A noi che viviamo nel XXI secolo il silenzio che il sabato santo domanda può apparire un’occasione propizia: far tacere per qualche ora il vociare continuo e caotico del mondo, sperimentando, però, insieme, anche il silenzio di Dio.
È, questo del silenzio di Dio, un orizzonte che abitiamo: se guardiamo attorno a noi, in questo scorcio di anni, difficile negare che la Parola abbia risonanza: altre sono le parole, i messaggi, le forze che sembrano dominare il mondo.
Avere speranza richiede coraggio, in questo sabato santo della storia.
Ma c’è un passo ulteriore da fare, dopo aver abitato nella sua interezza il silenzio del sabato, ed è alzare lo sguardo alla notte che ci conduce alla domenica di Pasqua. Siamo uomini e donne del sabato santo, certamente; ma la fede ci spinge a guardare alla notte che chiude un giorno e ne apre un altro, ben diverso, dove risuona una voce inaspettata.
Ma, oggi, è credibile un annuncio di risurrezione? Ci sentiamo forse molto simili a Paolo all’Areopago di Atene: quando parliamo di resurrezione, si fa il vuoto. Noi cristiani siamo stati molto bravi e molto ideologici nel dividerci le vesti del Vangelo; ma non ci siamo forse resi conto che abbiamo mancato troppo spesso di vivere la Resurrezione. Il Dio in cui crediamo è incarnato, è morto, è stato deposto in un sepolcro dentro un giardino. Ma per fede, per pura (e difficile) fede, siamo chiamati a dare fiducia a una notte di Resurrezione, una notte in cui il Cristo è risorto.
Oggi, anno 2025, questo è poco credibile; ma non lo era meno secoli e secoli fa. Lo ricorda, appunto, il racconto di Paolo di fronte ai sapienti di Atene: «Su questo ti ascolteremo un’altra volta» (At, 17, 32), dicono quei filosofi, lasciandolo solo, ad eccezione di pochissimi, i cui nomi l’autore degli Atti in parte riporta: Dionigi, Dàmaris, pochissimi altri.
Allora abitare in pienezza il sabato santo significa abitarlo nell’attesa di una domenica in cui Dio irrompe, in modo inatteso; e ciò che accade è ben più della speranza, poiché nessuno degli uomini e delle donne che erano alla sequela di Gesù poteva realmente nutrirsi di quella speranza di resurrezione. Dopo la crocifissione c’era paura, c’era delusione, c’era smarrimento, c’era stordimento; così i due discepoli di Emmaus non nascondono i sentimenti che nutrivano, fino all’annuncio di Pasqua.
Il sabato è apertura, è passaggio, tra la croce e la tomba vuota; è passaggio tra la storia, la cronaca, il fatto constatato da tutti — un uomo condannato e giustiziato da un potere religioso e politico, da una folla imbevuta di crudeltà — e il momento della fede, il momento della fiducia, che non è razionalmente tangibile. Il sabato è quel passaggio, è quel ponte: tra la storia e la fede, dunque, è necessario un tempo di silenzio.
Non dovremmo, perciò, avere troppa fretta di far passare il sabato del Dio sepolto: perché è rendiconto e bilancio, è riflessione e sosta; per sbilanciarci sull’eterno di un Risorto, tesi tra qui e ora e il domani di Pasqua, ci è data l’occasione di fermarci, senza parole, senza culto, senza gesti. Stare fermi, lasciar fare a Dio che in una tomba abita un giardino.
Chiediamoci perché la credibilità dell’annuncio di resurrezione è così debole, così fragile… allora, forse, scopriremmo che è la strada scelta proprio dal Figlio: la fede si propone, non si impone. Si manifesta e si nasconde, si rivela a pochi e poi scompare. Supera le attese, accende le speranze, ma poi si nega. Soprattutto, non si fa trovare dove i discepoli lo cercano: una tomba vuota, un sepolcro. Egli sarà fuori, nel giardino; giungerà nella stanza chiusa per paure diffuse; si accosterà su una via verso Emmaus; starà su una riva del lago. Non è mai dove lo cercano, il Risorto. Lo aveva ben capito Meister Eckhart:
Le donne cercavano nostro Signore nel sepolcro. Allora trovarono un angelo ‘il cui aspetto era come una folgore e le sue vesti bianche come la neve, ed egli disse alle donne’: ‘Chi cercate? Cercate Gesù che è crocifisso – non è qui’. Infatti Dio non è in nessun luogo. Del minimo di Dio sono piene tutte le creature, e la sua grandezza non è in nessun luogo. […]. Dio non è né qui né là, né in tempo né in luogo.
Il sabato è anche il passaggio da una tentativo di circoscrivere Dio — è in una tomba, è avvolto in un lenzuolo, abbiamo le coordinate geografiche della sua presenza e lì andiamo a cercarlo — alla rottura di ogni cartografia religiosa: non possiamo dire dove Cristo non sia presente, non possiamo affermare dove egli è certamente assente, perché egli è anche là dove non si attende. E per questo ci si mette in cammino, per questo non si chiudono tombe, ma si aprono vie. Così, forse, l’annuncio della resurrezione — così insolito, così poco credibile — può riacquistare vita, poiché si salda alla vita, che è sempre più misteriosamente grande dei nostri atlanti religiosi. Lo ricorda don Angelo Casati, con la libertà dei poeti e dei profeti: «Affascinare gli altri di Gesù e del suo vangelo non significa certo richiudere Gesù in una tomba di codici e definizioni, ma aprire cammini dietro di lui».
Aprire cammini, aprire vite: non è questa l’azione del Risorto? Aprire sepolcri, aprire stanze chiuse, aprire cuori tristi, aprire nuove strade: siamo discepoli di una Resurrezione che apre, non di una grotta sigillata.
Il sabato santo, giorno di vigilia, ci chiama a stare in questa sospensione, tra aperture e chiusure, tra morte e vita, tra tempo ed eterno. Ma è un sabato che guarda già alla domenica, è un sabato che si chiude in una notte abitata da profumi di vita. Annotava Madre Teresa di Calcutta, nel vivo del suo intenso dramma del silenzio di Dio, senza mai rinunciare al coraggio di guardare alla resurrezione: «Non lasciatevi turbare o angosciare, ma credete nella gioia della Resurrezione. In tutte le nostre vite, come nella vita di Gesù, la Risurrezione deve arrivare, la gioia della Pasqua deve sorgere».
L’augurio è di abitare il silenzio, per sentire nella notte la forza di una Resurrezione, per ascoltare e incontrare il vivere discreto e sorprendente del Risorto.
ph: Lintel with the Entombment of Christ (right) and the Holy Women and Angel at the Sepulchre (left), 1220-1230 circa, Moma, New York, particolare
Caro Sergio, il valore del fatto singolo temporalmente definito, non assurge alle varie sublimazioni che circolano.
Credere che quell’ evento sia davvero successo non cambia la mia vita SE io sono realista.
E a me sembra che le montature alla incarnazione perpetua non convincano.
Il vero ∆, il vero cambio di REALTÀ , quello che davvero fa la differenza, è solo ed unicamente avere una relazione con Gesù qui e adesso, oggi e sempre, vivo e presente. Sentirsi puranco una sua scopa, fa niente, basta che Lui mi parli e mi guidi., anche talvolta mettendomi un muro davanti, x farmi capire che sto sbagliando.
Quella ‘relazione’ personale e diretta alla quale la Chiesa non ci ha educati. .
Mentre ti leggevo, mutatis mutandis. Pensavo ….
SE togliessimo a Gesù l’appellativo VERO DIO, lui che amava chiamarsi figlio dell’ Uomo. Tutto quello che tu scrivi potrebbe ancora valere?
SE tenessimo conto che la ‘resurrezione’ è anche nostra..
SE credessimo che Gesù è vivo, come Maria, vicino a tutti noi….
Cisa cambierebbe?
Caro Pietro, e perchè non dovrebbe valere? Nella sua natura umana Cristo è risorto: se lo crediamo per fede, perchè no?
Grazie per questo articolo! Man mano che invecchio la vita mi educa a stare in tante ” attese” come quella del sabato santo. La calma e la pazienza sono un balsamo che permette di stare dentro a situazioni anche umanamente insostenibili , ma con il cuore e la mente coscientemente e fiduciosamente ancorati a “Colui che fa nuove tutte le cose” amandoci infinitamente e in modo sorprendente, perché Egli è vivo e opera misteriosamente anche nel buio e nel silenzio di ogni sabato santo. Buona , santa e vigorosa Pasqua a tutti voi!