La mamma che non c’è più ma ci sarà

Una preghiera laica del Piotta, sussurrata per ogni mamma che continua ad accompagnarci verso il mistero grazie a cui soffia e soffierà la vita
11 Maggio 2015

Ma come? Celebrare la festa della mamma con il Piotta? Quello di Supercafone? In effetti, mancava poco al Giubileo del Duemila quando il ventre della stessa Roma partorì un tormentone musicale che fu trasformato dai mass-media in un fenomeno di costume e celebrato da mamma Rai con due prime serate affidate a Vespa e Chiambretti. Divenne l’estate dell’orgoglio coatto. E di un rapper dallo strano nome – Er Piotta – e dalle curiose movenze – timido, nessun tatuaggio, una pancetta esibita con grazia – forzatamente intrappolato dal mainstream musicale nella caricatura del romano, quella che va da er Monnezza di Tomas Milian al ‘famolo strano‘ di Ivano (alias Carlo Verdone). Ma si sa, l’umorismo è una forma raffinata di critica e la strategia di denunciare, rappresentandolo, un certo stile di vita che in quei tempi andava emergendo, imprigionò a lungo Er Piotta dentro quella stessa rappresentazione.

Riascoltare quindi oggi il Piotta – non a caso senza più Er – potrebbe impressionare. Un s(u)ono diverso dal punto di vista musicale, frutto della contaminazione tra rap e rock ‘n’ roll. Contenuti politicamente molto impegnati, a tratti duri. Sempre a testa alta. A costo di sabotaggio, essendo ormai chiaro quanto sarà alto il conto che lasciamo, poiché goccia dopo goccia siamo giunti a voler rendere privata anche l’acqua da Dio creata. Sgorga da qui il coro, di origini gramsciane, urlato insieme a Pierpaolo Capovilla: odio gli indifferenti! A cui si affianca l’esortazione a mettere in discussione il troppo poco che cade dalla tavola del mercato globale; e a ripetere fino allo stremo di fronte al domatore di turno: – mai, mai, mai… -.

Eppure sin dagli inizi, come nella migliore tradizione cantautorale, il rapper romano ha scritto testi capaci di risvegliare l’attenzione delle giovani generazioni sui drammi del nostro tempo: la valigia dei migranti, il diario di bordo delle civiltà in guerra, la grande onda da cavalcare per sfuggire ad un’economia che uccide, la strada in cui s’incontrano i multiculti. Senza dimenticare la complessità delle relazioni affettive, spesso preda del ciclico sovrapporsi di amore, odio e perdono, ma sempre alla ricerca del meglio nel difficile equilibrio tra sessualità e spiritualità, tra una donna femme fatale ed un uomo ladro di te. Due anime in bilico quindi, ma sempre là.

D’altra parte, non è venuta mai meno nella produzione musicale del Piotta quella originaria vena umoristica attraverso la quale ci ha raccontato, con una leggerezza che è stata anche delicatezza, determinate problematiche sociali: il culto dell’immagine femminile in Big Beautiful Woman, lo stereotipo del cantante di successo in Piotta è morto, la vita del maschio single e le corresponsabilità di ogni freak mama, il ruolo che hanno nelle nostre vite gli eurocontanti, il precariato e la precarietà di chi non lavora (e perciò) non fa l’amore, il rapporto di odio e amore verso la cattiva maestra televisione.

Quello che però ha sempre avuto chiaro il nostro artista è la certezza che “prima de Piotta so’ Tommaso”. Prima e dopo l’antipopstar c’è la persona. Caratterizzata, bisogna riconoscerlo, da una feconda vena intimista, nella consapevolezza che viviamo ognuno con un sé da risolvere, ognuno con un sé da comprendere: “mi fermo, ascolto la voce che ho dentro, cerco buio attorno per vedermi dentro … da solo rifletto, nello specchio io riflesso … nello specchio, dentro a me stesso, riflesso, rifletto” (Riflessi). Per l’antagonista che ha cura della propria (e altrui) interiorità, quindi, non può non essere “arido cuore quello che non crede a tutto quello che non sente e non vede”, e se anche qui ritorna l’esortazione politica – “prendi posizione in tutto quello che vedi, per quello in cui credi alzati in piedi” -, la forza che scorre in noi risiederà però in “qualcosa di invisibile che mi fa sfidare l’impossibile”.

Non deve stupirci allora il fatto che questa sottile linea introspettiva conduca Tommaso, e noi con lui, dove non ci aspettiamo. Soprattutto perché, in materia di spirito, egli è stato molto chiaro sin da quell’io dalla terra non ricevo segnali: “una lacrima e l’inchiostro bagna il pentagramma / il pianto di una mamma su un fotogramma / per noi grammi di angoscia, pesano quintali che poi dal cuore non potremo spostare … Pregarti nel caso Tu esista è un buon affare / ma tra questi lampi (io) riesco appena a respirare / Troppo presto, nessun rewind sul nastro, Dio cosa faresti tu al nostro posto?” (Mercante di sogni).

Infatti, per ricordare la mamma, volata in cielo troppo presto ormai più di dieci anni fa, Tommaso ha regalato anche a noi, dapprima la struggente Stiamo tutti bene, e di recente, quasi a concludere un lungo percorso di rielaborazione poetica del lutto, l’intensa Piazzale Lagosta 1, una preghiera laica sussurrata per ogni mamma che c’è stata, che non c’è più ma che ci sarà, prima tra tutte le creature, per accompagnarci sulla strada verso quel mistero grazie a cui soffia e soffierà la vita.

 

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