C’è un sentimento che, pur nascosto, sembra animare le nostre parrocchie, ed è il sentimento della paura. Si fatica molto a riconoscerlo, e si fa ancora più fatica nel nominarlo ed ammetterlo; eppure dietro tanti atteggiamenti che si trovano in parrocchia — aggressività, giudizio, arroganza, critica malevola, difesa pugnace, appropriazione di ruoli — c’è anche, e soprattutto, la paura. Paura che nasce di fronte allo sgretolarsi di un mondo, di fronte all’esaurirsi di una visione cattolica data per immutabile, di un venire meno di riferimenti morali ritenuti eterni e non storicamente determinati, di un bagaglio valoriale fatto passare in modo furbesco per non negoziabile. E a questo si aggiungono le diaspore intellettuali, l’assenza di una generazione, il languire di molte attività tramandate e sostenute, anche con sincera generosità, da molto tempo.
Il vuoto, l’incertezza, il tramonto di un’epoca, dunque, generano paura, come è pacifico che sia.
E noi non saremo cristiani credibili se ignoreremo queste paure, se non daremo loro ascolto, se non capiremo ciò che anima la vita di molti fratelli e sorelle nella fede davanti allo sparire di punti di riferimento creduto condivisi e duraturi. Nella custodia della pluralità dei carismi, nell’accoglienza verso le differenti sensibilità, nella capacità di leggere sentimenti e tensioni potremo, in qualche modo, misurare lo stato di salute della nostra carità.
Queste paure vanno accolte e accompagnate, nel tentativo anche di verbalizzare ciò che le nutre e le ingrandisce. Ci sono alcuni, soprattutto anziani, che sentono queste paure. Allora, sarà importante non ignorare il timore, non soffocarlo né denigrarlo. Porre orecchio e cuore, dedicare del tempo a dare una tenda alle trepidazioni e alle ansie di donne e uomini che vivono la parrocchia.
E domandiamoci quali paure abitano il nostro cuore di cristiani del qui e ora.
Al tempo stesso, però, il tempo che viviamo, questo XXI secolo dagli orizzonti incerti, richiede coraggio e movimento, passi avanti e mutamenti, per far risuonare ancora il Vangelo; dunque, la paura va accolta, ma non le va dato il timone della barca; va ascoltata, ma va educata a trasformarsi in speranza, va plasmata perché diventi forza di cambiamento. Sono troppo vaste le fratture sociali, antropologiche e religiose del nostro secolo perché la paura diventi la padrona della parrocchia; nel cammino che, volenti o nolenti, siamo chiamati a compiere, la paura va posta nello zaino, senza scandali e senza infingimenti. Ma poi, con lo zaino in spalla, tentare qualche sentiero: nuovo, incerto, polveroso. L’inerzia a cui la paura ci chiama, e che spinge a una ripetitività sterile, non sia la postura delle comunità; camminiamo tutti, ognuno con il passo che può offrire. Ma camminiamo, così da essere, come eravamo alle origini della avventura cristiana: quelli della via.
Sto leggendo The Presidents e noto come sia coinvolto l’essere cristiani nel ‘dominus’ Thiel ma anche nel convertito Vance… e in Renè Girard l’ispiratore di Thiel; dalla sua critica al ‘mimetismo’ emerge una religione d’èlite in cui il popolo bue è incapace di gestirsi in tempi apocalittici e quindi devono imporsi i pochi ILLUMINATI.
Ma è proprio questo il msg di Gesù??
Oppure si tratta della vecchia eresia
gnostica??
Imo la situazione della CC così ben descritta da Sergio c’est pareil.. e il dilemma pure.. tra l’affidarsi ai teologi di punta come Spadaro, Gamberini, e tanti altri .. big think ma anche come Papi.. ad un Ratzinger o a uno più ‘umano’, non faccio nomi x evitare discussioni😂?
Oppure farsi trainare dal popolo basso e terra terra. così poco teologo ma fattivo, impegnato ( visto iersera il BORGO??)
PS. La scelta più sbagliata è farsi bloccare dalla PAURA!! Do you know!??