Fortezza, accidia e trasfigurazione

Accettare di attraversare la porta della sofferenza, senza negarla o rimanerci bloccati dentro, farà di noi persone nuove.
25 Febbraio 2024
  • Raffaello, Trasfigurazione (1518-1520)

Nella liturgia di questa seconda domenica di quaresima continua il viaggio attraverso gli snodi salienti della storia della salvezza.

Il personaggio che incontriamo oggi, dopo Noè, è Abramo, il quale dimostra di essere disponibile a sacrificare quanto ha di più caro, il figlio a lungo desiderato e avuto in tarda età, su richiesta del Signore. Il testo biblico ci dice che quel sacrificio non si compì, poiché la richiesta di Dio era in realtà una prova  per verificare la fede del patriarca. Secondo i cristiani, il sacrificio di Isacco rappresenta simbolicamente il sacrificio di Cristo, unico e definitivo per la salvezza dell’umanità (per questo nella religione cristiana non sono previsti sacrifici di animali o di altro, poiché sarebbero del tutto inutili e superflui dopo il sacrificio di Gesù).

Abramo è un gigante dell’Antico Testamento, e la sua figura affascinò, tra gli altri, il filosofo Kierkegaard, il quale disse di lui: “ci furono uomini grandi per la loro energia, per la saggezza, la speranza o l’amore. Ma Abramo fu il più grande di tutti: grande per l’energia la cui forza è debolezza, grande per la saggezza il cui segreto è follia, grande per la speranza la cui forza è demenza, grande per l’amore che è odio di se stesso. Fu per fede che Abramo lasciò il paese dei suoi padri e fu straniero in terra promessa. Lasciò una cosa, la sua ragione terrena, e ne prese un’altra, la fede”.

Che cosa chiede Dio ad Abramo? Di lasciare le sue certezze, quella che oggi chiameremmo area di confort, per andare verso nuove situazioni ed esperienze.

Nel vangelo, Marco racconta l’episodio della trasfigurazione di Gesù, e non è immediato il collegamento con la prima lettura. La trasfigurazione è un anticipo della resurrezione: Gesù appare luminoso tra Elia e Mosè. Gli apostoli restano stupefatti e il povero Pietro è l’unico a trovare il coraggio di dire una cosa, cioè di fare tre tende per ospitare Gesù trasfigurato e i due profeti. Fa quasi tenerezza! Propone di chiudere in una tenda tre personaggi apparsi nella loro splendente luce spirituale!

Paolo, come al solito, ci offre una chiave di lettura: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?

E allora: Dio è per Abramo anche quando gli chiede di lasciare la sua terra per affrontare l’ignoto e poi di sacrificare il suo amato unico figlio; Dio è per Gesù anche quando non accoglie la sua preghiera di allontanare il calice della sofferenza; Dio è per noi anche quando affrontiamo le difficoltà, a volte grandi e sconvolgenti, dell’esistenza.

Attraversare la porta della sofferenza ci consente di essere persone nuove, come Abramo che dopo aver perso tutto divenne capostipite di una discendenza numerosa…come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; come Gesù che dopo aver attraversato la morte (fino alla discesa agli inferi) entra nella gloria della resurrezione di cui la trasfigurazione è l’immagine.

Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice recita il salmo di oggi. E questo significa coltivare la virtù della fortezza, una delle quattro virtù cardinali (detta anche forza d’animo o resilienza) la quale  assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. La fortezza è la capacità di resistere alle avversità, di non scoraggiarsi dinanzi ai contrattempi, di perseverare nel cammino di perfezione, cioè di andare avanti con coraggio, senza lasciarsi vincere dalla pigrizia, dalla viltà, dalla paura. La fortezza si oppone alla accidia o ignavia, cioè alla negligenza verso il procedere della vita, accontentandosi di una esistenza vuota, che Dante descrive come senza infamia e senza lode.

È Dio stesso che ci esorta a lasciar andare il passato e a guardare al futuro con fiducia: Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43 18-19).

Anche Gesù riprende questo tema facendoci una promessa: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna (Mt 19,29).

Ecco, accettare di affrontare e superare le difficoltà, le sofferenze e le perdite dell’esistenza, senza negarle né rimanerci bloccati dentro, farà di noi persone nuove, trasfigurate come Gesù sul monte, capaci di entrare nella vita nuova dello Spirito, e ci consentirà, come recita il salmo,  di camminare davanti al Signore nella terra dei viventi.

 

3 risposte a “Fortezza, accidia e trasfigurazione”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Questo messaggio e’ tale nella sua piena Veritá da meritare questo commento:

    PS. Il vuoto NON è il nulla.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Fortezza, ma anche questa deriva dalla Fede. Allora grande cosa la Fede, “fa miracoli” il detto popolare. Allora guardando alla trasfigurazione in atto del mondo, questo è senza Fede. Non si può dire che non siamo avvolti in una atmosfera di male ! Si invoca un proseguo di guerra malgrado si veda quanto attraverso questa scelta si verifichi dissoluzione in umanità; insensibilità di fronte a dei propri simili affamati; si invoca la Pace quando per uccidere occorre uno spirito da nemico in odio del fratello! E che quell’odio resista al tempo ne abbiamo visto prova. La saggezza antica invece indica una altra via, il Patriarca ha sacrificato, ha lasciato certo bene per uno scopo che era disegno divino, ha avuto Fede, così come oggi si dovrebbe di quel Vangelo che indica una Chiesa da erigere non in muratura ma in umanità trasfigurata, come Il Padre di Cristo ha dimostrato, essere divino, così come è via aperta a ogni essere umano.

  3. Alberto Ghiro ha detto:

    Trasfigurare è anche manifestare un aspetto diverso da quello esteriore a favore di quello interiore, dall’avere e dal fare a favore dell’essere, da tutte le opere compiute e gli insegnamenti dati al senso della propria esistenza terrena, dall’esperienza di vita alla ragione di una vita simbolo della Trinità.

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