ANNO B – XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Mc 10,35-45
Il racconto di Marco continua a mettere in mostra, come, dopo più di due anni di “sequela” di Gesù, i discepoli ancora non siano entrati nella logica di Dio, quella dell’amore assoluto che Gesù vive e racconta. Appena dopo che Gesù ha annunciato, per la terza volta, la sua passione, morte e resurrezione, Giovanni e Giacomo fanno una richiesta davvero molto pretenziosa: sedere alla destra e alla sinistra di Gesù nel Regno.
In Mc 3,17 questi due fratelli vengono soprannominati da Gesù: “Figli del tuono”. Nel mondo ebraico questa espressione aveva un significato non positivo. Sottolineava, infatti, il lato impulsivo e giudicante, troppo zelante della persona. Il tuono era associato al giudizio di Dio. E Giovanni già ce lo aveva mostrato: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri. Ma Gesù disse: non glielo proibite (Mc 9,38-39)”. E Lc aggiunge anche Giacomo quando chiedono: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi (i samaritani)?’ Ma Gesù si voltò e li rimproverò” (Lc 9,54).
Ciò descrive un atteggiamento impulsivo e giudicante nei confronti del male, che spesso alberga in non pochi cristiani, soprattutto in coloro che per prima cosa sputano sentenze, magari anche giuste, ma in modo arrogante, permettendosi un potere che non gli appartiene. Atteggiamento che viene però censurato chiaramente da Gesù.
Al centro del testo di oggi, ci sta perciò lo smascheramento della vera intenzione di queste persone: dimostrarsi talmente contro il male da considerare sé stessi degni dei posti più alti nel regno del bene. Tanto che questa richiesta viene presentata con una presunzione che non permette, a Giacomo e Giovanni, nemmeno di capire il senso di quel che chiedono: “Non vedete (la portata di) ciò che state chiedendo con desiderio” (v. 38), risponde Gesù. E soprattutto non permette loro di valutare le loro capacità di “bere il calice” di Gesù, espressione ebraica che sta ad indicare la sofferenza e la morte che poco prima Gesù aveva annunciato. Infatti, come gli altri, quando Gesù verrà arrestato, scapperanno.
La fede ridotta ad ideologia, rende impossibile ascoltare la parola di Dio e vedere la realtà. L’integralismo religioso, però, è sostenuto proprio da questo delirio di onnipotenza: noi siamo i migliori e abbiamo diritto al potere e se non ce lo danno ce lo prendiamo con la forza, anche pretendendo che Dio realizzi la nostra volontà: “Vogliamo che ciò che chiediamo a te, tu lo faccia a noi” (v. 35) ed anche “da a noi che uno sieda… (v. 37). Quasi più di una pretesa, come se reclamassero un diritto.
Ma forse il testo, suggerisce che anche chi si indigna con forza contro questo atteggiamento, rischia di essere nella stessa logica. “I dieci cominciarono a sdegnarsi” (v. 41), dove questa emozione è descritta con una parola molto forte, che si riferisce all’attorcigliarsi, al chiudersi, al curvarsi su di sé di chi è in preda al dolore. Reazione esagerata, sembrerebbe. Giustificabile solo se questi “dieci”, si sentono colpiti, perché Giovanni e Giacomo stanno tentando di occupare posti di potere che pure loro dieci avrebbero voluto.
Per questo Gesù li chiama tutti, non solo i due ma anche i dieci, e prova a chiarire quale è la gestione del potere nei discepoli: “Non così è fra voi” (v. 43). Cioè, non provate ad imitare le forme di gestione del potere della società, perché questo non è secondo il vangelo. Se si cerca il potere, si finirà sempre per agire sugli altri secondo potenza (esercitano il potere v. 42) e secondo la signoria (spadroneggiano v. 42).
E quando Gesù cerca di spiegare il motivo di questa distanza da tenere dalle forme di potere umane, si arriva al cuore della rivelazione dell’immagine di Dio di questo brano: “il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e dare la sua vita come atto liberatorio per molti” (v. 45). Cioè, Dio non cerca il potere e non lo usa secondo potenza e per spadroneggiare, ma lo usa per liberare l’uomo dalla sua schiavitù al potere del peccato.
Il termine “servire”, utilizzato qui, in greco non indica il servizio di chi è schiavo, cioè di colui che è costretto al servizio e non può scegliere di non farlo. Indica, invece, colui che serve come un maggiordomo. Cioè di chi si assoggetta liberamente all’altro, ma non perde la propria libertà di decisione e la possibilità di interrompere quel servizio, oppure di scegliere di arrivare a servire l’altro con una radicalità totale, fino alla morte.
Questa è la forma del servizio di cui Gesù parla. “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10, 17-18). Gesù non è costretto da nessuno a morire, nemmeno dal Padre. Lui, per amore decide liberamente di donarsi fino alla morte. Ma in questo mantiene la sua signoria. Per questo non si lascia catturare da chi vuole usare questo suo essere servo per giustificare il proprio potere.
A chi sono riservati, perciò, quei due posti pretesi dai discepoli? A coloro che come Cristo, per amore si rendono servi, senza farsi dominare da coloro a cui si donano. La gestione del potere nella comunità di Cristo, nasce così, dal basso, dal servizio di tutti verso ciascuno, senza che nessuno si sottometta all’altro. Questo è ciò che permette di “diventare grande” (v. 43) nella Chiesa. E se poi si vuole “essere primo” (v. 44), cioè come Gesù, allora liberamente può scegliere di arrivare a servire l’altro fino alla morte, come uno “schiavo” (v. 44), reso tale per libera scelta.
Siamo ben lontani, sia dalla monarchia che dalla democrazia; ben lontani sia dalla oligarchia che dalla anarchia; sia dalla tirannia che dalla tecnocrazia. Proprio per questo, siamo ancora lontani dall’averlo realizzato nella Chiesa, perchè noi sappiamo che solo nel Regno di Dio ci sarà la pienezza di ciò che qui proviamo a vivere.
Chi interpreta tutto alla luce dei valori moderni , dovrebbe rileggersi i Vangeli e sapere in quale ambiente religioso Gesu’ parlava. Gli ebrei del tempo di Gesu’ non erano democratici e credevano n una monarchia di stampo teocratico , credevano nell’ avvento del Messia, che doveva essere un “Re” come lo fu David. Lo stesso Gesu’ parla di ” Regno” e persino dopo la sua crocifissione e resurrezioni alcuni dei discepoli gli chiedono se ora sarebbe stato instaurato il Regno. Queste speranze messianiche ,del tutto terrene, spiegano le incomprensibili ( per noi) richieste di Giacomo e Giovanni .
E’ come se, al giorno d’ oggi , i piu’ stretti collaboratori di un capo carismatico gli chiedessero se una volta giunto al potere loro avrebbero fatto parte del “comitato ristretto” dei suoi collaboratori. Vi pare tanto strano ? Non credete che anche voi potreste benissimo comportarvi ,anzi gia’ vi comportate cosi’ ? Vi risulta che nella Chiesa cattolica odierna “post-conciliare” non vi siano cordate e ricompense molto terrene per chi ha appoggiato chi giunge al potere ?
Riporto la citazione dell’amico Marco
da Vladimir Volkoff: «La rivolta di Lucifero non fu quella del male contro il bene. Fu la rivolta del bene contro l’essere»
Io: la questione non è l’avere, a meno che l’argomento non siano le droghe o l’avarizia.
Se gli altri dieci sono scandalizzati per la preghiera dei due discepoli, non lo è però Gesù che dimostra di conoscere la volontà che muove l’uomo: è la volontà di essere, mossa dal pregiudizio e colpita dallo stesso. La volontà o desiderio di essere potrebbero venire dalla necessità e dall’impossibilità di conoscere se stessi, ciò che si è, quando questa ricerca non si affidi ad una relazione tra un soggetto ed un oggetto.
La possessione diabolica di dividere se stessi in soggetto e oggetto nell’ossessiva ricerca di sé è desolante e letale quando questa non trovi la salvezza nella relazione col padre e la compiutezza nell’essere figli.