Il Vangelo inaudito: è questo il titolo del volume del teologo domenicano Dominique Collin, scritto “per individuare un ascolto possibile di ciò che del Vangelo non è stato ancora udito”.
Uno dei problemi della nostra epoca consiste infatti nella mediazione linguistica, nell’entrare nelle parole e di guardare a ciò che esse mostrano. Il rapporto con il linguaggio è infatti la nostra via d’uscita poiché il Vangelo è parola detta a degli uomini che ha in sé il suo stesso frutto.
In quanto proclamazione il Vangelo cambia il nostro rapporto con il linguaggio poiché attiva dei processi fecondi con la cultura in cui viene annunciato. Ciò significa che il Vangelo – e la Bibbia – non sono un distillato di verità dove cercare soluzioni applicabili alla vita attuale del mondo, ma esperienza nuova di parola.
Il teologo Collin azzarda questa proposizione: il Vangelo è il Logos che potrebbe rendere ragione alla ragione ristretta divenuta folle. Se questa ipotesi è vera, allora la parola evangelica è destinata ad assillare un modo di esistere e un dire ribelli ai discorsi insensati della ragione e del politicamente corretto.
Praticamente il Vangelo resterebbe ristretto dentro uno schema concettuale che si confonderebbe ora con questioni etiche ora morali ma mai con il senso ultimo del cammino dell’uomo e non solo del cristiano. La via d’uscita sarebbe allora quella di recuperare la grammatica della gratuità uscendo fuori dall’impasse di chi cita il Vangelo o frasi della Sacra Scrittura per “risolvere problemi” contestuali e storicamente diversi o peggio ancora per potenziare le proprie idee.
Il Vangelo sarebbe invece la parola originale che pensa ogni cosa a partire dalla fine, il che equivarrebbe a inscrivere questa fine nel tempo presente trasformando il tempo come luogo e occasione per una vita piena che abbia il respiro dell’eternità.
Ciò che ci deve inquietare dunque non è la scristianizzazione massiccia dell’Europa o l’aver relegato Dio a una domanda per lo più inconsistente per la maggior parte dei giovani; la cosa che più dovrebbe preoccuparci è aver relegato il Vangelo ad una visione storica passata e assimilabile quasi esclusivamente alla religione cristiana e non più alla vivacità della fede che si incarna in volti e storie concrete.
La cristianità in Europa è ridotta a fare la sua comparsa e potrebbe dire come l’ultimo uomo pio di Così parlò Zarathustra di Nietzsche: “ma ora sono a riposo, senza padrone, eppure non libero e neppure con una sola ora di allegria se non nei ricordi”.
Cosa resta quando la cristianità è passata? Non nostalgiche riesumazioni di modelli da musei ma l’ascolto dell’inaudito della parola evangelica.
Il Vangelo è questo capovolgimento poiché mette l’origine davanti a noi e ci stura le orecchie per ascoltare l’inaudito, ossia il non-udito al di là dello schema dove abbiamo confinato il Vangelo in un linguaggio esausto ridotto alla religione cristiana o alla stessa Chiesa, a discorsi ideologici o di buon senso da appiccicare qua e là per dare una parvenza di appartenenza identitaria. Ma il Vangelo è qualcosa di più grande e travalica la Chiesa e le Chiese.
La tentazione della nuova evangelizzazione intesa come lifting di una societas cristiana inesistente già da tempo – se mai ci fosse stata poi – rende il Vangelo o troppo compatibile con i valori della modernità avanzata o in contrapposizione e in contrasto con i valori dell’epoca storica e questo – secondo il teologo Collin – rende inudibile l’inaudito del Vangelo perché lo lega troppo alla memoria allontanandolo dalla vita.
Questo è un segno drammatico che rende pubblico il divorzio tra fede nel Vangelo di Cristo Gesù e l’esistenza storica. Il Vangelo resta sempre il lieto annuncio che fa udire quelle cose “che orecchio non udì né mai entrarono in cuore d’uomo (1 Cor 2,9)”.
Se ci pensiamo bene questo sarebbe pure l’incipit del desiderio che intravede e ridice l’indicibile attraverso un suo riverbero o un suo eccesso trasbordante senza mai possederlo. Ecco il senso della poesia e dell’arte che oggi più che mai può aiutare la teologia a stare nel tempo presente senza l’ansia del dogmatismo.
La novità del Vangelo risiede dunque nell’esperienza che esso rende possibile e che diciamo come “buona novella”: la vita dell’uomo attuata dalla parola della Vita che si è resa visibile e possibile. E questo è essenziale per l’uomo in cerca di senso, in cerca di respiro per vivere una vita serena con i suoi simili, in un mondo non ostile.
Lo aveva intuito il giovane ed eccentrico poeta dell’inaudito, Arthur Rimbaud, quando nella sua Une saison en enfer mette insieme ragione e fede verso il proprio simile e verso Dio, in un rapporto inscindibile : “Mi è nata la ragione. Il mondo è buono. Benedirò la vita. Amerò i miei fratelli. Non sono più le promesse di un bambino. E neanche la speranza di sfuggire alla vecchiaia e alla morte. Dio fa la mia forza, il loro Dio”.
Il Vangelo fa la Chiesa “cosa grande” nel mondo, e l’unica Parola certa che fa rinascere speranza là dove questa trova accoglienza, e Lo Spirito di Cristo che si fa vita nuova in ogni uomo bisognoso di sostegno, che si fa trovare inaspettatamente quando sembra tutto farsi buio, così come è stato per gli Apostoli , gli ha attesi con fuoco acceso . L’Europa appare oggi come tornata in singoli Stati, alla ricerca di una identità nuova, perché nell’evolversi certi valori secolari sono stati rigettati da un nuovo intendere e mirare a libertà. Le Chiese ancora hanno battenti aperti, ma una Tradizione per vivere necessità di un dialogo sempre rinnovato, una Testimonianza missionaria a essere fuoco acceso che illumina le menti a ricercare sempre ciò che è bene comune, Cattedrali dove la Parola si faccia Testimonianza nuova a sanare quelle povertà esistenti ancora nei popoli..un Giubileo per servire ciò che è pane di vita eterna.
Chiedo ammenda.
Sarà che troppo forte è il mio desiderare ALTRO.
Ma anche qui si parla più dei morti che dei vivi.
Di ciô che nn é più ( e chi se ne…?) e poco di ciô che NON è ancora.. come quel Salmo…
Chiedo umilmente scusa.