Seconda riflessione (segue da qui). La presa di consapevolezza ecclesiale, che sta faticosamente crescendo, del cambiamento epocale che stiamo vivendo, si traduce, per il Card. Zuppi, prima di tutto nell’esigenza di riconoscere che l’uomo ha mutato percezione di sé. “Il tema è quello di saper accogliere le domande che oggi ci pone l’uomo secolarizzato, l’uomo “psicologizzato”, l’uomo che ha subito profonde e rapide mutazioni antropologiche”. Perciò, se si vuole tornare a riaprire una comunicazione col mondo, è indispensabile che la Chiesa proceda ad un cambiamento della propria visione antropologica.
Zuppi si dichiara totalmente d’accordo con la domanda dell’intervistatore, che sottolinea come “il nostro sistema di pensiero, filosofico e teologico, difetta spesso di una certa “fissità” del concetto di uomo. E di donna. Che invece sono esseri sempre dinamici, in continua evoluzione”. A fronte, invece, di una condizione attuale dell’uomo post moderno dove i cambiamenti già appaiono davvero radicali. “Pensate, ad esempio, a quanta porzione delle nostre capacità intellettive – a cominciare dalla memoria – sono state già trasferite nei devices elettronici, che ormai sono delle protesi dell’umano”. “Si pensi per esempio a come le scoperte delle neuroscienze incidono sulla nostra tradizionale idea di volere, e di libero arbitrio. O pensate alle questioni riguardanti i generi e la loro fluidità”.
In gioco, cioè, ci sono le fondamenta dell’uomo: coscienza, libertà, memoria, volontà, desiderio, istinto, bisogni. Non cambia solo il modo di proporsi dell’uomo, ma la percezione di come egli sia fatto e di come, quindi, possa svilupparsi. Dobbiamo cioè chiederci di nuovo cosa sia l’uomo, quando, ad esempio, la nostra memoria cerebrale sarà collegabile ad un supporto elettronico e la nostra libertà di scelta non sarà influenzabile solo sul piano culturale o psicologico, come già ora, ma soprattutto su quello neuronale. Potremo ancora parlare di uomo, così come lo conosciamo ora?
Si tratta, a mio avviso, della questione più radicale che oggi la concettualizzazione tradizionale cattolica sull’uomo deve affrontare, perché le nostre categorie metafisiche di anima e corpo, di essenza e sostanza, di intelligenza e volontà non sono più sufficienti a rappresentare i dati che la tecnologia e le neuroscienze ci consegnano. Ci vogliono altre categorie concettuali, più relazionali ed esistenziali per provare ad affrontare questa sfida.
E il cardinale sembra, qui, dare una direzione di metodo possibile, cioè del come si può fare a ricostruire categorie concettuali efficaci. “Capire le domande che ci vengono incessantemente dal mondo ci aiuta a vivere la compassione di Gesù, che è partecipazione interiore, condivisione”. In altri termini non si ricostituisce un’antropologia a freddo, standosene a tavolino, ma condividendo le domande dell’uomo di oggi, senza subito tamponarle con risposte preconfezionate. “Il cristiano vede e si rende conto della sofferenza che agita tutta l’esperienza umana, dall’inizio alla fine, la sua e quella degli altri e la interpreta, la elabora in compassione e fraternità. Il cristiano è colui che, accogliendola, trasforma quella realtà, quella sofferenza, in una richiesta. Se c’è il deserto significa anche che c’è una nuova ricerca di acqua. Dobbiamo guardare alla sete, non lamentarci del deserto”.
Un esempio di cosa significhi questo metodo si ricava proprio dalla lettura che Zuppi offre dell’uomo di oggi. Quando egli dice che “sicuramente c’è una rimozione della vulnerabilità”, trasformare ciò in richiesta significa riconoscere che la vulnerabilità in cui oggi l’uomo vive è troppa, e per questo la si rimuove; è eccessiva e non consente all’umano di svilupparsi appieno. E ciò spinge a dover ricostruire e utilizzare una categoria concettuale, come quella della “potenza” umana (e del suo limite), che è molto più in grado di dirci qualcosa su come oggi l’uomo si percepisce, di quanto non facciano quelle classiche di “essenza” o di “anima”.
Ma il passaggio successivo che Zuppi ci offre è forse il più interessante, della sua riflessione. Se in questo modo potremo ricostruire una visione dell’uomo che ci consenta una comunicazione effettiva col mondo di oggi, la “postura” possibile della Chiesa verso il mondo è consequenziale. “San Francesco non sembrava che predicasse, perché in realtà conversava in un dialogo aperto coi bolognesi. Questo è il modello della nostra presenza nel mondo; esserci, parlare al cuore, tessere relazioni e fare sentire la presenza di Cristo”. “Conversare non è un mestiere, è un mettersi in gioco”. “Un parlare cominciando da se stessi (non dall’altro) presentandosi non in chiave materiale, funzionale, ma appunto spirituale. Cioè di come la mia vita è improntata da un senso”.
Come si vede in questione non ci sono cambiamenti sui contenuti della fede, sull’essenza di ciò che la Tradizione autentica ci consegna come eredità di Cristo. Questo resta. Qui si sta parlando di uno stile, con cui queste verità possono essere mostrate e raccontate. Uno stile che oggi difetta a molte parti della Chiesa. “Paolo VI e Mazzolari lo dicevano già ai loro tempi: tanti sono lontani e il problema non sono loro, siamo noi! C’è in loro una domanda, implicita, di una Chiesa più evangelica, più madre e per questo esigente e coinvolgente, che non fa la matrigna e dice: te lo avevo detto io”.
Peccato che questa intervista -e la nomina di Zuppi- sia arrivata al termine della fase diocesana del Sinodo. Avrebbe impresso una spinta diversa.
Sarebbe come trovarsi di fronte al problema, ragazzi che mirano ad apparire quello che non sono e per questo trovano forza aggregandosi in ” Gangs”? O anche in corporazioni pro difesa della natura i wendsday’ boy? I Greta’s fan ? Realtà trascurate, presenze attive ma oubliate, perché altri si ritengono problemi prioritari , come ancora si confidi nella forza delle armi, il prevalere nei conflitti senza fine. A salvare La vita di esseri umani sono i medici che oberati non dispongono di mezzi adeguati alle richieste.Ma chissà perché non sembri a tutti che se si insistesse a voler Porre uno stop” ai conflitti , tanta povertà e do lenza umana finirebbe, tanta paura sparirebbe, queste miserie si trasformerebbero in benecomune, “il pane vero per tutti”, La Chiesa è ormai l’unica Voce alta, si faccia Madre coraggio, per credenti e non, genti di tutto il mondo attendono e sperano, chiedono, invocano il diritto a vivere in pace,;la stessa Natura reclama pace per rifiorire!
Quoto:
La Chiesa, secondo me, deve instillare nell’uomo la voglia di domande…..
Scusa ma qs è ingenuità…
Sai quante domande sono rimaste senza risposte plausibili da SECOLI?!
Mi permetto una riflessione : non è il tempo delle risposte certe, perché tutti siamo in cammino, e questo è molto bello da ammettere, ma che mai succeda che ci si sieda guardando un panorama, sapendo che è parziale, per paura di salire e perdere il posticino comodo al sole, evitando così di apprendere nuove vedute e prospettive..
La Chiesa, secondo me, deve instillare nell’uomo la voglia di domande, perché la Verità, più che un dato oggettivo, è ciò che fa crescere : in una Via che sale, il panorama cambia, ma tutte le vedute erano vere: e la loro Verità, stava, secondo me, in quella sensazione particolare,
in-de-finibile che, proprio come si dice, mi ha allargato il cuore contemplandola, vivendo immersa in essa..la Verità, è un’esperienza vissuta, ma non togliamoci la possibilità di poterne vivere sempre un po’ di più appieno. .
La Chiesa deve dimostrare a se stessa e al mondo che il teismo è il medioevo. Ora bisogna entrare con coraggio nel post-teismo che rifiuta i dogmi e segue la scienza per umanizzare l’uomo. Siamo “ polvere di stelle” frutto dell’evoluzione iniziata con il big-bang 13,7 miliardi di anni fa
Interessante.
Mmolto interessante.
Parto dal fondo, dove si rinnega l’atteggiamento
TE LO AVEVO DETTO IO!!
A centro l’uomo che soffre, la sua vulnerabilità. Giorni fa ricordavo la muta dell’aragosta. Serve capire che anche l’Uomo sta/deve cambiare pelle x mutate condizioni ambientali, e chi si rifiuta è destinato alla emarginazione ( cfr CC).
So che non sono facili… Ma qui mancano le risposte: insufficiente parlare di sostanza, intelligenza, volontà, condivisione, sofferenza, deserto, potenza, ecc.
Servono RISPOSTE.
Credo abbia ragione Zuppi: le risposte non si trovano a tavolino e nei libri, ma nella condivisione viva delle persone e dei loro vissuti. Non è ancora il tempo delle risposte… bisogna camminare ancora
Caro Gilberto, hai fatto bene (e ti ringrazio) a riportare alla fine i due richiami a Mazzolari e Montini, che mi pare avessero fatto della ‘postura’ indicata da Zuppi un modus, avendoci anche riflettuto e scritto e pregato. Stavo rileggendo in questi giorni uno scritto di Martini, “Scendiamo a Cafarnao” (1989), in cui faceva sintesi degli interventi di diversi vescovi europei sui temi della vita e della morte, su cui poi ci siamo avvitati non poco. Molto era già là, nel dibattito di quasi 35 anni fa. Ecco, meglio tardi che mai, ma rimane sempre un po’ di malinconia per le occasioni perse. Ma, ripeto, prendiamo quello che c’è.