Quell’abuso di quarant’anni fa

Storia di un viceparroco e di una bambina. «Ciò che oggi mi fa arrabbiare non è quell’episodio lontano, ma il fatto che stiamo tornando a quella Chiesa»
22 Luglio 2010

Questa è la storia vera di una mia carissima amica, che chiamerò con il nome più luminoso: Lucia. Cercherò di raccontarla con una leggerezza che può sembrare inadeguata alla storia e al contesto, ma anche lei la racconta così, dall’alto della maturità dei suoi anni.

Dunque Lucia, nei primi anni sessanta, viveva in una ridente ma nebbiosa cittadina della pianura padana, che stava diventando ricca. Apparteneva ad una famiglia numerosa e andava a scuola, insieme ai suoi fratelli, dalle suore. Il sabato e la domenica c’era l’oratorio, ed è da qui che comincia la storia. Perché i maschi andavano in parrocchia, dove c’erano i biliardini, il bar con la gazzosa e i boeri e il campetto di calcio; mentre le femmine andavano dalle suore, dove si facevano giochi tranquilli, si masticavano stringhe di liquirizia e chi voleva diventare simpatica alla maestra imparava a ricamare. Insomma una noia mortale. Solo il catechismo, la domenica mattina, lo facevano in parrocchia anche le femmine, ma in una saletta dall’altra parte del campetto.

Maria aveva una madre di vedute piuttosto ampie, e soprattutto molto pratica, che non capiva perché i suoi figli, che stavano sempre insieme, dovevano dividersi la domenica. Quando le femmine hanno cominciato a scalpitare, ha chiesto al viceparroco se, almeno qualche volta, poteva mandarle in parrocchia con i fratelli.

Il viceparroco era amico di famiglia, andava spesso a casa loro a cena, ed era a sua volta di ampie vedute: che male c’era se fratelli e sorelle  andavano all’oratorio assieme? Del resto, c’erano già un paio di altre bambine che venivano, e si cominciava a parlare di coeducazione…

All’oratorio ci si divertiva di più: certo, bisognava avere pazienza, perché i maschi non ti facevano mai giocare col biliardino, ma si passava il tempo mangiando boeri (che tanto ne vincevi sempre un’altro) e dopo un po’ i ragazzi si stufavano e andavano fuori a giocare a pallone, e i biliardini restavano a disposizione delle bambine.

Il viceparroco allora veniva e si metteva a chiacchierare. Poi un giorno invitò Lucia in camera sua. Per le scale le spiegò che stava facendo degli studi scientifici, e che aveva bisogno di osservarla. Infilò le mani sotto la sua camicetta e cominciò a palpeggiarla: peccato che ci fosse ben poco da stringere, perché Lucia era proprio bambina, ancora lontana dallo sviluppo. Gli studi scientifici richiesero varie sedute, addirittura ci fu una summer school, visto che il viceparroco, gentilissimo, venne a trovare la famiglia in vacanza. Peccato che il padre di Lucia lo beccò sul fatto, in mezzo agli alberi secolari, all’aria fresca del bosco e al mormorio del ruscello.

Lucia non si rese ben conto di quello che succedeva, ma dalla faccia di suo padre capì che in quegli studi scientifici c’era qualcosa che non andava. Non sa esattamente cosa successe dopo. Captando una volta un dialogo tra i genitori seppe che il padre era andato dritto dritto dal vescovo. «Era severissimo, racconta, e se si arrabbiava metteva paura. In più, era una persona abbastanza in vista nella cittadina. Non vorrei essere stata nei panni di quel vescovo».

Fatto sta che non ha mai più rivisto il viceparroco, né ha mai più sentito parlare della faccenda, ed è convinta che neanche i suoi fratelli e i parenti più stretti conoscano la storia. Allora si faceva così. L’unica cosa che ricorda è che in quinta aveva dovuto rinunciare all’oratorio per tornare a trascorrere le domeniche delle suore, ma allora non aveva ricollegato i fatti.

Poi la sua famiglia ha cambiato città. Ha vissuto l’adolescenza in un’altrettanto ridente e un’altrettanto nebbiosa città padana. Qui ha fatto un’esperienza di fede e umana entusiasmanti e profonde, grazie al parroco della parrocchia che l’aveva accolta, e che, negli anni del post Concilio, aveva scommesso cui giovani, e grazie all’Azione Cattolica, che si stava rifondando ed era piena di fermenti.

Dopo l’università, è arrivato un altro trasferimento, questa volta in una grande città, ma non è mai più riuscita a sentirsi a casa sua in una Chiesa locale potente, verticistica, incapace di dialogo con i tempi.

La cronaca degli ultimi tempi, con gli scandali e i dibattiti sulla pedofilia nella Chiesa, hanno fatto riemergere i ricordi. «Ma ormai è troppo tardi per dargli peso», dice. «Anzi, ringrazio la mia famiglia per essere intervenuta con chi di dovere, ma anche per non avere enfatizzato il problema nei miei confronti. Quello che oggi mi fa arrabbiare non è quell’episodio lontano, ma è che stiamo tornando a quella Chiesa, a cui io mi sento sempre più estranea come lavoratrice, come moglie, come madre, come donna. Boeri a parte, naturalmente. Se non fosse per la formazione che ho ricevuto dall’Azione Cattolica, davvero mollerei tutto…».

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