Sullo strazio dell’impossibilità di accompagnare i morenti e sul ruolo ricoperto in quest’ambito dagli operatori sanitari si è già scritto, ma molto si verrà a sapere solo fra qualche mese.
Ma anche l’ultimo saluto è stato messo a dura prova dal coronavirus. I parenti, potenziali contagiati, sono stati esclusi dalla camera mortuaria, talvolta anche dal rito di sepoltura “in forma ridotta”, che vuol dire non affollata, semplice, breve. Esigenze sacrosante in tempi di epidemia, che hanno però effetti di cui non solo le famiglie interessate avvertono oggi la pesantezza.
La stessa CEI lo ha indicato al governo fra le richieste più urgenti per la fase 2: “Non possiamo lasciare che una intera generazione, e i loro familiari, siano privati del conforto sacramentale e degli affetti, scomparendo dalla vita, e improvvisamente diventando invisibili – ha dichiarato il sottosegretario don Ivan Maffeis – . Troppe persone stanno soffrendo perché la morte di un caro oggi è come un sequestro di persona, certo motivato, ma dobbiamo farci carico di questo dolore dal punto di vista umano oltre che cristiano».
I “congiunti”, che si sentono separati anche nel congedo dalla salma, non debbono incontrare e abbracciare nessuno, possono solo immaginare quanta gente ci sarebbe stato in un funerale normale a pregare per il proprio caro, a stringere loro la mano, a fermarsi fra le tombe per dire due parole.
Manca anche nella memoria visiva di un paese o di un gruppo quello che un rito funebre ci lascia sempre come consolazione: una parola del prete sul Vangelo più adatto, un ricordo dei parenti o degli amici, il canto preferito. Quanto fa di un funerale come un battesimo qualcosa di sempre diverso, dono e conforto insieme.
Vien quasi da pensare (erroneamente) che essere sepolti in tempi di coronavirus – anche se, come accade per molti, non è stato il virus a uccidere – possa essere qualcosa di cui non resta traccia, segregato, “lontano dagli occhi e dal cuore”.
Non è così in una prospettiva di fede. Ci sono varie forme per partecipare al lutto – dalla telefonata tempestiva, alla preghiera di suffragio, alla testimonianza-ricordo diffusa in varie forme – così come è previsto che prima della sepoltura o della cremazione sia presente un sacerdote a benedire la salma. E il sacerdote rappresenta tutta la comunità, come ci hanno ricordato i liturgisti impegnati a valorizzare aspetti talvolta poco considerati nel rito.
Poi però la creatività laicale ci ha messo del proprio e sono spuntate anche altre modalità. Nella nostra diocesi si è verificato ad esempio un gesto un tempo impensabile: al funerale di un religioso molto noto per il suo servizio qualcuno ha pensato di riprendere sobriamente con il telefono le parole del celebrante zoomando poi sulla bara e sulla fotografia del defunto e realizzando molto artigianalmente un piccolo video che è finito prima nel giro degli amici della comunità e poi anche su un profilo social. Quella benedizione ristretta a pochi dopo un brano del Vangelo e l’azzeccato brevissimo pensiero del parroco è diventata qualcosa di pubblico, apprezzato; soprattutto ha restituito una memoria visiva del congedo al cimitero, ha favorito una partecipazione anche se “in differita” al saluto spirituale. Non è poco.
Verrebbe da dire che potrebbe diventare una buona prassi, quella di una videoripresa della benedizione al cimitero, naturalmente senza invadenze fuori luogo o esagerazioni che in fase di montaggio trasformino la documentazione di quel momento in qualcosa di spettacolare: sarebbe tradire la prima caratteristica del lutto che è il raccoglimento silenzioso.
Ma altre modalità sono state introdotte queste settimane: la preghiera del rosario per il defunto nelle case o in comunione con quella diffusa dal parroco sul canale youtube della parrocchia ha finito per dare finalmente rilievo alla preghiera del giorno prima del funerale normalmente poco valorizzata. E poi si sono utilizzate pure per la partecipazione al lutto le nuove reti allacciate in questi mesi: i gruppi Whatsapp – alcune creati nell’occasione per condividere il cordoglio alla famiglia – per esprimere agli altri il proprio ricordo degli amici o convocare in contemporanea una preghiera, le videochiamate e perfino qualche pagina Facebook, pur con qualche rischio legato alla inevitabile “apertura” di pensieri riservati invece a cerchie ristrette.
Surrogati, si dirà, a fronte di quell’assenza di prossimità e di fisicità di cui la partecipazione al lutto si alimenta. Anche queste forme provvisorie però possono essere utili soprattutto per riprenderne i fili quando tra qualche mese si potranno (anzi si dovranno) ricordare negli anniversari o nelle celebrazioni comunitarie questi defunti dai quali ci siamo congedati “in forma ridotta”.
Mi sono reso ben conto di quanto il mio commento sia fuori dal msg di Diego ma soprattutto dalla morale comune sul culto dei morti. Metto insieme due cose:
1) la attuale società da decenni tende a nascondere in vario modo la MORTE.
2) Si arriva con le funeral house a gestire anche le prefiche, i pianti e le appariscenze del funerale.
Bene.
Domanda? Sicuri di non fare lo stesso?
Non sarebbe meglio puntare tutto sull’aldilà?
Nessun surrogato, nessuna maschera, nessun pietoso velo riuscirà MAI a togliermi/ci dalla memoria il corpo nudo di mia cugina lina steso su un tavolo di pietra, solo e isolato in una cella pure NUDA.
Come risuonerà sempre la sua risposta all’infermiera che la sera prima ” a domani”! E lei: ” speriamo di no”
Quanto bene ti ho voluto, Lina!
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Spero vi sia mancata la descrizione di cosa succede ad un covid-morto dopo la morte…
Semplicemente allucinante, terribile! Se la avete ascoltata.. nulla mai potrà coprirla di paraventi. N U D A.
Abbiamo il coraggio di affrontarla x quello che realmente è.