente considerata leggera – se non leggerissima – ma in realtà profetica circa il degrado sociale e politico verso cui ci stavamo avviando. In realtà, avevo già evidenziato del Piotta la vena intimista e di cantautore impegnato che si sarebbe affermata in seguito, ma soprattutto la sua capacità di affrontare uno dei tabù dell’essere umano e, con le parole di Luca Carboni, della musica «pop»: la morte.

Un evento che lo ha toccato da vicino – e in modo spesso prematuro – nelle amicizie e nella vita familiare, ma la cui elaborazione ha sempre generato, grazie al potere terapeutico se non salvifico della musica, splendide canzoni: Stiamo tutti bene (2009) e Piazzale Lagosta 1 (2012) dedicate alla madre («lassù» dal 2003); Di noi (2017) per l’amico Davide, in arte Primo Brown (il cui «finale così amaro» è datato capodanno 2016); infine, questa Lode a Dio (2024) legata alla morte del fratello Fabio (nel 2022), quasi sulla scia del laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte di francescana memoria.

Di Fabio Zanello, soprattutto su Vinonuovo dove siamo sempre in ricerca di “spunti per l’umanità di oggi”, non possiamo non ricordare  gli studi sulla spiritualità e sulle religioni (vedi qui). Una riflessione che, nonostante il processo di secolarizzazione, ha contribuito a mantenere vivo l’interesse per la dimensione trascendente in ambienti cosiddetti alternativi o di controcultura. Per quanto riguarda la storia della sua generazione, che è la storia di Roma – e in fondo d’Italia – degli anni ’70, segnaliamo il libro Corso Trieste (ed. La nave di Teseo) che Tommaso ha scritto intrecciando i suoi ricordi – e gli anni ’80 – con quelli appuntati sulle carte del fratello di dieci anni più grande.

Tornando al testo, che non a caso viene posto sotto l’egida della musica «blues», possiamo vedere come in esso dialoghino inizialmente una malinconica consapevolezza di quanto sia incerta e fugace la vita e, ciò nonostante, la lode per quello che la vita può donarci se sappiamo coglierlo: «oggi siamo qua е poi chissà domani che sarà / e dove porterà ‘sto vento che io sento addosso / prendo alla vita tutto ciò che posso / lode al pa’, lode a te, lode a voi figli di Villa Ada».

Se qualcuno volesse, però, mettere l’accento sull’afferrare piuttosto che sul lodare, per criticare ancora una volta l’umanità troppo umana del nostro artista, ogni dubbio al riguardo dovrebbe cadere nel momento in cui si ascoltasse con attenzione il prosieguo della canzone: «in questa notte (…) che non si respira», Tommaso risponde al dolore soffocante causato dalla tragedia che si sta compiendo con un delicatissimo e toccante «parlo piano con il cielo e dice / che questa notte scenderanno lacrime come vernice».

Siamo ormai oltre quei versi brucianti di vent’anni fa: «troppo presto, nessun rewind sul nastro, Dio che faresti al nostro posto? / una lacrima e l’inchiostro bagna il pentagramma / il pianto di una mamma su un fotogramma» (Mercante di sogni). Versi che sono stati sublimati pur senza essere rinnegati, se il nostro artista ancora canta «scusami, ma lo ripeto daccapo / non ce l’ho con te, io ce l’ho col capo / ma se quello non mi ascolta, parlerò col diablo» (Io non ho paura). D’altronde, anche i quattro poemi in prosa – come Oscar Wilde chiamava i vangeli – passano dal Gesù di Marco e Matteo che grida sulla croce Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato a quello di Giovanni che sussurra, sempre dalla stessa croce, un quasi serafico Tutto è compiuto.

Ecco allora che le «ventiquattr’ore in giro sul Raccordo», cantate oggi dal Piotta, mi fanno pensare che anche per Tommaso il tempo ha fatto il suo corso completo e che, sì, nonostante «questa notte è immensa come il mondo» – perché «tu non sei qui» – egli può testimoniare che «era buio e ora è mezzogiorno», che si può lodare Dio proprio perché «più grande della pioggia che cade sul cruscotto / e dei tergicristalli che la spazzeranno via».

Un Dio che tiene dialetticamente insieme oscurità e luce è però molto simile a quel Dio trinitario che ricordavamo all’inizio. Un Dio che – come recita la voce di Fabio Zanello nell’intro – è «più grande di Torpignattara e Casilino / del Tiburtino e di tutta Tor Bella / più grande di Roma, del Raccordo e di me / un dio senza un nome definitivo o un’immagine azzeccata». Un Dio che per questo, a differenza di quello cantato da De André nella Città vecchia, non conosce quartieri che non siano scaldati dai raggi del suo sole. Perciò, come i discepoli nel giorno di Pentecoste parlavano in tutte le lingue del mondo (At 2,4-11), così si può recitare tutti insieme una «lode al Dio del Quadraro, del Labicano, del Prenestino / di Marranella e dell’Esquilino / al Dio delle popolari, da Millevani fino a Serpentara / al Dio di Val Padana, di Val Melaina, di Pietralata / al Dio del fiume, da Montesacro fino alla Magliana / al Dio del mare, dall’Infernetto fino all’idroscalo / al Dio del cielo, da Forte Antenne fino a Monte Mario / al Dio dell’Africano, lì dove tutto è nato».

Resta solo un mistero in questa che potremmo definire una Pentecoste laica. L’enigma che perseguita da sempre l’animo di ogni studioso serio di spiritualità e di religione. Non se Dio esista, perche Dio –  anche solo come in-venzione umana – esiste, ma se – e come sia possibile che – Dio sia un Dio che ci vuole bene, che ci ama. Perché, confessa Fabio Zanello nei suoi scritti – e noi con lui! – solo un Dio che «mi volesse bene» sarebbe «un dio a cui vorrei bene». Che Dio ci voglia bene o che ci ami, possiamo pure saperlo o possono avercelo anche insegnato, ma finché (o quando) non lo sperimentiamo nella vita esso resta un’idea, proposta come vera, ma fredda e disincarnata. Grazie per avercelo ricordato e arrivederci, o meglio ad-dio, professore!

 

5 risposte a “Lode a Dio!”

  1. Piero Bu5tiglione ha detto:

    esista, perche Dio – anche solo come in-venzione umana – esiste, ma se – e come sia possibile che – Dio sia un Dio che ci vuole bene, che ci ama. Perché, confessa Fabio Zanello nei suoi scritti – e noi con lui! – solo un Dio che «mi volesse bene» sarebbe «un dio a cui vorrei bene».
    Ti-toc
    Posso?
    Dio esiste?
    A me se inventato o proiezione umana NON interessa..
    Non so cosa farmene delle ‘parole’ ..figurati delle fantasie…l
    A me interessano i fatti. ( Non certo a verifica dello “sta scritto”!!)
    Anzi interessa UN fatto.
    La MIA relazione con LUI. Att.ne! Non certo o sentimenti.. Amore?? Mera antropizzazione..
    Io ascolto..
    Lii mi parla..
    Dicesi RELAZIO NE.
    L”unica che mi accerta che esiste.
    Con buona pace delle 300 pagine del Bollorè. Vuote.

  2. Paola Meneghello ha detto:

    L’Amore non si potrà mai definire fino in fondo, si potrà solo vivere, in modi diversi e graduali.
    L’affermazione “amerei solo un Dio che mi ama”, secondo me, rimanda alla reciprocità della relazione.
    Sento l’amore di Dio quando riesco a viverlo in me, a farlo mio, perché corrisponde al “mio” Amore”.
    Quando la dottrina parla di pentimento necessario per il perdono di Dio, in fondo sta dicendo che non si può ricevere l’Amore senza averlo compreso in sé.

    Si parla di dolore, che certo a volte spinge a guardarsi dentro, ed è anche nel profondo degli abissi che si ri-trova la quiete, forse..
    Più facile è appiattirsi sulla realtà oggettiva e superficiale, senza osare a vedere oltre. (Sembra l’esempio dato dall’altro cantautore in pagina, Ultimo)..

    Èd è bellissimo vedere quanto gli esseri umani possano dare significati differenti agli eventi, più o meno profondi, più oscuri o più luminosi ..consapevoli però che i raggi del Sole scaldano ovunque..

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Chiedo scusa ma c’è tanta musica sovraccaricata di immagini,dove neppure le aurore boreali sconfiggono il grigiore delle giornate e i fatti che accadono riportati da quotidiani sempre più raccapriccianti, che sgretolano un mondo dove ognuno viveva sopportando con responsabile dignità i propri pesi. Oggi una politica instabile, irridente certi vaLori rende il domani incerto come lo sono le previsioni del tempo. E’normale anche per credenti chiedersi se Dio sta vedendo quanto sotto il suo cielo accade.! Ventilare un rischio escalation fino a ipotizzare una guerra nucleare, e che i Paesi tutti dovrebbero unirsi, in armi, in questa tenzone, al cittadino comune sembrano ipotesi da follia. E il solo affidare alle note musicali il messaggio di chi piange sembra non influire a cambiare queste realtà.
    che appare come un “buco nero”.

  4. Sergio Ventura ha detto:

    Cara Francesca, come purtroppo ogni tanto le capita, sembra non aver letto l’articolo che commenta. Se c’è una cosa che non fa il rapper in questione è prendersela con Dio, anzi…

  5. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma perché attribuire a Dio dei mali che ci circondano, delle infelicita che provo perché la vita non va come l’avevo sognata, desiderata, anche mi ero preparato mettendoci tutto il mio impegno, ma ciononostante sono tutto sembra naufragare, e il rapper sembra prendersela con il Dio che non interviene ad aggiustare la vita tribolata di molti . Ma domandiamoci cosa si intende essere lavoratori alla vigna del Padre? Non è per caso che ci sono anche altri che si son fatti una propria vigna, un vino diverso che rende economicamente non solo ad arricchire l’animo a una festa, ma fa ricchezza altra. Una similitudine per dire che il mondo è stato consegnato per averne cura, a rendere la vita di tutti se rena e se questo non accade e l’uomo artefice con il suo volere altro che lo fa e lo crea pertanto se manca quell’amore del Dio creatore, ma chiamiamo amore ad altre passioni, il risultato è quello che stiamo vivendo, incapaci di fare Pace, il vino buono

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