La vita eterna nella carne

Si può superare la morte, si può aspirare ad una vita senza fine?
11 Agosto 2024

La moltiplicazione dei pani e dei pesci continua a produrre effetti. Domenica scorsa abbiamo visto come le folle che hanno sperimentato quel “segno” fanno fatica a comprenderne il senso che Gesù indica loro. Oggi tocca ai capi del popolo, quelli che Gv chiama “Giudei” (v. 41). Con loro, sembra che la questione non sia più quale logica esistenziale vivere, se la gratuità o lo scambio economico, ma qualcosa di più radicale: chi sia Gesù, la sua identità e la sua origine: “Non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come mai ora dice: “Io sono disceso dal cielo”? (v. 42).

La risposta di Gesù, ancora una volta, sembra parlare di altro: “Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (v. 44). Anche qui sembra un dialogo tra sordi, ma in realtà Gesù risponde così perché mira più in là della loro domanda, pur senza negarla, per mostrare loro quale retro pensiero coltivano senza accorgersene.

I capi, da bravi Ebrei, si interrogano sulle origini di Gesù, per capire chi è. Ma il problema loro è che non riescono ad ipotizzare che dentro a quelle origini storiche (“il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre”) possa esserci anche una origine “dal cielo” (v. 42). La loro rigidità mentale gli impedisce di pensare che cielo e terra possano stare assieme in qualcuno che vive sulla terra. Con la conseguenza che l’orizzonte dei capi degli ebrei resta limitato ad una terra senza cielo: “I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono” (v. 49). E quindi, se loro continuano a restare fedeli solo ai “padri”, la morte sembra essere il loro destino.

Il tema vero, perciò, al fondo di questo dialogo, dietro al “Gesù pane di vita”, sembra un altro, ad esso collegato ed espresso in una domanda: “si può superare la morte, si può aspirare ad una vita senza fine?” Infatti, Gesù, su 11 versetti, parlando di sé come pane offerto, per ben sette volte aggiunge un riferimento alla vita, alla resurrezione, al non morire, all’eternità. Lui è pane offerto, ma per la vita eterna, non solo per questa terra. Perciò la risposta “sfasata” di Gesù, in realtà mira proprio a suscitare nei capi degli Ebrei la riapertura di questa domanda, che sembra non presente nel loro retro pensiero.

Ma oggi questa domanda è aperta, anche tra i credenti? Una parte della Chiesa sembra essersi accartocciata sulla conservazione delle forme religiose in cui la fede è stata veicolata in passato, mettendo in secondo piano, spesso, il desiderio umano di vita infinita e piena che questa domanda contiene. Uno degli assunti molto presenti nei report delle fasi di ascolto sinodale è proprio quello di una lamentela da parte dei fedeli per una Chiesa troppo concentrata su di sé e sulle questioni ecclesiali e che non parla molto della vita eterna in Dio, della sua fruibilità anche nel corpo e della relativa felicità assoluta. Questo è talmente vero che l’assunto di fede più dimenticato e travisato dagli stessi fedeli praticanti è proprio la resurrezione nel corpo, sia di Cristo che la nostra.

Ma anche tra i non credenti o diversamente credenti, la prospettiva di una felicità assoluta, di una vita ulteriore sembra molto, molto rara. Spesso si concentra questo desiderio, mascherandolo e tradendolo, nel sovraccaricare ciò che si vive “qui e adesso come se non ci fosse un domani”, come se, appunto, l’ultimo giorno fosse adesso, (quasi un escaton immediato) immaginando che questo sia ciò che più si avvicina alla felicità, ma purtroppo una felicità solo “a termine”. Oppure, si ammette la presenza di una dimensione altra, ma pur sempre su questa terra (quasi una trascendenza immanente), immaginando angeli e presenze energetiche varie ad ogni piè sospinto, di natura totalmente non fisica. Perciò senza che la nostra intera persona, in tutte le sue componenti, possa poi parteciparvi realmente. Alla fine, spesso, ciò si traduce nell’idea della reincarnazione, o, altre volte si accede all’idea di una sopravvivenza solo dell’anima.

In questo brano, allora, Gesù, mentre risponde ai capi degli Ebrei, risponde anche a noi oggi. E la sua prospettiva parte da quel verbo strano del v. 44: “attirare”. Nella bibbia indica l’essere trascinati fuori da sé, verso qualcosa o qualcuno percepito come bello e buono, che ci afferra interiormente e a cui è difficile resistere. Assomiglia molto all’essere innamorati. E contiene sempre un’esperienza emozionale e sensoriale in cui questa bellezza si mostra a noi e risuona in tutte le nostre dimensioni. Da questo punto di partenza diventa impossibile separare cielo e terra, carne e spirito, come invece accade oggi, sia nella Chiesa che fuori di essa, perché questo tipo di fede, nasce sempre già incarnata, e continua ad esistere solo se resta incarnata.

Ecco perché, allora, “se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne” (v. 51). Il cibo del cristiano è l’amore incarnato, non quello spirituale; quello che si alimenta della carne risorta di Cristo per diventare esso stesso carne che si offre e camminare verso la resurrezione di tutto noi stessi. Dove “carne” in Gv non ha valore negativo, ma neutro, e sta ad indicare la forma e la sostanza concreta propria di ogni uomo, in quanto creatura.

Perciò nella concretezza delle possibilità e dei limiti umani, Cristo si nasconde dentro la nostra carne, dandosi come cibo, affinché la fede in lui nasca è cresca sempre dentro la vita concreta, fino a far divenire la nostra carne un atto di amore libero e gratuito che si dona per risorgere, senza più poter immaginare una contrapposizione con lo Spirito. Così facendo tutta la nostra persona verrà portata oltre la morte, attraverso la resurrezione corporea, fino ad essere felicità assoluta in Dio, perché vivificata dall’amore di Dio incarnato.

Se questo è vero, allora tutta la crisi della fede e della religione, sembra nascere dalla impossibilità di lasciarsi attirare da Dio, dal farsi innamorare di Lui anche dentro ai nostri cuori e corpi. Perché, in realtà Dio, quando Gesù viene innalzato in croce, attira “tutti a sé” (Gv 12,32 stesso verbo). Perciò il problema è il nostro, perchè Lui attira tutti, ma noi non ci lasciamo afferrare da Lui. E spesso ciò dipende dal fatto che lo cerchiamo – aspettiamo nel nostro spirito, mentre lui ci parla e si rende “percepibile” nella nostra carne.

Una conseguenza inevitabile è che una fede senza servizio concreto, senza attenzione fattiva alle varie povertà non corrisponde al mangiare la sua carne per la vita eterna. Rischia di essere una fede solo pensata. L’attenzione ai poveri nella loro carne, invece, in cui la nostra carne si mette in gioco, non è una delle tante possibili conseguenze della fede, ma è il luogo essenziale della sua vita. I poveri, cioè, stanno sullo stesso piano del sacramento e della Bibbia: sono il luogo reale in cui lo incontriamo nella carne, per la vita eterna.

7 risposte a “La vita eterna nella carne”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La vita eterna nella carne: Il corpo umano ha una vita limitata nella carne; e per godere di Resurrezione l’unica via è incarnare lo Spirito di Gesù Cristo,, nella Sua Parola trovare la via. E’ la novità del cristianesimo che forse non si trova in nessuna altra religione. Richiede avere Fede In Cristo Dio fattosi uomo perciò anche il Primo Risorto. Via dunque certa, . “Chi crede in me vivrà” Forse appare facile dire “io credo” resta superficiale asserzione se non fa seguito l’incarnare la Parola,, almeno nei limiti che sono della persona. Appare difficile quando si scontra con la libertà tutta umana, oggi forse più che nel passato, il ns.volere, un intendimento della ragione che è diverso del seguire Cristo. La Fede appare necessaria ed e dono da chiedere: certo se non suffragata da esempi appare erta la via per acquisirla, richiede umiltà e spirito di sacrificio. e, solo dopo l’esperienza, si scopre anche Cristo verità

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Terreno spinosissimo. caro Gil!!
    Carnecorpospiritopersonaformasostanza…
    Nessuno ne è tornajto. ( Vero!???).
    Nella mia ricerca sono approdatoj a qs. Isole..
    0) Morte come+ ‘passaggio’.
    1) quel ‘saremo Spirito’ significa che saremo in RELAZIONE con Dio, parteciperemo con lui che ę puro Spirito. Chi più chi meno. Sará la misura del ns premio-pena.
    2) conserveremo integralmente la ns identitã-personalitå ( quella che chiamiamo PERSONA’ ed ę TRASCENDENTE)
    3) conserveremo anche la memoria della ns Storia. come i formazioni.
    NON ho risposto al COSA fare PER…. ma tra la via dell’estasi. …. Il fare del bene…. Mi fermo al…
    Ama Lui con tutta la tua anima, cuore, fisico con tutto te stesso..
    Da cui discende TUTTO.

  3. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Questa rivoluzione però sfugge al controllo e alla censura perché dura e propaga il suo messaggio tramite lo spirito santo, l’altro soggetto della Trinità, attraverso il cuore e la mente degli uomini.

  4. ALBERTO GHIRO ha detto:

    La rivelazione che Dio è padre e noi figli adottivi secondo san Paolo, ha un aspetto rivoluzionario perché l’esistenza dell’uomo non seguirebbe più solo volontà e logiche umane ma anche divine e il suo essere non dipenderebbe più dal volere dell’uomo ma dato in principio da Dio e sacro.
    Rivoluzionario è anche il mezzo di tale rivelazione, la Trinità, in cui Gesù, figlio di Dio e pane dal cielo per gli uomini, trasforma un annuncio fatto di parole in qualcosa di reale, una parola viva e incarnata e non passeggera e inefficace, un modello reale da poter seguire ed imitare.
    Il supplizio della sua morte che, nonostante la resurrezione, fa sentire affranti, complici e colpevoli è cinicamente la conseguenza di un processo storico in cui si attuano la censura e la fine di una rivoluzione.

  5. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Io penso che non si possa dire molto sulla promessa di risorgere tranne che essa faccia parte costitutiva della nostra fede, fondata sulla speranza e sull’attesa, elementi fondamentali per la vita. Fondamentale è anche il bisogno di relazione che si esprime nella carità verso gli uomini che è riflesso dell’amore caritatevole di Dio padre.
    Questa relazione paterna libera l’uomo dal dover inseguire la realizzare di sé secondo le logiche umane in cui le persone per poter essere considerate tali devono sottostare alle leggi della comunità che invece dovrebbero limitarsi a regolarne la convivenza nella libertà del singolo. È una libertà dal dovere e dal voler essere per poter essere a favore dell’essere già figli di Dio e fratelli e della volontà di fare anziché essere.

  6. Maria Cristina Venturi ha detto:

    Nessuna omelia la domenica alla Messa, nessun discorso di papà o vescovi , nessuna catechesi tratta mai di questo argomento : la Resurrezione della carne.
    Segno che non ci crede piu’ nessuno nella Chiesa, segno che papa vescovi parroci stendono un velo.pietoso di silenzio imbarazzato su questa antica credenza ,cosi’ arcaica , cosi’ in contrasto col ” mondo contemporaneo” .
    Lo stesso imbarazzo che forse cogliera’ papa vescovi e cardinali quando…oooops! risorgeranno nella loro carne ( ma ma allora era vero ?)

  7. Paola Meneghello ha detto:

    C’è differenza tra carne e corpo, però.
    Il corpo è la forma che assume la carne, che è la vera Sostanza.
    Risorgere nella carne non vuol dire, secondo me, risorgere con la nostra forma corporea, e probabilmente nemmeno con la personalità, legata all’ego che ci fa dire “io” senza il “noi”, e che va ancora superata, ma significa la sublimazione di ogni nostra singola particella materiale in Spirito, come un cambiamento di stato, di Regno.
    Certamente risorge la persona, come individualità spirituale, depurata da tutto ciò che però la tiene in basso, che fa sì che non si allontani da un punto di vista ego-ista e separatore.
    Il calore dell’Amore è allora il vero sublimatore che aiuta a vedere oltre il proprio parti-colare e a trascendere se stessi, a diventare Sostanza concreta, Materia Spiritualizzata.

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