Nella parte finale del cap. 4 di Mc, Gesù chiede di “attraversare verso l’oltre”. Nella prima parte del cap. 5, in quell’oltre, Gesù vince le dimensioni demoniache e diaboliche dell’uomo (L’indemoniato di Gerasa – 5, 1-20). Ora, “attraverso quell’oltre” Gesù, di nuovo nella barca, ritorna alla folla radunata, presso il mare, su questa riva. E qui Mc mette in scena una trama narrativa molto drammatica che ben conosciamo: un padre (Giairo) supplica Gesù di evitare la morte alla figlia, ma mentre Gesù va con lui, una donna cerca di approfittarne, per guarire dalle continue perdite di sangue. Forse l’incastro letterario che Mc produce non è casuale. Giairo e questa donna hanno alcune cose in comune.
Primo. La drammatica, ed estrema, condizione di entrambi. La figlia di Giairo è “all’ultimo” e il padre, con una disperazione mortale “invoca accanto a sé” (v. 23) Gesù, come ultima, angosciosa, possibilità di salvezza. La donna, socialmente segregata, per le sue perdite di sangue che la rendono costantemente impura, in una solitudine relazionale disperante ha “sperperato tutti i beni” (v. 26) in medici, peggiorando solo la situazione. Una angoscia perenne, ormai insopportabile, che la spinge a pensare di poter approfittare di Gesù, anche senza rivelarsi.
Secondo. La trasgressione delle “regole” sociali per accedere al potere amorevole di Cristo. Giairo, da capo della sinagoga, riconosciuto per la sua fedeltà alla fede ebraica, va ben oltre il suo ruolo e “stramazza verso i piedi” (v. 22) di Gesù, riconoscendone, contro ogni “dogma” ebraico, il suo potere amorevole. La donna, andando oltre le regole che le imponevano di non entrare in relazioni sociali, si mischia tra la folla e “aderisce strettamente” (v. 28) alla veste di Gesù, immaginando di essere investita così da quello stesso potere amorevole.
Terzo. Tutto si gioca nella percezione del corpo. La donna avverte il “seccarsi della sorgente del sangue” e “conosce nel suo corpo” (v. 29) di essere stata guarita. E Gesù stesso “conobbe la potenza uscita da lui” (v. 30) e per questo cerca con lo sguardo la donna. Ugualmente, arrivati alla casa di Giairo, Gesù avverte il rumore, il pianto e le urla. Ma sovverte la percezione del corpo che tutti hanno, anche accettando la derisione, e “con forza afferrò la mano” (v. 41) della bambina, la quale “stette di nuovo in piedi e pestava intorno” (v. 42).
Quarto. L’essenzialità della fede. Quando portano la notizia a Giario che sua figlia è morta Gesù gli dice “non aver paura, solo credi” (v. 36). Non ci sono tentativi di dare una spiegazione del “ritardo” impietoso del modo di agire di Gesù, ma solo il richiamo a mantenere la fede. E quando la donna si rivela a Gesù egli risponde: “la fede di te ha salvato te” (v. 34). Non ci sono rimproveri per aver infranto le regole o aver cercato di carpire quella potenza amorevole, ma anzi, viene giustificata la pretesa della donna, quell’esagerata fiducia fuori da ogni logica umana.
Quinto. L’effetto emozionale di entrambi li sorprende. La donna viene rimandata “in pace” (v. 34), cioè nella pienezza della vita buona, mentre lei si aspettava di essere riprovata e per questo si sentiva “terrorizzata tanto da voler fuggire” (v. 33). Quell’impensabile che la disperazione le aveva fatto pensare possibile, si è avverato. Alla casa di Giairo le urla e il pianto (v. 38) lasciano il posto, in modo inatteso e stupefacente, allo stupore di sentirsi molto “in estasi” (v. 42) da parte dei presenti, cioè fuori centro, senza poter più contare su di sé, ma sentendo questo come stupenda sensazione di essere tenuti in piedi dall’amore.
Provo una sintesi. L’incontro che compie la rivoluzione nella nostra vita e ci permette quella tanto desiderata pienezza è possibile solo quando il corpo parla e urla, nelle sue mille forme in cui lo può fare, e noi decidiamo che non può più essere occultato o sopportato, quindi ci riconosciamo ben fuori dalla nostra condizione di benessere relativo che ci fa stare mediamente bene. A dire che la pienezza di vita ci chiede di lasciare andare la nostra “confort zone”, anche quando in essa pensiamo che Dio sia già presente. Il benessere della fede normalizzata è una gabbia che imprigiona.
A quel punto possiamo avere il coraggio di sovvertire le regole sociali che ci imprigionano nel nostro modo di vedere le cose e di essere politicamente scorretti. E invece di rinforzare ancora di più i nostri pregiudizi sul possibile valore limitato della nostra vita, possiamo decidere di mostrare a Gesù tutta la nostra disperazione e la nostra impotenza davanti all’evidenza che, da soli, quel desiderio di pienezza è impossibile. E così essere “spinti” a darci una possibilità in più di vita piena, che dentro la nostra “confort zone” non avemmo cercato. Quando accettiamo di non essere Dio, o si cresce o si muore, non c’è altra possibilità.
A quel punto, se abbiamo fede, possiamo iniziare a navigare nel mare aperto, senza protezioni umane, ma solo fidandoci che Cristo ci ama, che la sua potenza è davvero per la nostra pienezza, senza che lui ci chieda nulla da “sacrificare”. E qui torna la crescita spirituale che ci possiamo permettere: mentre chiediamo a Gesù di darci la pienezza, scopriamo che questa pienezza consiste proprio nel perdere ogni nostra aspettativa umana e consegnarci a lui senza più remore. Noi serviamo Dio e non ci serviamo più di Lui.
Chi passa attraverso questa esperienza impara che la sua pace, quella che Lui ci dà, non è come la dà il mondo. Che davvero, ciò che non è mai entrato nel cuore dell’uomo, perché troppo ristretto per poterlo fare, è proprio ciò che Dio ha preparato per chi ama. Ci attende la pienezza dell’impossibile.
Nel rito della messa certi gesti sono necessari a sottolineare la Parola, dialogo con Dio e tra fratelli, a formare Unione di tutti in uno. Nelle apparizioni mariane il segno di croce , o come a Lourdes il bagnarsi ha un particolare significato riguardante lo Spirito che vive e fa vivere la persona che prega, dialoga con Dio. Anche il corpo diventa strumento partecipe nel compiere ed esprimere opere suggerite a ns. bene, amarlo come Padre e quindi essere famiglia umana che vive nel suo Spirito.Seguire i suoi insegnamenti a esprimere la ns.Fede attuare il bene nostro che diventa quello anche del prossimo. Ogni persona che agisce così in suo nome, attua, crea, esprime l’opera divina nel proprio quotidiano collaboratori nel fare e moltiplicare il pane di vita a rendere visibile l’invisibile.Certo siamo umanamente tentati dalla libertà a seguire un ns. volere per questo è confortante sapere che esiste quel Qualcuno che non ci rifiuterà l’aiuto.
Toccare la veste può assomigliare unire le mani in preghiera, chiudere gli occhi, volgere lo sguardo, chinare il capo, ricevere il cibo, offrire ciò che si ha, stringere le mani, tutti gesti che si possono fare durante un rito? Tutti gesti che chiedono salvezza.
Cito dal testo di Gil, uno dei + belli&veri che abbia mai letto!,
“Il benessere della fede normalizzata è una gabbia che imprigiona”
E chioso con la sua chiusura:
“Ci attende la pienezza dell’impossibile.”
Che congiunge piena-mente a ns , assoluta LIBERTÁ
con la ns piena UNIONE a Cristo
Grazie Gil..