In questa seconda parte della sintesi dei temi che si sono proposti come più ricorrenti nei momenti di condivisione e di confronto stimolati dall’equipe Decàpoli, partiamo da una domanda che apre ulteriori scenari di analisi.
Si è avvertita e si avverte la necessita di una nuova evangelizzazione?
· Sì se significa risentire oggi, in questo delirio e dolore ancora presenti, lo spirito di una buona notizia, ancora credibile.
· Sì se abbiamo la conferma che in ogni tempo di crisi occorre ritrovare il volto di Dio che non è mai causa del male e del dolore.
· Sì se la Chiesa vuole riscoprirsi come luogo di senso, come fonte sapienziale e profetica che trova nella Parola il suo punto di riferimento. Nelle ricerche più o meno affannate la Chiesa può proporsi come voce che ispira, consola, incoraggia, ritrovando così il suo posto, il suo contributo, il suo servizio e la sua credibilità.
· Sì se questo nutrimento è messo a disposizione di tutti e di tutte. Durante il periodo di lockdown abbiamo colto e ascoltato disuguaglianze nella Chiesa (non tutti riescono a partecipare alle diverse iniziative abituali e l’hanno dichiarato, godendo delle possibilità tramite zoom) e anche nell’esperienza di fede (sono tante le solitudini che mettono a dura prova la fiducia in un Dio che non abbandona).
· Sì se significa prendere sul serio l’abitare in maniera nuova, moderna, la COMUNICAZIONE DI UNA BUONA NOTIZIA ancora per questo nostro tempo.
· Sì se sentiamo la necessità di temi che mettano urgentemente in relazione la Parola di Dio, la paura del nostro tempo, la ricerca di una sapienza per donne e uomini che vivono questa storia.
Si intuiscono, dopo la pandemia, timori e rischi per quella esperienza del “noi” strutturale alla vita ecclesiale (e sociale)?
Abbiamo vissuto esperienze molto private (in casa… in famiglia… in smart working…); ognuno/a ha fatto poi letture, viaggi con il pensiero, considerazioni, gestioni delle proprie emozioni in solitudine o in gruppi ristretti: non è così scontato che ci si possa ritrovare con facilità e non è necessario mettere paletti a questo rischio con enfasi sull’identità cristiana e sulle prove di appartenenza. Non sappiamo quale “effetto abbia lasciato” questa esperienza sulle comunità. Occorrerà regalarci tempo per capirlo e per capirci.
C’è un desiderio costante che emerge come un filo rosso senza fine?
· Il desiderio di BONIFICARE, di rendere nuovamente BUONO, l’humus dove vivere il nostro discepolato, il nostro sentirci popolo di Dio con gioia e prospettiva.
· Il desiderio di farlo tenendo conto della STORIA, di ciò che abbiamo vissuto. Se la storia non è abbandonata da Dio, occorre:
C’è tra le comunità la consapevolezza di una inadeguatezza particolare, contingente, per la quale domani provare a tracciare qualche processo?
Sì. Ci siamo scoperti inadeguati, bloccati, impauriti nel “maneggiare con cura il dolore”. Il dolore ha bisogno di parole, scelte tra innumerevoli. Ha bisogno di una proposta accurata di lettura e di meditazione della Parola. Ha bisogno di gesti scelti con cura. Ha bisogno di maggiore preparazione, di formazione affinché sia pronto il volto della comunità che si fa vicina a chi vive fragilità. La Chiesa stessa si è ritrovata non sempre “sul pezzo”, capace di dire e di dare… Fragilità, sofferenza, limite, visti e intesi non come obiezioni, ma come, appunto, consapevolezze da cui partire.
Si assiste forse ad uno scollamento tra istituzioni e territori?
Lo si constata soprattutto dove si avvertono “buchi” nel metodo di gestione, nell’organizzazione di alcune questioni sui territori.
Si individuano ambiti di interesse, di urgenza, dove poter già muovere passi insieme e riprendere entusiasmo?
Educazione, giovani, impegno per la casa comune, anziani, comunicazione/linguaggi…