La recente scomparsa il 5 ottobre scorso di Sammy Basso, il giovane biologo e ricercatore di appena ventotto anni e affetto da progeria, una rarissima patologia genetica, ha riacceso il dibattito nell’opinione pubblica su cosa sia in effetti una “malattia genetica rara”. Vivere questa dimensione è, a mio avviso, abitare una di quelle periferie di cui parla spesso Papa Francesco e Sammy, nel luogo della sua malattia, ci ha abitato davvero fin dall’età di due anni, quando ai suoi genitori fu consegnata la diagnosi infausta di “progeria”, malattia rarissima per cui non c’era ricerca, e quindi tanto meno cura, assieme al consiglio lapidario: “fatelo solo vivere il meglio possibile”.
Queste parole, riportate da lui stesso in una delle tante trasmissioni televisive che lo invitavano, essendo diventato un personaggio pubblico, credo siano state incarnate da Sammy pienamente, applicando quel sapiente principio di uno dei fondatori della Gestalt Therapy, Fritz Perls secondo cui, “The only way to get out is to go through” (L’unico modo per uscire da una cosa è attraversarla). Ma si può “uscire” da una malattia genetica rara? No, mai, anche se si può tentare di attraversarla al meglio… perchè parliamo di qualcosa iscritto completamente nella trama del proprio essere, in quella mappa che ci costituisce tutti unici e irripetibili. E, detto nella maniera più semplicistica possibile, in questa spirale della vita perfetta e non ancora conosciuta del tutto, se qualcosa è rotto o mancante dall’inizio, in un luogo “insolito” delle tante infinite combinazioni possibili, avviene che la malattia genetica sia “rara”, ossia sconosciuta ai più o, peggio, ancora senza diagnosi e nome.
La possibilità poco probabile che qualcun altro condivida quello stesso tipo di patologia, anche se in gruppo ristretto, fa entrare così in una bolla di “affratellamento” forse sinistra per chi guarda da fuori, ma certamente consolante per chi la vive. E anche se non si condivide la sorte della stessa patologia rara, il fatto stesso di averne una o di avere un figlio e una figlia che ne siano affetti, fa sentire comunque vicini e affini come linguaggio e problematiche. È tipico infatti di queste patologie il manifestarsi nella loro forma più aggressiva nei primi anni di vita, e qui si apre la grande parentesi delle famiglie che vivono il dramma dei loro bambini ammalati; gli esiti poi, il come si va avanti, sono i più svariati e non c’è storia che possa somigliare a un’altra perché “ancora ne sappiamo troppo poco… mi spiace, su questo non c’è letteratura”.
Se infatti si capita nel reparto di una Neuropsichiatria infantile di uno dei vari ospedali specializzati preposti a queste diagnosi e cure particolari, si incontra un mondo che potremmo definire insospettabile all’esterno. In quel luogo dove accanto ai propri figli spesso in carrozzina si incontrano madri segnate, che parlano con gli accenti più svariati e spesso sono straniere che sanno a stento l’italiano, non esiste più cultura e ruoli sociali che dividano i livelli e tutti si diventa esperti di nomi medici di esami impronunciabili per la difficoltà, ma in fondo ci si capisce come in pochi altri luoghi al mondo.
Si parla di geni dai nomi assurdi, ricordati a mente come una poesia, di malattie che sono così strane che già dopo due secondi chi ascolta non lo ricorda più e i sintomi sono così diversi e particolari che si rimane senza fiato e non si riesce più a ricordare come all’asilo invece per un raffreddore tra mamme si era in grado di consigliare un nuovo farmaco per liberare il naso ed un pediatra che era “un po’ più bravo”. Parlo di madri, perché in genere di padri se ne vedono molto meno, spesso accompagnano a inizio del ricovero, o chiamano alla sera nel buio dei corridoi dove si fanno sommari resoconti della giornata svolta. Alcune sono coppie ancora insieme, altre ormai rotte da un peso troppo grosso e non preventivato, mentre i figli rimangono di entrambi, ma a volte si può solo scappare. E non c’è colpa, ma solo un gran dolore.
Ora, in questo universo, dove ai più arrivano soprattutto le campagne di Telethon, le maratone benefiche per raccogliere fondi, le immagini certamente veritiere di bambini chiaramente sofferenti che invitano all’aiuto, Sammy Basso con garbo, competenza, simpatia ed eleganza ha levato una voce diversa di profeta affascinante. Dalla sua periferia, ripeto, dalla sua progeria di cui ad oggi ci sono solo centotrenta casi accertati al mondo, dalla sua nicchia, che ha perfino studiato divenendo un valente biologo e uomo inserito in comunità scientifiche di settore (cosa più unica che rara), Sammy ha gridato, parole testuali : “Non c’è mai stata nessuna battaglia da combattere, c’è solo stata una vita da abbracciare per com’era, con le sue difficoltà, ma pur sempre splendida, pur sempre fantastica, né premio né condanna, semplicemente un dono che mi è stato dato da Dio. Il mondo è buono se sappiamo dove guardare!”.
Lo ha urlato per sé, lo ha urlato dal vivo del dono della sua fede intensa dove ha amato Gesù che come lui desiderava tanto “fare festa”, espressione che ricorre spesso nelle sue interviste, ma lo ha urlato anche per tutti quelli che non hanno voce nella periferia accanto alla sua, nel dolore di ritrovarsi bambini in difficoltà, genitori caregiver ventiquattro ore su ventiquattro, senza speranze di guarigione o miglioramenti. Ma Sammy ha saputo tenere alta anche un’altra bandiera: certo la ricerca di una “cura” medica, a cui ci si sta avvicinando per la sua specifica malattia, ma soprattutto quella del “prendersi cura”, che ha un valore immenso se ci si aiuta tra persone coinvolte nel dramma e non solo, creando gruppi di reciproco aiuto tra genitori, associazioni di sostegno e sensibilizzazione, insomma facendosi prossimo fino in fondo.
Vorrei chiudere riportando altre sue significative parole: “la progeria per me non è una cosa che è accaduta, fa parte di me, è una compagna di vita. Non so come sarebbe la vita senza e forse se tornassi indietro rivorrei la stessa identica vita. La progeria è una cosa che non capita, è scritta nel DNA.” Beh… credo che questa visione sia proprio “essere passati attraverso”, assumere in pieno la propria condizione, per Sammy tenendo sempre per mano il suo Signore che lo stava aspettando per fare festa anche con lui.