Quando ti trovi davanti all’amore che tiene in una mano la vita e nell’altra la morte, ti accorgi di cosa sia essenziale. Totò, nella sua leggera, profonda saggezza, la chiamava “’a livella”. Lui parlava di parificazione sociale ed economica. Ma in realtà la morte rade al suolo anche tutti i paraventi con cui ci nascondiamo all’esistenza e ci lascia assolutamente nudi. A quel punto possiamo decidere di dire come Adamo: “ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gen 3.10), oppure possiamo accettare di essere consegnati all’essenziale.
L’ho visto davanti ai miei occhi. Lei sta accompagnando a morire suo figlio di 34 anni, per un tumore al cervello. Lui, bello come il sole, quasi un Gesù ormai incapace nemmeno di parlare e di reagire, respira a fatica nel suo letto. Lei gli tiene l’unica mano che ancora lui riesce a muovere, se lo accarezza con un amore infinito, senza lacrime, senza drammi, con la dolcezza di chi non vuole perdere nemmeno un istante di questo amore e la consapevolezza che presto ci sarà un’altra forma per amarsi.
Ad ogni minuscolo segno volontario di lui, lei ascolta, segue, reagisce. Con una delicatezza che solo una mamma che ama radicalmente sa conoscere. Gli racconta degli amici che vengono e ritornano e che lui forse riconosce. Lui le prende la mano e quasi giocano con i loro pollici ad inseguirsi. Dal 20 dicembre va avanti così, lei, la moglie e ogni tanto il padre, separato da anni. Lei ha azzerato tutta la sua vita, ma sembra più presente e viva che mai; resta qui 16 ore al giorno.
“Starei delle ore a guadarvi, siete bellissimi!”, le ho detto mentre uscivamo un attimo dalla stanza della struttura che lo ospita. “Lei ha sorriso e mi ha detto: “gliel’ho detto ieri, sei bellissimo, e lui mi ha fissato sereno e rilassato. E ho aggiunto, mentre lui cercava di parlare senza riuscirci, basta parole, ne abbiamo già dette troppe, adesso bastano le carezze, dove ci capiamo benissimo. E lui ha accennato un sorriso”.
Ecco la consegna all’essenziale: lasciare che l’amore invada tutti gli spazi interiori, ormai resi inabitabili da null’altro, e farsi trasportare da questa onda, morbida e terribile, dove non vorremmo andare, ma dove siamo tutti orientati: “tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18).
Qualche settimana fa, all’inizio della crisi che lo ha reso quasi inconsapevole, quando ancora riusciva a esprimersi, lui aveva detto a sua madre: “Ci resta solo l’amore”. Me lo aveva raccontato lei con le lacrime agli occhi, ma erano occhi di un cuore leggero e aperto, perché aveva visto che anche suo figlio si era reso conto di cosa sia, alla fine, l’essenziale della vita. E da mamma, lei aveva intuito già qualcosa, più di un anno prima, quando, già malato, aveva deciso di sposarsi con la sua donna.
In quel microcosmo dove lo sguardo parla, il silenzio diventa la culla dell’amore, il tatto la potente porta che ancora li unisce, tutto sembra nudo e bellissimo. Basta rabbie (e lei è una donna che ben le conosce e le vive), basta sensi di impotenza (quante, davanti agli errori e alle distrazioni della macchina medica), basta domande (quante rivolte ad un passato che forse poteva esserci e non c’è stato). Questa è l’ora! Quella di Giovanni: “sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1).
E prima di salutarmi con un abbraccio, lei mi ha detto: “Possiamo restare sempre in questo sguardo? Parlo della vita, in questo sguardo sul mondo, sulle persone, sulle cose!”. Dove quel “memento mori” prende una colorazione così bella e così tagliente da sradicare ogni difesa e ogni scorciatoia. Le ho risposto: “Lascialo andare!”. E lei: “L’ho già fatto, e sento che riesco a ringraziare di averlo fatto così bello e uomo. Vorrei non dimenticarmelo”.
Amare fino alla fine, perché tutto quello che viviamo nell’amore è già risorto e non muore più!
La vostra pochezza sta nel parlare di fede solo commentando e struggendovi per ciò che accade agli altri, il che risulta anche patetico oltre che un punto di vista da anziano che vive solo da spettatore. Se Gesù si fosse limitato a commentare ciò che accade non ne sarebbe nata una fede, si è messo in prima persona e ha accettato le tragiche conseguenze di una violenta censura credendo nel padre.
Proposta.
SE verrà confermata la tregua…….
Far suonare a festa le campane domenica alle 12.15 e invitare tutti ad una preghiera ler gli assassinati e gli assassini.
Morire con la Fede….ecco tre testimonianza vicine a me:
…lo sguardo di mia mamma rivolto prima di spegnersi al quadro della Madonna..
…mio papã laico e non certo clericale o istruito in cose religiose. che si mise a invocare i Santi più Santi come san Galdino e gli orientali..
Oppure mio nonno che volle vicino tutti i suoi figli:
Chiese chiamandoli x neme : ” Ci siete?” E al loro assenso;
” Allora c’è anche DIO!”
E spirò.
Vissuta la STESSA esperienza con mia sorella… Quella che mi aveva detto:
“Sai, quando tu sei partito per Milano io sono stata la sola a piangere per perché avevo capito che ti avrei. PERSO….
Ho cercato di starle vicino alla fine senza riuscire ad avere parole degne di senso alle sue domnde:
Cosa mi aspetta??
E la più dura: “Perchè??”
Anche io ho tenuto stretta la sua mano con la mia…
Anche lei col suo pollice raspava il mio pLmo a significare cosa??
La sua sofferenza?
La ricerca del fratello perduto?
Semplicemente il contatto perchè si muore sempre soli..
_____________________segue coda x oversize
Grazie per la condivisione di questa esperienza, davvero toccante e illuminante..