Cantiere parrocchia: e se cambia il parroco?

Può accadere che una parrocchia apra cammini e riflessioni, e che poi l’arrivo di un nuovo parroco tutto blocchi. Come evitarlo?
12 Febbraio 2025

Nel cantiere di riflessione che riguarda la parrocchia e anche nel cantiere che, con maggior fatica, cerca possibilità concrete per restituirle un futuro, ci si può imbattere in un nodo che rimane, ancora oggi, ineludibile, e che nessun Sinodo, ai vari livelli, ha affrontato in modo diretto, e cioè: cosa accade ai progetti, alle vie nuove, alle sperimentazioni quando cambia un parroco? Il rischio che tutto si fermi, si areni o muti decisamente di indirizzo, nonostante tempi lunghi di elaborazione e lavoro intenso, è reale e diffuso, poiché se in una parrocchia arriva un parroco che ha sensibilità, idee, prospettive differenti, tutto può essere bloccato e accantonato. È chiaro che, qui, il punto su cui tutto sta o cade riguarda il ‘potere giuridico’ e, quindi, decisionale, ancora in capo al parroco. Tuttavia, in mesi in cui il cantiere parrocchia sembra piano piano avviarsi, non si può tacere una fatto non raro: l’arrivo di un nuovo parroco può portare alla fine di dialoghi, riflessioni, lavori che laici e clero in precedenza avevano condiviso. Con tanti saluti a tutti. E vi è un fatto altrettanto innegabile: la possibilità ravvicinata di un cambio di guida della comunità può generare prudenze, delusioni e demotivazione: perché impegnarsi se tanto basta un nuovo parroco per far finire tutto?

Si dirà: la soluzione, al momento, è una e semplice, ossia che i ‘superiori’ — ossia i vescovi e i loro delegati e vicari — vigilino e operino affinché non si producano distruzioni di cammini, cancellature di pensieri, ma, al contrario, si operi per arricchire senza stravolgere. Vero, ma queste sono buone intenzioni ed enunciati troppo spesso densi di retorica e vuoti di contenuto pratico. Vale anche qui l’antico adagio “cane non mangia cane”, per cui, alla fine, dato che ogni parroco nella sua parrocchia è “sacerdote, re e profeta”, i consigli e le esortazioni del superiore di turno, laddove non si tocchino questioni considerate particolarmente gravi (ovvero penalmente rilevanti), possono solo appellarsi alla buona volontà, senza però pratiche conseguenze. Perché, ad esempio, al parroco che arriva in una parrocchia e decide di non convocare più regolarmente il consiglio pastorale, che si arroga la decisione su molte scelte senza confronto, che compie torsioni ‘poco sinodali’, bene, a questo parroco, cosa si può e, soprattutto, cosa si vuole fare? Nulla, in buona sostanza.
E questo può riguardare l’ambito pastorale, quello economico, quello liturgico, e tanti altri. Con la conseguenza che le comunità soffrono, i cammini si spengono, le persone disertano.

Allora, come affrontare questo macigno sul percorso sinodale della parrocchia? Come rimuovere tale rischio che sta lì, nel mezzo del cantiere parrocchia? Ancora una volta, la responsabilità è in capo al vescovo: quali strumenti, quali avvertenze usare perché non accada più quello che è prassi non così rara nelle parrocchie? Forse è il tempo che si regoli, in un quadro flessibile, ma anche chiaro, quali itinerari di ripensamento non sono più accantonabili, indipendentemente dalle idee del parroco di turno. Insomma, qualcosa che vincoli e che favorisca il dialogo tra il vescovo, i suoi collaboratori, i parroci, i consacrati e i fedeli laici: un dialogo vero, sincero, che porti autentico ascolto e accoglienza.
Senza maschere pirandelliane e recite di ruoli, che non corrispondono alla verità.
Questo, almeno, ci sentiamo di pretenderlo.

 

(ph:Martinophuc)

7 risposte a “Cantiere parrocchia: e se cambia il parroco?”

  1. Giovanni Benacus ha detto:

    Aggiungo, ALCUNI preti si sentono i principi della parrocchia ma sono completamente sollevati da disastri finanziari,,, il sistema va completamente ribaltato come tutti anche i preti devono rispondere personalmente dei debiti ipotecando i propri beni

  2. Giovanni Benacus ha detto:

    il “macigno” che sovrasta le parrocchie è più grave, grande e pericolante bisogna aggiungere, le montagne di debiti che certi parroci lasciano ai successori, l impiego delle casse parrocchiali per usi impropri (es. investimenti e speculazioni extra eclesia) lo stravolgimento radicale della partecipazione delle donne alla liturgia, il ripristino di riti preconciliari ecc. ecc. ecc

  3. Ornella Ferrando ha detto:

    Siamo nei tempi in cui si continua a parlare di corresponsabilità , ì sacerdoti sono i primi a chiederla ma poi quando i laici si propongono vengono un po’ bloccati perché tutto deve passare e avere l’ok da parte loro. Perché? Non siamo tutti Chiesa? Non siamo comunità in cammino? Se c’è alla base una comunità unita, collaborativa, perché non riconoscerla come risorsa? In fondo quelli che poi lasciano la comunità dopo un po’ di anni sono proprio i sacerdoti e la comunità resta. Un bel salto di mentalità ci vorrebbe.

  4. Salvo Coco ha detto:

    Il clero non è obbligato a dar conto delle proprie azioni. Anzi: la dottrina e le norme canoniche lo educano ad agire come se la sua identità fosse di natura essenzialmente differente rispetto a quella di un comune fedele (vedi LG 10). Lo status clericale è quello di essere separato dal popolo, “consacrato”, dotato di poteri esclusivi ed escludenti. Il munus regendi, il munus santificandi ed il munus docendi sono saldamente nelle mani del vescovo e del prete, Se si vuole seriamente combattere il clericalismo occorre cambiare la dottrina ed il codice di diritto canonico. Diversamente trattasi solo di piccoli ed inutili aggiustamenti che non incidono nelle cause che provocano gli abusi. La situazione attuale necessita una profonda declericalizzazione. Occorre ridurre il potere del clero, riformulare l’identità del ministero episcopale e del ministero presbiterale. nel senso di riconfigurarli nella loro dimensione originaria di laicità evangelica. .

  5. Angelo Bertolotti ha detto:

    Condivido la rappresentazione fatta, può succedere però che il cambio del parroco sortisce l’effetto contrario, cioè che dal parroco padrone, si passi ad un clima di sinodalita. La questione vera, e che anche Di Benedetto più volte ha già sollevato, è che si rimane sempre in un modello di parrocchia che ormai ha fatto il suo tempo. Occorre ragionare in altri termini invece di riassettare quelli attuali.

  6. Angela Fugazza ha detto:

    Sento ancora laici lamentarsi di consigli pastorali o economici non convocati.. perché anche questi devono essere convocati da lui. Allora forse bisognerebbe verificare puntualmente su queste modalità di “governo”. Il Vescovo dovrebbe sapere dove questo accade e chiederne conto. A lungo termine bisognerebbe abituare i seminaristi ad apprendere l’arte della convocazione e del dialogo corresponsabile! Ma sappiamo che i processi sono i più difficili da avviare, soprattutto se riguardano il “controllo”.

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