Il Vangelo di questa solennità di Pentecoste dell’anno B ci propone due passaggi del Vangelo di Giovanni (Gv 15,26-27;16,12-15) piuttosto complessi, che vanno letti insieme al racconto che Luca fa negli Atti (At. 2,1-13), quello nel quale descrive la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli (in nessuno dei quattro Vangeli canonici, infatti, è raccontato questo episodio).
Lo Spirito scende nei cuori degli apostoli e delle donne cinquanta giorni dopo la Pasqua, nel giorno in cui gli ebrei festeggiavano il dono della Legge, da parte di Dio, al suo popolo sul Monte Sini: la Pentecoste cristiana è l’inizio della nuova legge, quella basata sull’amore e sull’unità.
L’immagine del fuoco che si divide in tante fiammelle per raggiungere ogni membro della comunità, non va ovviamente presa letteralmente, anche se ha ispirato secoli di produzione artistica: è funzionale al desiderio di Luca di rappresentare questa unità: un solo fuoco, il cui calore raggiunge e avvolge ciascuno…
Lo Spirito viene per tutti, unisce nella verità. Quella verità così profonda che è difficile accoglierla, tanto che Gesù si preoccupa del fatto che gli apostoli potrebbero non riuscire a portarne il peso. Quando dice queste parole – «molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» – sa che sta per venire il momento della morte in croce, e quindi della paura e della confusione per gli apostoli, e vuole ancora una volta assicurarli: non sarete soli, verrà lo Spirito e illuminerà il vostro futuro.
Gesù ci ama con i nostri limiti; lo Spirito ci aiuterà a superarli, gradualmente, rispettandoci e guidandoci «a tutta la verità» e ci «annuncerà le cose future». In fondo, il dono della Sapienza è questo: non è saper tutto, ma intraprendere la strada che piano piano, gradualmente, ci porterà a capire un po’ di più e a guardare un po’ più lontano.
Potremmo dire che la promessa della venuta dello Spirito è rassicurante, ma fino ad un certo punto: lo Spirito non si vede, soffia dove vuole, per riconoscerlo serve discernimento, personale e comunitario. Certo, apre nuove strade, rompe gli schemi. Gesù non ha lasciato facili ricette: fate questo, questo e quest’altro… Non ha lasciato dottrine da imparare a memoria. Ha detto che il comandamento più importante è l’amore, e ha lasciato che ciascuno trovasse il proprio modo di viverlo e coltivarlo perché porti frutti, reinterpretandolo giorno dopo giorno. Ed ora lascia gli apostoli e le donne nelle mani dello Spirito, colui che si pone al di fuori di ogni schema e di strada già tracciata. Chi sceglie di seguirlo deve essere davvero molto disponibile. In cambio, si ritroverà più libero: dagli schemi rigidi, dal grigiore, anche da se stesso e dall’asservimento ai propri limiti.
Lo Spirito trasforma il gruppo chiuso e impaurito degli apostoli in una chiesa missionaria, fatta di testimoni. Fratelli sì, ma in uscita. Perché lì fuori il mondo continua ad essere massacrato da guerre e conflitti, a produrre ingiustizia e povertà, a rovinare la natura e le creature. E quindi ha bisogno della luce che possono portare coloro che hanno accolto dentro di sé lo Spirito. Perché, non dimentichiamolo, lo Spirito è venuto per tutti e per ciascuno, e a ciascuno rimane la libertà di accoglierlo e di ascoltarlo e quindi di accettare l’avventura, o di rifiutarlo per restare nel proprio territorio conosciuto e apparentemente rassicurante.
La Chiesa che ha iniziato il proprio cammino con l’Ascensione e con la Pentecoste è una chiesa di amici, nella quale le diversità si armonizzano nell’unica fratellanza; è una chiesa in cammino, perché non segue ricette, ma lascia lavorare lo Spirito; è una chiesa in uscita, perché, dice Gesù, lo Spirito «darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio». In una parola, è una Chiesa sinodale.
La Pentecoste non è avvenuta una volta per sempre. Più che un evento è un processo, che non ha mai smesso di esistere, per tutti e per ciascuno, per la comunità e per la singola persona. Come gli apostoli allora, anche noi oggi siamo chiamati a scegliere se fidarci dello Spirito e seguirlo, o se rimanere chiusi nel cenacolo.
Una Chiesa sinodale? Ma se ormai anche i cosiddetti fenomeni mistici devono avere il ” nihil obstat” cioè: il permesso papale? In una Chiesa in cui tutto il potere e’ ormai accentrato nelle mani del papa, i vescovi non contano piu’ niente. E Neppure la Madonna, che ,se appare, deve avere l’ approvazione dell’ autorita’ del papa ( che non lo darà: mai ) .
Mai c’ e’ stato nella storia della Chiesa piu potere assoluto del papa come oggi !
Lo spirito santo è un dolore, il dolore di un padre che lascia la libertà ai propri figli e per questo si fa da parte e attende che i figli tornino a lui dopo aver sperimentato la libertà anche dal padre stesso. Il dolore sperimentato nella vita avvicina a questo dolore e permette di comprenderlo condividendone la somiglianza. È il dolore dei discepoli per aver perso in terra la loro guida e amico e saperlo risorto non riesce comunque a consolarli: lo spirito è l’avvicinamento al padre e al suo dolore che dà un senso al proprio dolore per aver rivelato di essere figli attesi come lui che è tornato al padre.
@ Paola. Eri tu l’altra mattina su RAITRE!?
TI ho apprezzato mmmolto…
E lo Spirito ieri era presente all’Arena di Verona, innondata di sole, gli spalti gremiti di folla di ogni età ad ascoltare lo Spirito per bocca del Santo Padre oggi Papà Francesco che si è espresso come in certe occasioni hanno fatto i suoi Predecessori enunciando quella Parola P A C E in Spirito e Verità. Si è fatto Voce di popoli sofferenti l’ingiustizia della guerra, vittime interrate come tra incudine e martello in quell’odio reciproco che solo incoraggia l’essere umano a uccidere un suo simile. Come balsamo su una piaga da teleascoltatori è sembrato spirare una folata di “speranza”, le testimonianze rese una realtà di un coraggio che esiste e resiste alla forza d’urto di un opposto intento a volere e pretendere giustizia tra i popoli con la saggezza del dialogo e non quella della guerra.” spes salvi” un vessillo che affratelli in
ogni lingua pretendere la pace