Dove metterci? Come posizionarci rispetto agli altri e alla vita? Questione che fin da piccoli avvertiamo come difficile da affrontare nella nostra vita: l’ambire a un posto, il saper prendere il posto di, l’invadere il posto di, l’essere sostituiti nel posto di, e l’elenco potrebbe essere ancora lungo. E il problema di come l’uomo debba collocarsi, di quale sia la posizione più opportuna da occupare, dipende da alcuni valori che sembrano molto cari al Signore.
Nella prima lettura si prova a rispondere partendo dal concetto di mitezza, come qualità che deve accompagnare le opere del figlio di Dio, una mitezza che vale più della grande dote della generosità. E così questa umiltà sembra avere un facile accesso a quella gloria che solo Dio può conferire, e che è ben lontana da quella che invece cerca il superbo, facendo da sé.
Ma chi è un mite? L’etimologia di “mite” è complessa, ma chiara: significa liberare con gioia l’energia amorevole che abbiamo dentro, prendendosi cura di qualcuno di caro, e reagire ai rifiuti, ai giudizi, alle aggressioni con quello stesso amore. Perciò carico di forza buona, ben lontano dall’arrendevole e dal passivo.
Il Siracide qui, avvicina il mite all’umile. Anche qui la radice di significato del termine “umile” diventa interessante: ha a che fare con il verbo scavare, fare il vuoto, azzerare, tutti verbi che possono ricordarci la kenosi di Gesù, cioè il suo totale abbassarsi per assumere la nostra natura di uomini. Essere umili quindi è un’azione di pulizia e liberazione del cuore.
Se si mettono assieme i due termini, unificando mite e umile, si va verso il significato di uno stare appoggiati sulla gioia di liberare le nostre energie umane migliori, quelle che ci rendono gioiosi e fanno piacere agli altri, senza temere nulla e senza pretendere nulla, perché si ha il cuore vuoto dalle proprie paure o mire. Ma detto così, cosa significano per la nostra vita questi due termini, quando li sentiamo pronunciare?
Il Signore in persona si definisce mite e umile, dicendoci, come ripetiamo nel versetto al vangelo: “Prendete il mio giogo sopra di voi, dice il Signore, e imparate da me, che sono mite e umile di cuore.” E qui a mio avviso si apre il grande capitolo di cui parlavamo all’inizio: quando si sceglie la propria posizione, c’è sempre un giogo da portare, e una volontà di Dio da ricercare prima e da seguire poi.
É un’esperienza di tutti quella di entrare in un ambiente affollato da altre persone che hanno già preso posto, anche simbolicamente nel mondo, e di dover capire dove collocarci e dove sederci. Certo qui Gesù usa un’immagine forte, con questa “vergogna” di chi si è scelto il primo posto ed è costretto a spostarsi di fronte a tutti all’ultimo, perché quel posto è di un altro più “degno” di lui. Abbiamo qui, forse, una delle icone più forti del desiderio di collocazione dell’uomo, che può vestirsi in mille forme, tra cui tante simili ad un’ipocrita umiltà.
Per questo mi piace pensare allo stato d’animo di quell’invitato, ben piazzato al primo posto, e al suo difficile tragitto nello spostarsi in fondo alla sala, al giogo che porta mentre si alza e retrocede: il vangelo parla di “vergogna”, un sentimento complesso che qui vuole essere salvifico e ben lontano dall’umiliazione, quest’ultima agli antipodi dell’umiltà vera già citata.
E noi, ci siamo mai sentiti così? In una situazione difficile di detronizzazione da un posto mentale che ci eravamo scelti, da un ruolo da cui fatichiamo a staccarci, da un’idea su di noi che altri non ci riconoscono? E’ un disorientamento totale, una sorta di ribaltamento di scenografia spesso difficile da reggere, ma il Signore stesso non ci lascia soli e ci offre nel seguito del testo una soluzione che soccorra il nostro smarrimento pesante.
Infatti lo sentiamo ripeterci “Amico, vieni più avanti!”, se seguiremo un solo suggerimento di comportamento: tentare di amare gli altri gratuitamente, senza cercare il contraccambio, partendo proprio da coloro che si sa che faticheranno a ricambiare quel famoso invito a pranzo. E di nuovo abbiamo un problema di posti: avevamo deciso che nei posti privilegiati dei nostri banchetti, cioè delle nostre priorità in vari campi, avremmo messo “fratelli”, “parenti” o “ricchi vicini”, ora invece dobbiamo fare spazio con gioia a “poveri”, “storpi”, “zoppi”, “ciechi” (in tutte le forme, anche simboliche), proprio a quelli che non avremmo mai voluto lì!
Forse in quel metaforico pranzo, cioè in tante situazioni di vita, ci sentiamo più soli senza la speranza che i nostri amati e prescelti ci contraccambieranno, ma il Salmo è chiaro: “A chi è solo, Dio fa abitare una casa”, perché Dio è “padre degli orfani e difensore delle vedove”, cioè di tutti, di quelli che non possono contraccambiare, ma anche di quelli che rinunciano faticosamente ad aspettarsi quaggiù qualcosa in cambio.
Su tutti una “pioggia abbondante” che Dio riversa, una “esausta eredità” che Dio ha consolidato, ed è la risurrezione dei giusti, come ricompensa all’orizzonte che chiude il vangelo di oggi e rende reale la “Gerusalemme celeste, l’adunanza festosa e l’assemblea dei primogeniti” della seconda lettura. Crediamo davvero che quel tragitto, che prima o poi tutti dobbiamo compiere “con vergogna” dal primo all’ultimo posto, sia realmente uno spazio di povertà e di amore gratuito che ci apre alla Risurrezione?
Il povero è odioso anche a chi gli è pari ma numerosi sono gli amici del ricco (Proverbi 14,20). Già nell’Antico Testamento ci si era accorti di questa realtà. Nella parabola l’attacco è rivolto a quella presunzione arrogante che è capace di snaturare il rapporto con Dio e con il prossimo. La pretesa di essere i migliori che cozza contro la stessa volontà divina di servire piuttosto che di primeggiare. Un insegnamento attualissimo, splendidamente commentato dall’autrice di questo articolo.
Un cristiano a un banchetto, a un convegno , si siede al posto che gli assegnano. Non briga per stare in prima fila e neppure per stare in ultima fila. Infatti vale anche per il cristiano la falsa modestia e la falsa umilta’ : mi si nota di piu’ se recitò la parte dell'” “ultimo” ,o del primo ?
Un cristiano siede la’ dove non e’ notato ,ne’ biasimato ne’ lodato , perche’ ha rinunciato al proprio ego. Se si pone in cuore suo invece il problema del posto,la sua scelta e’ ipocrita.