Se fossimo nel Medioevo, potremmo dire che l’ultimo libro di Eraldo Affinati, Il vangelo degli angeli (Milano, HarperCollins, 2021), appartiene ai generi del Commentario e della Riscrittura, a cui dovremmo subito però affiancare quella necessaria dose di modernità. Perché il volume ˗ difficile definirne il genere e impreciso chiamarlo romanzo ˗ è, di fatto, una riscrittura del Vangelo, una sintesi della parabola biografica di Gesù di Nazareth, effettuata seguendo fedelmente il racconto dei quattro evangelisti, secondo un ordine cronologico. Ma a tale ‘rivisitazione narrativa’ si accompagna anche il personale punto di vista del narratore, che non manca mai, ad ogni episodio, di far giungere la sua interpretazione, la sua risonanza, il suo tentativo di costruire il ponte tra la storia di ieri e la storia di oggi, in cui il lettore è immerso. Così, per 123 brevi capitoli (ogni capitolo misura quattro pagine), è ripercorsa la vita del Nazareno, fin dalle premesse lucane, ovvero dall’Annunciazione, per giungere finalmente a Pentecoste. In mezzo, la nascita, la crescita, la missione pubblica, gli incontri, le parole, le azioni, la condanna a morte, la crocifissione, la resurrezione di Gesù.
Accanto a questo, il filtro che Eraldo Affinati usa è quello ‘angelico’, nel senso che la biografia del Nazareno si affianca all’ampio accompagnamento che la corte angelica compie fedelmente, scrutandolo e assistendolo sulle vie della provincia di Giudea, dando così un punto di vista ‘altro’, ‘superiore’, all’avventura umana e divina del profeta di Galilea, riconosciuto da alcuni come figlio di Dio. Con modelli e stili che richiamano anche la fantascienza (tra batterie di angeli armati, informatizzati, abitanti di cieli che evocano città futuribili), l’angelo diviene una presenza invisibile, ma costante ad ogni pagina, ad ogni evento, provocando uno scarto con l’umana quotidianità che è salutare ‘straneamento’ per il lettore, favorevole instaurazione di un punto di vista ulteriore:
«Come si fa a staccarsi dalle leggi del mondo restandoci dentro? Una cosa è ragionare dall’alto, alla maniera dei nostri compagni alati, sganciati dai riscontri concreti, un’altra è avere a che fare tutti i giorni con la propria e altrui avidità. A terra siamo sempre nel fuoco della controversia» (p. 265).
È pur vero che «nel fuoco della controversia» (espressione pienamente luziana) scende anche Gesù, quando decide che la vita va vissuta nella pienezza, anche perché è lì che l’umanità si incontra. Qui si capisce quale sia il Gesù di Affinati: è un uomo pieno («era in questa prospettiva un uomo integrale: rifuggiva dalla semplice dimensione intellettuale, come pure dall’automatismo degli istinti», p. 141) e al tempo stesso Figlio di Dio, pronto ad accoglie ogni dolore, a fare suo il male del mondo; un maestro che sa, misteriosamente, che ogni pena, anche la più invisibile e minima, avrà posto e dignità nel Regno dei cieli. Anche la morte innocente di alcune formiche, in qualche modo, sono salvate nell’economia del Regno: «anch’esse furono registrate entrando di diritto nelle preziose liste dell’Impossibile Dimenticanza» (p. 27).
In accordo con tutta la poetica di Affinati, dunque, Il Vangelo degli angeli diviene un ‘Vangelo degli ultimi’, una notizia buona che annuncia la costante vicinanza del mondo del Padre agli oppressi, ai feriti, ai dimenticati, sui quali narrativamente lo scrittore sosta, rimandandoci figure non annotate dagli evangelisti, come Amos, il bambino che parla con Gesù, i ragazzini che spiano l’ultima cena, la vecchia che incontra per caso il Nazareno e ne serba, anonimamente, memoria fino alla fine. Ma un Gesù che accoglie diviene anche vocazione di responsabilità per l’umanità del XXI secolo: a chi aderisce al Vangelo è chiesto, primariamente, uno stile di simile misericordia e ospitalità dell’altro. Sono questi i passaggi più felici del libro, che forse talora amplifica il commento nelle restituzione degli episodi, segno di quanto stia a cuore all’autore la comunicazione del Vangelo per l’epoca che attraversiamo.
Ma dopo la resurrezione e la Pentecoste, nella ricostituita comunità dei discepoli, cosa rimane delle legione angeliche? Dopo l’Ascensione del Figlio, il Padre manda gli angeli custodi a farsi compagni di viaggio, insieme allo Spirito. Ed è per questo che il Vangelo diviene quello degli angeli, poiché gli angeli sono ormai «esercito valoroso e qualificato della Terza Persona» (p. 497), nei marosi del tempo e delle nostre vite.
A proposito di dignità del soffrire, anche quello invisibile, tornano alla mente le parole del Salmo 56, che riporto nella traduzione di Turoldo:
“Pure tu hai contato i passi del mio triste vagare, Signore:
di mie lacrime l’otre tuo riempi: non l’hai forse segnato sul Libro?”