“Credere, amare, resistere”: sono questi i tre verbi luminosi che l’Associazione Voa Voa – Amici di Sofia APS (www.voavoa.org), mette proprio in home page al primo posto nel suo sito, ispirando anche una celebre canzone di Nek dallo stesso titolo. Lo stesso artista è per altro uno dei soci fondatori dell’Associazione ed era presente all’atto della fondazione della stessa a Firenze, a San Miniato al Monte, nel 2013.
Appunto tre verbi che evidenziano subito il senso di una esperienza coraggiosa che si occupa di mostrare il senso della vita, anche quando affronta il volto di una grande fragilità. Ascoltiamo quindi la voce di una coppia di genitori che di questa realtà associativa sono i fondatori: Caterina Ceccuti, giornalista e scrittrice, e suo marito Guido De Barros, architetto. Con loro, proprio a pochi giorni dalla Giornata mondiale delle Malattie Rare, celebrata il 28 febbraio scorso, entriamo nel mondo molto complesso delle malattie genetiche rare che colpiscono fin da piccoli alcuni bambini, tra cui la loro bimba Sofia, prematuramente scomparsa nel 2017 all’età di otto anni.
Ma sentiamo la stessa voce di Caterina, in un messaggio che mi ha inviato e che riporto interamente: «La nostra vita è stata stravolta quando Sofia aveva appena un anno e mezzo. Nata e cresciuta sana, ha iniziato a mostrare i segni della leucodistrofia metacromatica, malattia che agisce “a scoppio ritardato” e causa un rapido declino neurodegenerativo. Nel giro di pochi mesi nostra figlia ha perso ogni funzione motoria e cognitiva, la capacità di muoversi, vedere e parlare. Da questa drammatica esperienza è nata la nostra associazione Voa Voa, che non si limita a una singola patologia ma riunisce le famiglie di bambini con malattie neurodegenerative, offrendo sostegno economico, psicologico, legale e promuovendo progetti di sensibilizzazione come “Un muro per Sofia”, in cui street artist di fama hanno realizzato grandi murales per ricordare che i ‘rari’ non devono essere invisibili.
Finanziamo anche la ricerca scientifica: nel 2015 abbiamo contribuito a sviluppare all’Ospedale Meyer di Firenze il test per la diagnosi precoce della leucodistrofia metacromatica. Se scoperta alla nascita, la malattia può infatti essere curata completamente con una terapia genica messa a punto dal San Raffaele di Milano, unica via realmente efficace, ma solo se somministrata prima che compaiano i sintomi. Una volta manifestati, non esiste più cura e il bambino va inevitabilmente incontro alla morte. In passato, questa terapia era di fatto accessibile solo ai secondogeniti, perché le famiglie non venivano a conoscenza della patologia in tempo per salvare il primo figlio.
Con lo screening neonatale, invece, questo enorme divario può essere colmato: dopo il progetto pilota in Toscana, la Lombardia ha adottato lo stesso protocollo nel 2023, avviandolo nel giugno 2024, e adesso speriamo l’esempio sia seguito anche dalle altre regioni d’Italia. Così storie familiari come la nostra, per quanto tragiche, potranno aver contribuito a un traguardo di grande rilievo per molte altre famiglie.»
E così in questo anno del Giubileo della speranza, dove non solo i cristiani ma ogni uomo è chiamato a divenire pellegrino di speranza per gli altri e prima di tutto per se stesso, penso che l’esperienza di vita di questi due genitori, non si fermi alla disperazione della perdita della loro Sofia, ma riparta proprio dall’idea di creare tracce di speranza nuove con l’associazione che porta il nome della loro bimba, non aggrappandosi solo ad una memoria, ma soprattutto ad un vita che continua in modo diverso e fecondo.
Afferma infatti in un suo post su Facebook papà Guido, parlando idealmente con Sofia nel settimo anniversario della sua scomparsa: “… per contentarti occorreva un progetto grande, così grande da portare la speranza nella terra della disperazione, e la vita in quella della morte. Fino a che l’occasione è arrivata: la Campagna di crowdfunding “Gocce di Speranza” porta con sé la possibilità di salvare realmente vite umane, di offrire concretamente una vita normale a bambini destinati solo alla neurodegenerazione e alla morte, come sei stata tu.”
Il nome “Gocce di speranza” si rifà così alla piccola goccia di sangue che normalmente viene già prelevata nei neonati alla nascita per alcuni esami di routine, a cui si possa aggiunge quello suggerito per lo screening della Metacromatica. Una speranza che si estende, nel loro caso, anche e soprattutto al fare comunità, spesso in una community virtuale “per condizioni di vita particolari” che si ritrova in una vivace chat, ma anche in occasioni concrete di incontri delle famiglie con i loro bambini, spesso colpiti in maniere tanto diverse ma pur tanto simili per solitudine e gravità di percorsi familiari e clinici.
E infine la testimonianza di una solidarietà interna, concreta, un vangelo incarnato che si fa prossimo in situazioni che non vengono visitate tanto spesso per il dolore che suscitano, ricordando le parole dello stesso papa Francesco: “La speranza non delude, è un atto di fede prendere la speranza, la più umile delle virtù, ma la più quotidiana, perché è come l’ossigeno per respirare la vita e le dà un senso. È un dono per andare avanti, per agire, per tollerare, per soffrire. Questo è un mondo pieno di delusioni. La speranza è tutti i giorni, la trovi nei piccoli angoli della tua vita e lì c’è la speranza che ti porta avanti”.
Grazie Sofia, grazie Caterina, grazie Guido!