Marco, proprio all’inizio del suo vangelo, racconta cinque episodi a Cafarnao, in cui Gesù “battibecca” con i suoi oppositori e che con autorevolezza non si adegua alle aspettative religiose ed etiche dei suoi contemporanei sovvertendole. Il quarto di questi è la nostra Parola di oggi. Cosa centra questo con la festa della trinità? Di sicuro questo brano non illumina la comprensione razionale del mistero Trinitario. Forse dovremmo provare ad immaginare, invece, che esso ci inviti a intravvedere alcuni squarci in cui appare l’amore dei tre amanti assoluti, che è Dio.
Il primo squarcio. Gli amici dello sposo non possono digiunare quando lo hanno con loro. Siamo ad un matrimonio: digiunare significherebbe non voler partecipare a quella gioia, non nutrirsi di essa. Cristo è lo sposo, noi siamo gli “amici”. Anzi, noi siamo “i figli della stanza nuziale” (v 19 alla lettera), espressione semitica che ricorda come gli amici siano “nati” da quella gioia, perciò parte di essa. Non è casuale, allora, la metafora del matrimonio, perché lì si realizza al massimo grado possibile sulla terra, nella forma più concreta e reale, quel desiderio di amore unificante e assoluto che Dio ha messo dentro ciascuno di noi quando ci ha creati a sua immagine e somiglianza: “Finalmente, carne dalla mia carne e ossa dalle mie ossa (…) i due saranno una carne sola” (Gen 2,23-24), che traduce quel: “io e il padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30).
E a questo “mistero grande” (Ef 5,32), noi partecipiamo con la stessa forma, energia e intensità di cui questo amore è fatto: “Questo è il mio corpo, che è per voi” (1 Cor 11,24), che è consegna totale e reale dell’amante all’amato, che si unificano nell’amore. Consegna che si realizza da sempre tra i tre amanti nella Trinità, nella Pasqua tra gli amanti Cristo e Chiesa e nella vita tra gli amanti uomo e donna che cercano la totale unità.
La Trinità ci ricorda, così, che la nostra destinazione è l’unità totale di tutti con tutti, dentro al suo amore. In cui tutti i confini artificiali, le distanze personali, i muri comunicativi, le opposizioni relazionali, le identità che separano, le idee che negano l’altro, le santità che escludono i peccatori, non esisteranno più, e rimarrà solo l’esistenza di un amante, un amato e un amore, in cui tutti vivremo.
Il secondo squarcio. Non si può mettere un brandello di stoffa nuova a rattoppare un vestito vecchio, perché se no “si porta via la pienezza” e “la frattura diventa peggiore” (v 21 alla lettera). Il “vestito” è quello che l’emorroissa tocca e viene risanata (Mc 5,27), quello che si trasfigura sul Tabor (Mc 9,3), quello che non è indossato dall’indemoniato (Lc 8,27), quello che, intriso di sangue, avvolgerà il Signore nel Regno di Dio (Ap 19,13.16). Rimanda, perciò, alla pienezza e alla potenza dell’amore di Dio, che è possibile, però, solo a condizione di non accontentarsi di un “rattoppo”, ma di mirare all’intera bellezza dell’amore, alla sua pienezza.
Il mistero della Trinità si mostra a noi, perciò, come un amore talmente ricco e pieno, da non lasciare indietro nulla di ciò che esiste, e in cui tutta la realtà, la nostra vita, la nostra conoscenza, il nostro amore, la nostra fatica di vivere, il nostro peccato, i nostri desideri, vengono ricomposti in una armonia nuova, inimmaginabile al momento. “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9). L’amore dei tre amanti assoluti recupera ogni cosa e non taglia fuori nulla di ciò che esiste, “poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato” (Sap 11,24). Forse, allora, la difficoltà è quella di credere che un amore così grande, pieno e assoluto sia davvero possibile per noi, perché spesso decidiamo di essere all’altezza solo di un amore limitato e non infinito.
Il terzo squarcio. Non si può mettere il vino nuovo nei vecchi “contenitori fabbricati dall’uomo”, perché la sua forza li farebbe “scoppiare” e sia il vino che i “contenitori” diverrebbero fonte di “distruzione” (v. 22 alla lettera). Il vino nuovo è quello di Cana, che regala una gioia vitale fuori dagli schemi (Gv 2, 9-10), quello versato dal samaritano sulle ferite del malmenato (Lc 10,34) e quello che Gesù berrà nuovo solo nel regno (Mt 26,29). Ci rimanda, perciò, alla novità frizzante e consolante dell’amore di Dio che non accetta di restare dentro a “contenitori fabbricati dall’uomo”, fossero anche quelli che l’uomo costruisce per relazionarsi con Dio stesso.
La Trinità, così ci ricorda che il mistero dei tre amanti assoluti non può essere rinchiuso dentro a nessuna “produzione umana”, perché è un amore eccedente. Ci ricorda che un amore così non ha limiti, non si può rinchiudere perfettamente dentro ad una religione, ad un etica, ad una spiritualità, ad una ritualità e che tutte queste cose possono veicolarlo, ma sempre e solo come squarci possibili, senza esaurire mai l’infinito che Egli è. Perciò quando ci aggrappiamo e difendiamo, con le unghie e i denti, questi squarci rischiamo di tradire quell’amore assoluto, portando distruzione e non vita.
La Storia che la Bibbia ci fa conoscere e’ Trinitaria, il Creatore e Dio il Padre, diventato nostro per mezzo del Figlio Gesù Cristo venuto in Terra a confermarlo Amore . I suoi Apostoli confermano e procedono a comunicarci il Suo Vangelo e proporci come via da seguire, verità e vita e il Suo Santo Spirito e nella Chiesa di cui tutti coloro che credono fanno parte. Dio dunque di Amore che unisce e ci unisce quando e se in libertà crediamo nella Parola che salva. La salvezza ci è stata donata attraverso il sacrificio del Figlio che ha dato la vita perché anche a noi mortali fosse assicurata eterna. Amore dunque esempio dalla Santa famiglia di Nazareth, confermato sempre anche da Maria diventata ns. Madre presente nella storia del mondo fino ad oggi in ogni difficile circostanza a essere con noi preghiera rivolta al Padre .di gratitudine, conforto e speranza
La trinità esprime una relazione. Quella stessa relazione che fa sì che nessuno possa pensare di tenere alcunché per sé, perché da uno all’altro, la Legge è il dono.
E quel dono, essendo un moto interiore, è difficilmente contenibile. Si può esprimere con un oggetto, che però sarà sempre un simbolo che mai potrà dar conto di tutte le sfumature soggettive che l’hanno pensato!
L’acqua, quando è ghiaccio, si identifica con la forma del contenitore, ma appena si scioglie, può cominciare a voler uscire e trovare nuove strade e forme, quando diventa vapore non la vedi e tocchi ma c’è, e può essere ovunque.
La Fonte è sempre Una, ma quante forme differenti può assumere e quanti meandri, anche i più oscuri, può irrorare con la sua Forza!
…
Non so se sia ammissibile per un cristiano dire che Dio sia tutto e sia in tutto più che altro perché lo non sento mai dire per cui volendolo definire o cercare forse il miglior modo sia la relazione che la Trinità appunto esprime e in cui Dio si ritira per lasciare la libertà all’uomo, Gesù si ritira per tornare al padre e permettere allo spirito di guidare la libertà dell’uomo.
Usando un’interpretazione più “rabbinica” della lettura si potrebbe modificare il genere della fine del mondo cambiandolo in “il fine del mondo”: come noi ci chiediamo come Dio ci possa servire così possiamo pensare, riferendosi a Dio, a cosa possa servire il mondo e anche qui la risposta potrebbe essere nella Trinità.
Mi perdoni perché sono un lettore poco attento ma non ho capito bene perché si citano brani di Marco di cui farebbe parte la lettura di Matteo che oltretutto mi pare non abbia letture analoghe negli altri vangeli essendo l’unica che cita l’episodio.
Vorrei partire dal dubbio degli apostoli per arrivare alla solennità del mistero della trinità. Posto infatti che il credere sia una parte imprescindibile della razionalità e anche dei sentimenti umani, il problema di chi è chiamato a diffondere il vangelo (ogni cristiano in realtà) è di essere credibile e dare una convinzione tale da poter diventare fede utile per la vita, non soggetta alla mutabilità delle convinzioni e dei sentimenti.
La Trinità pasa da una relazione affettiva a cui poter partecipare che anticipa e in cui si annegano, interpretando quello che lei dice, convinzioni e sentimenti e ne supera diffidenza e mutevolezza a cui essi sono soggetti.
Sono qui, a Romena tra rocce e piccoli sassi ( segni spirituali?) poca luce freddo,,,ii fo ico di
Sono qui nell’ultimo anfratto…
Sono qui, solo io, per non lasciarti solo, Gesù, per non essere SOLO io, per stringerti forteforte in un abbraccio liberatorio..
Ho letto Gil, condivido tutto, come sempre…
Ma ormai fobico di antropomorfismo mi chiedo se anche questo amore non radici sul ns io.
E in fondo tutte le Precisazioni riguardino solo NOI.
Ma DIO é Altro.